110 anni dal terremoto della Marsica: Storie, cronache e Voci di una Terra che dal silenzio delle macerie ha saputo ritrovare la propria forza e riscrivere il proprio Futuro

Oggi, dopo 110 anni, vogliamo ricordare non solo la tragedia, ma anche la straordinaria forza di rinascita di chi sopravvisse e ricostruì, pezzo dopo pezzo, una terra devastata.

Sono passati 110 anni dal devastante terremoto che colpì la Marsica il 13 gennaio 1915, ma il tempo non ha scalfito la memoria collettiva. Ogni paese, ogni città, duramente colpiti dal sisma custodisce le sue cicatrici i suoi racconti, le sue storie, i suoi nomi scolpiti nel dolore di una tragedia immane. Da un secolo e più, queste vicende si tramandano, come un filo che lega le generazioni, non solo per ricordare i morti, ma per comprendere il senso della ricostruzione, della resistenza e della rinascita.

Il racconto, tuttavia, non è mai solo un ripetersi di parole già ascoltate. Ogni narrazione è una nuova occasione per interrogarsi sul perché sia importante continuare a raccontare. Nonostante le storie possano sembrare le stesse, le emozioni che suscitano e i significati che assumono si rinnovano ogni volta, come se il passato trovasse sempre nuove strade per dialogare con il presente.

In occasione di questo importante anniversario, offriremo un viaggio nelle cronache dell’epoca e nelle testimonianze di chi visse quei giorni, per restituire una memoria viva e autentica. Racconteremo non solo l’evento sismico, ma anche le voci di chi ha resistito, i dettagli che riemergono dalle polveri del tempo e le storie che, ancora oggi, rendono la Marsica un luogo di memoria, identità e speranza.

Una memoria lunga 110 anni, che continua a emozionare, insegnare e unire le generazioni, come un’eco che risuona attraverso il tempo, ricordandoci chi siamo, da dove veniamo e come quell’evento ha cambiato per sempre il destino di un’intera terra e della sua gente.

Avezzano vista aerea 1915

Il Terremoto del 1915: Un Quadro Generale della Tragedia

Il 13 gennaio 1915, alle 7:53, un devastante terremoto colpì la Marsica, radendo al suolo Avezzano e causando oltre 30.000 vittime in una vasta area che si estendeva fino a Lazio, Umbria e Abruzzo. La scossa, una delle più violente della storia sismica italiana, distrusse interi paesi, lasciando dietro di sé un paesaggio di macerie e disperazione.

Avezzano, la “capitale” della Marsica, fu quasi completamente rasa al suolo: 10.500 dei suoi 13.000 abitanti persero la vita. Anche altri centri, come Pescina, Celano e Sora, furono gravemente colpiti. Il sisma non risparmiò nemmeno Roma, dove si registrarono danni a monumenti e chiese.

I soccorsi furono immediati ma difficili, ostacolati dalla mancanza di comunicazioni, dal freddo intenso e dalla neve che bloccava le strade. Il primo treno di soccorsi giunse ad Avezzano solo due giorni dopo, portando soldati, medici e volontari da tutta Italia.

L’opera di soccorso fu immane: vennero allestiti ospedali da campo, distribuiti viveri e coperte, e si lavorò senza sosta per estrarre i feriti dalle macerie. La Croce Rossa, il Vaticano e numerosi privati si mobilitarono per portare aiuto alle popolazioni colpite.

Nonostante gli sforzi, il malcontento serpeggiava tra i sopravvissuti, che lamentavano la concentrazione dei soccorsi su Avezzano a discapito degli altri centri colpiti. La ricostruzione fu lenta e difficile, e ancora nel 1921 gran parte degli edifici distrutti non era stata riedificata.

Il terremoto del 1915 lasciò una ferita profonda nella Marsica, ma anche una straordinaria testimonianza di solidarietà e di resilienza. La tragedia mise in luce la fragilità del territorio e la necessità di una prevenzione sismica efficace per proteggere le comunità dal rischio di futuri disastri.

sovrapposizione vecchio e nuovo abitato

Il Terremoto di Avezzano che Scosse l’Italia: la Tragedia del Fucino del 1915

Il 13 gennaio 1915, un terremoto di immane potenza sconvolse l’Italia centrale, lasciando un segno indelebile nella storia del Paese. L’epicentro fu individuato nella conca del Fucino, un’area pianeggiante formatasi dall’antico lago prosciugato, caratterizzata da terreni alluvionali che amplificarono gli effetti devastanti del sisma.

