Eccoci qui a comunicare, attraverso molteplici giungimenti dell’essere, e con quel che si può dire su di un solo “ ½ Rodomonte” (la forma della nostra pagnottella realizzata con cinque Grani Antichi d’Abruzzo), quello che vogliamo che sia “Il CamiònGustaio” di Osteria Futuro – PostoRistoro –, il suo profilo “geneticoculturale”, quindi.
Gentilissimo e-lettore, per essere di questa contemporaneità, allora, avremmo dovuto parlarvi delle mirabolanti gesta di questo nostro Tempo in cui ogni cosa del gusto, per essere…magari megafonata, deve divenire inesorabilmente [F]atto gourmet ad ogni costo. E quindi avremmo dovuto rappresentarvi i viaggi verso terre lontane e forse artiche, o forse no, alla ricerca di quei prodotti dai nomi esoticamente esteri con i quali riempir pani sempre più fotogenici e quasi imbalsamati nella loro bellezza “obbiettivale”.
“Ma noi…siamo solo Biodiversi!” (daXdiY)
E siamo poi anche territorializzati…
Ed allora ecco qui a comunicare, attraverso la forma racconto – breve, qualora ci reputiate capaci di tal complicato atto, di “Quando l’Italia era un Superpotenza”. Di quando cioè la modernità di allora aveva iniziato a scrivere le storie anche dei territori montano-rurali e marginali in genere, dopo aver conquistato velocemente i grandi centri urbano-cittadini, le città, per poi farli implodere mezzo secolo dopo.
Quella modernità che per i [F]atti del gusto significava, per noi che eravamo bambini – erano gli anni 70 – i magnifici e primi e colorati prodotti della grande industria alimentare: il Formaggino Mio innanzitutto.
Quella modernità che condivideva spazi di senso con il Tempo dei nostri padri, quello, cioè, nei quali gli stessi stavano crescendo la nostra ansia di gusto. Così facendo intendevano scrivere il nostro DNA organolettico ripetendo loro stessi e i loro padri…e via via, a ritroso, fino alla notte dei tempi.
Ecco giunto il momento! Siamo allora arrivati!
Siamo arrivati in uno di quei momenti che possono ben rappresentare l’incontro, o per meglio ragionare, lo scontro fra “culture gustaie”.
E’ fatto acclarato, o almeno così dicono alcuni – io la penso diversamente -, che una cultura rappresenti se stessa, con un più ampio spettro di informazioni, soprattutto in quei momenti della vita culturale sociale ed economica in cui le ragioni che muovono gli accadimenti sono quelle dei fatti afferenti alla fede, alla religiosità. O per meglio dire, per muovere questa narrazione, ai fatti relativi alla devozione.
Essere devoti era, in quel tempo, condizione necessaria per essere quasi. E nella giornata dedicata alla resurrezione di Nostro Signore essere devoti significava, per ciò che attiene alle questioni dei gusti, consumare le pietanze che le nostre mamme preparavano alzandosi alle 5 del mattino, per far sì che poi, nell’ora della colazione, la tavola fosse imbandita di tutto punto con le diverse deliziosità in bella vista e fumanti.
La colazione di Pasqua, per noi che eravamo bambini, assumeva però i contorni di una battaglia. Tra le pietanze che bisognava consumare per essere devoti, la coratella infatti sembrava, ai nostri sensi, saporante mostruoso, e così ingigantita da occupare così tutti gli spazi palatali: battaglia!!!
Si dico proprio la coratella, quasi sempre nelle diverse versioni, con cipolla o con carciofi, con quel suo sapore ferroso, sanguigno, buio quasi, che proprio non va giù se non conosci della vita altri sapori, quelli dei grandi. Ed allora: resistere resistere resistere…soprattutto alle sollecitazioni di mio padre, soprattutto, inoltre, quando venivamo informati dalle bisnonne che mangiarla era in sostanza atto cannibbalico e perciò Sacro per la presenza di Gesù: resistere ancora di più.
Già, la devozione, il Sacro.

Ma come si sa, le mamme sono devote innanzitutto ai figli. E poi mia madre era di gusti più inclini ad accogliere quello che la modernità ci giungeva. E quindi per scongiurare l’avvio dei tumulti, e per disinnescare la nostra ansia di resistenza, per risolvere cioè quelle questioni che ci avrebbero portati a non mangiare per tutta la giornata Santa, ogni santissima domenica della resurrezione di Nostro Signore, dall’avvento del Formaggino Mio, che già utilizzava nelle ore serali fatte di minestrine sbiancate dalla dolcezza della bianca crema, preparava per noi delle pagnottelle di pane, fatto con farine da grano nostrano (gli antichi dicono che si trattasse di Solina) cotto al forno a legna, spalmato con due formaggini trasformati così in morbido letto per un cucchiaio o due di coratella: Cristo che buono Gesù! e fu allora il Sacro.
Anche ripensando a quelle boccate di prima mattinata, decisi più o meno 30 anni dopo, nei tanti mentre del primo 2000, di attivare la mia CucinAzione per realizzare “Il Mio Formaggino Mio”, fatto di latte latte latte, farine di Grani Antichi, e tanta bona Volontà.
E’ anche ripensando a quelle boccate che abbiamo deciso con la Struttura Progetto di Osteria Futuro di cucinare sul nostro “CamiònGustaio” proprio il risultato della [non] dialettica palatale fra due modi di intendere la Modernità, quello di mia madre e quello di mio padre, in questo modo continuando la sperimentazione della relazione tra i pani con farine di grani antichi, “Il Mio Formaggino Mio”, e la coratella, iniziata intorno al 2000 all’interno del mio primo ristorante laboratorio.
Ben venuti nella nostra Contemporaneità Biodiversa.
Speriamo che l’esperienza sia di vostro gradimento….”
Da Primo Manifesto della Cucina Liberata, Di Mario Iacomini – segmento 2020