Avezzano, Pescina, San Benedetto dei Marsi e Ortucchio furono tra i centri abitati più colpiti, ridotti in macerie dalla violenza delle scosse. Ad Avezzano, su 11.200 abitanti, oltre 10.000 persero la vita, un bilancio tragico che testimonia la furia distruttrice del terremoto. Un destino beffardo colpì gli abitanti di Ortucchio e Cerchio: molti fedeli, riuniti in chiesa per la messa mattutina, rimasero sepolti sotto il crollo degli edifici.

Illustrazione d’epoca che vede Avezzano

La tragedia mise in luce la vulnerabilità dei centri abitati costruiti su terreni alluvionali, dove gli effetti del terremoto si propagarono con maggiore intensità. Trasacco e Celano, edificate in parte su roccia, subirono danni meno ingenti nelle zone più elevate.

Le onde sismiche si propagarono con violenza in tutta la penisola, raggiungendo Roma, dove crollò una statua dalla Basilica di San Giovanni in Laterano, e interessando un’area vastissima che si estendeva dall’Umbria alle Marche, dal Molise all’Abruzzo. Il terremoto del Fucino del 1915 rimane un monito sulla forza inarrestabile della natura e sulla necessità di una prevenzione sismica efficace per proteggere le comunità più vulnerabili.

Le immagini

Le fotografie che documentano il terremoto della Marsica del 1915 sono migliaia, pubblicate e diffuse negli ultimi 110 anni. Ognuna di esse racconta un frammento di quella immane tragedia, un pezzo di storia impresso nella memoria collettiva.

In questo articolo, abbiamo scelto di rielaborare, grazie alle nuove tecnologie, le immagini tratte dall’importantissimo archivio storico del Comune di Ortucchio. Questi scatti, intensi e struggenti, testimoniano in modo drammatico e suggestivo ciò che accadde in quei giorni terribili. Immaginate persone che, private di ogni cosa, cercavano di sopravvivere al gelo, con temperature che sfioravano i 10 gradi sotto zero, vivendo all’aperto, senza riparo, sopra un mare di macerie. Pensando ad Avezzano che per più del 90% della popolazione, e dove le parole del Vescovo dei Marsi Monsignor Pio Marcello Bagnoli danno l’idea di cosa era accaduto non solo ad Avezzano ma in tutta la Marsica

“Il lutto che ci addolora non è il lutto di un individuo o di una famiglia: è il lutto di una stirpe, di una razza.”

Con queste parole, tratte dalla lettera pastorale per la Quaresima del 1915, Monsignor Pio Marcello Bagnoli, vescovo dei Marsi, si rivolse al clero e al popolo della sua diocesi, descrivendo con rara e toccante efficacia l’immane tragedia che colpì Avezzano e l’intera Marsica all’alba del 13 gennaio 1915.

Un messaggio che, ancora oggi, riecheggia come testimonianza del dolore collettivo di un territorio devastato non solo nelle sue case e nelle sue strade, ma anche nella sua anima e nella sua storia.

Nella tragedia di Ortucchio, però, fu per così dire veramente crudele: durante la messa mattutina, la chiesa crollò intrappolando quasi tutte le donne del paese sotto le macerie, trovarono la morte in centinaia sotto quelle roviine. Si salvarono solo una donna e un religioso. La comunità si ritrovò quasi completamente senza donne, una ferita che segnò per sempre la storia di Ortucchio. Ventinaia di donne morirono quel giorno, lasciando un vuoto che solo la memoria e la testimonianza possono colmare.

Le fotografie che abbiamo scelto non sono solo immagini, ma simboli di un passato che ha forgiato l’identità di una comunità che ha saputo risorgere dal dolore.

La Marsica, una Terra Fragile: Storia di un Territorio Segnato dai Terremoti

La tragedia del 1915 non fu un caso isolato nella storia della Marsica. Questa regione, incastonata nel cuore dell’Appennino, è stata più volte sconvolta da terremoti, sia locali che provenienti dalle zone limitrofe. La sua fragilità geologica, caratterizzata da fratture e faglie, la rende particolarmente vulnerabile ai movimenti tellurici.

Il Fucino, con la sua conca originatasi da un antico lago prosciugato, rappresenta un elemento chiave nella storia sismica della Marsica. Un tempo, un lago carsico occupava questa depressione, alimentato da acque che penetravano nelle fessure del terreno calcareo. Con il tempo, i detriti trasportati dalle acque colmarono il fondo, rendendolo impermeabile e favorendo la formazione del lago.

Il prosciugamento del lago, avvenuto nel XIX secolo, non fu la causa del terremoto del 1915, come alcuni sostennero all’epoca. Le vere cause vanno ricercate nella struttura geologica della zona, soggetta a movimenti tettonici e a fenomeni di assestamento.

Il terremoto del 1915, con epicentro a sud-est di Avezzano, sprigionò una forza devastante, propagandosi lungo le vallate del Salto e del Liri e raggiungendo Umbria, Lazio e Campania. La distruzione fu immane, con oltre 28.000 vittime, di cui più di 10.000 solo ad Avezzano.

La violenza del sisma fu amplificata dalla natura del terreno: i paesi costruiti su detriti e alluvioni subirono danni maggiori rispetto a quelli edificati sulla roccia. Avezzano, San Benedetto dei Marsi e Ortucchio, situate nella conca del Fucino, furono rase al suolo.

Il terremoto del 1915 lasciò una ferita profonda nella Marsica, ma anche una lezione importante sulla necessità di conoscere il territorio e di adottare misure di prevenzione sismica per proteggere le comunità dal rischio di futuri disastri.

Ortucchio

La Marsica Devastata: Un’Analisi del Disastro e della Lenta Ricostruzione

Il terremoto che colpì la Marsica il 13 gennaio 1915 alle 7:50 fu una catastrofe di proporzioni immani. Otto province furono interessate, per un’area complessiva di 16.000 chilometri quadrati e una popolazione di oltre un milione di persone. L’epicentro, situato nella conca del Fucino, sprigionò una forza distruttrice che causò 28.188 vittime, di cui 10.000 solo ad Avezzano, completamente rasa al suolo.

Le condizioni invernali, l’estensione dell’area colpita e la scarsità di vie di comunicazione resero difficili i soccorsi, che giunsero in ritardo soprattutto nei comuni più lontani. Ad Avezzano, le prime truppe arrivarono il 14 gennaio, impiegate immediatamente nelle operazioni di salvataggio e nell’organizzazione dei servizi sanitari e di assistenza. I militari distribuirono viveri, coperte e tende, e si adoperarono per estrarre i feriti dalle macerie e seppellire i morti.

La ricostruzione fu lenta e complessa. Il Genio Civile si impegnò nella costruzione di 20.000 baracche per fornire un riparo immediato alla popolazione, e avviò la costruzione di 1.267 ricoveri stabili. Vennero inoltre riparate circa 10.000 case appartenenti a persone povere e si procedette allo sgombero delle macerie e alla demolizione degli edifici pericolanti.

Tuttavia, le difficoltà furono enormi. La scarsità di materiali e di manodopera, aggravata dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale, rallentò i lavori. Anche l’intervento dell’Unione Edilizia Nazionale, pur con le sue agevolazioni, non riuscì a imprimere la necessaria accelerazione alla ricostruzione.

Fino al 1922, le spese per la ricostruzione ammontarono a circa 210 milioni di lire, senza che l’opera fosse completata. La situazione fu particolarmente grave nella Marsica, dove la mancanza di infrastrutture rese ancora più difficile il trasporto dei materiali e l’organizzazione dei cantieri.

Il terremoto del 1915 mise in luce la vulnerabilità del territorio e le carenze del sistema di prevenzione e di intervento. La tragedia lasciò un segno profondo nella memoria collettiva, stimolando una riflessione sulla necessità di adottare misure più efficaci per proteggere le comunità dal rischio sismico.

Pescina

Il numero delle vittime stimate

Località Abitanti Vittime Percentuale
Avezzano 11279 10700 94.86
Massa D’Albe 602 500 83.06
Pescina 5552 4600 72.44
Ortuccio 2534 1800 71.03
San Benedetto Dei M. 2200 1700 77.27
Cappelle dei Marsi 857 700 81.68
Magliano dei Marsi 2611 1800 68.95
Paterno 2160 1500 69.44
Collarmele 2096 1300 61.98
Cerchio 2582 1200 46.46
Gioia Dei Marsi 1200 800 66.67
San Pelino 1348 800 59.33
Aielli 2280 800 35.09
Corona 401 150 37.41
Canistro 1348 500 33.33
Santa Natalia 637 300 47.12
Lecce Nei Marsi 2088 800 38.29
Venere 552 100 18.12
Scurcola Marsicana 2611 300 11.49
Pescosolido 1278 124 9.70
Antrosano 400 80 20.00
Trasacco 3772 300 7.95
Civita D’Antino 519 40 7.71
Sora 515 300 58.25
Celano 9055 3500 38.65
Luco Dei Marsi 5010 2000 19.96
Scanno 3337 1000 29.98
Castelliri 2224 25 1.12
Villalago 250 20 8.00
Tarre Cajateni 753 10 1.32
Isola Del Liri 2034 25 1.23
Arpino 2958 20 0.68
Monte S. G. in Sab. 1414 25 1.77
Balsorano 7078 5 0.35
Subiaco 2349 10 0.42
L’Aquila 16200 600 3.70
Villetta Barrea 409 10 2.44
Villa Latina 1259 4 0.79
Fontana Liri 1236 3 0.24
Anversa Degli Abruzzi 432 3 0.69
Mussellara 782 4 0.51
Pettina 3170 5 0.63
Belmonte In Sabina 954 2 0.13
Riano 3807 1 0.03
Monteleone Sabino 1446 1 0.04
Valle Rotonda 2529 2 0.04
Campoli 1345 1 0.03
Veroli 3110 1 0.16
Popoli 7988 5 0.05
Lettomanoppello 1244 4 0.08
Monterotondo 10050 1 0.04
Trevi 2337 4 0.01
San Valentino 4473 1 0.01
San Donato 7079 1 0.01

Percentuali di abitazioni distrutte in alcuni comuni della Marsica

Comune Percentuale%
Avezzano 100
Celano 80
Cerchio 80
Collelongo 15
Gioia dei Marsi 100
Lecce Nei Marsi 100
Luco 100
Ortuccio 100
Pescina 90
Trasacco 70
Villavallelonga 100

Memoria di un popolo, voci dalle macerie (I testimoni, i giornali dell’epoca, i sopravvissuti)

Per comprendere la portata devastante del terremoto della Marsica, abbiamo raccolto e sintetizzato le principali testimonianze dei giornali dell’epoca e le memorie lasciate da chi visse quei giorni. Le loro parole, seppur brevi, ci restituiscono immagini vivide di dolore, speranza e solidarietà. Queste sintesi ci aiutano a rivivere quei momenti con il rispetto che si deve a chi ha sofferto e a chi ha trovato la forza di rialzarsi.

La cronaca di un disastro senza precedenti

La scossa principale, di magnitudo 7.0, colpì il cuore della Marsica, cancellando in pochi secondi Avezzano, Pescina, Gioia dei Marsi, Ortucchio e tanti altri borghi, trasformandoli in cimiteri di macerie. Le cronache dell’epoca descrivono una scena spettrale:

“Della stazione di Avezzano non rimase che un cumulo di sassi, dai quali spuntavano solo resti metallici contorti. Le voci dei sepolti vive sotto le macerie si udivano per giorni, poi tacquero una a una.” (Corriere della Sera, gennaio 1915)

Ortucchio si seppeliscono i morti

La testimonianza di Guglielmo Marconi: “Avezzano ha cessato di esistere”

Guglielmo Marconi, il pioniere della radio, giunse ad Avezzano poco dopo il terremoto, accompagnando il Re Vittorio Emanuele III in visita ai luoghi della tragedia. Le sue parole, riportate dalla stampa dell’epoca, dipingono un quadro desolante della distruzione: “Avezzano ha assolutamente cessato di esistere”, affermò Marconi, sconvolto dall’entità del disastro.

Marconi paragonò la distruzione di Avezzano a quella di Messina, colpita da un devastante terremoto nel 1908. Ma ad Avezzano, sottolineò, la devastazione era ancora più completa: “Nessun muro è rimasto in piedi. Sembra come se la città sia stata ridotta in polvere da una gigantesca macchina.”

La popolazione, ancora sotto shock, si era concentrata sul salvataggio dei sepolti vivi, mentre i cadaveri giacevano tra le macerie. Marconi descrisse la disperazione dei soccorritori, troppo pochi per far fronte all’emergenza. “Durante il primo giorno dopo il disastro”, raccontò, “i soccorritori erano così pochi da non poter persino provare a scavare nei posti da cui provenivano invocazioni di aiuto”.

Marconi stesso fu testimone di scene strazianti, come quella delle due alunne intrappolate sotto le macerie della scuola, che imploravano aiuto da sotto un pianoforte che le aveva protette dal crollo. Nonostante gli sforzi, le ragazze erano ancora prigioniere quando Marconi lasciò Avezzano.

Il pioniere della radio si adoperò per organizzare squadre di soccorso e per spegnere gli incendi che divampavano tra le macerie, mettendo a rischio la vita dei sopravvissuti. Marconi sottolineò la difficoltà di intervenire tempestivamente, a causa della mancanza di mezzi e di personale.

La sua testimonianza, lucida e drammatica, offre un’immagine vivida della tragedia di Avezzano. Le parole di Marconi, cariche di dolore e di compassione, rappresentano un appello alla solidarietà e un monito a non dimenticare le vittime del terremoto.

Ortucchio La Chiesa

21 Gennaio 1915: Impressioni di un supersite

“La stazione di Avezzano, orrendamente sventrata, offriva uno spettacolo desolante. In mezzo alle rovine, gli ispettori del telegrafo e del telefono avevano allestito i loro uffici in due casotti di legno, mentre i giornalisti cercavano di comunicare le prime notizie della tragedia. La notte era trascorsa nell’angoscia, senza alcun soccorso. Solo le squadre di volontari provenienti dai paesi vicini si adoperavano per estrarre i sopravvissuti dalle macerie.

All’alba, la notizia dell’arrivo dei soccorsi aveva ridato speranza. Ma quando il treno giunse in stazione, la delusione fu amara: solo 150 soldati, invece dei 2500 attesi. Nessuna Croce Rossa, nessun ospedale da campo, solo una carrozza per le medicazioni. I pochi soldati disponibili vennero inviati a presidiare le banche, mentre i cittadini imploravano aiuto per i loro cari sepolti sotto le macerie.

Insieme a un collega, mi avventurai tra le rovine di via Roma, un percorso agghiacciante tra cadaveri sfracellati e cumuli di macerie. Raggiunta piazza Torlonia, lo scenario era straziante: la piazza ridotta a un piccolo spazio, circondato da montagne di detriti. I sopravvissuti, feriti e smarriti, giacevano sul terreno, con lo sguardo perso nel vuoto.

Il Castello Orsini, simbolo di Avezzano, era crollato. Anche via Napoli, con il nuovo palazzo scolastico e la chiesa di San Francesco, era stata rasa al suolo. Il sole splendeva in cielo, in contrasto con l’orrore che mi circondava. Tra le macerie, i pochi soldati e i parenti delle vittime cercavano disperatamente di salvare i loro cari.

Una madre, con le mani nude, scavava tra le macerie, implorando aiuto per i suoi figli sepolti. Nessuno rispondeva al suo appello. La sua disperazione era straziante. Con l’aiuto di alcuni soldati, riuscii a estrarre una donna dalle macerie, dopo 32 ore di agonia. Ma non c’erano barelle per trasportarla, né un ospedale dove curarla. La adagiammo su una scala a pioli e la portammo alla stazione, dove fu sistemata in una carrozza di terza classe. Morì poco dopo, senza ricevere assistenza medica.

I primi soccorsi furono insufficienti e tardivi. Dopo una settimana dal terremoto, non c’erano ancora cucine economiche né baracche per riparare dal freddo. Il legname disponibile era stato requisito dai militari, lasciando i cittadini senza riparo. Anche la mancanza di conoscenza del territorio da parte dei commissari e degli impiegati rallentava le operazioni di soccorso e di assistenza.

Nonostante tutto, Avezzano sarebbe risorta. Come Reggio, Messina e Casamicciola, anche la città marsicana si sarebbe risollevata dalle sue rovine. La sua posizione geografica e la forza dei suoi abitanti l'avrebbero aiutata a rinascere.
Rasa al suolo

Francesca Biffi: “Due giorni sotto le macerie, il silenzio faceva più paura”

Francesca Biffi era solo una bambina quando il terremoto sconvolse Avezzano. Sopravvissuta con sua madre sotto le macerie, ci racconta un’esperienza di straziante resistenza.

“Rimanemmo sepolte per due giorni e due notti. Mia madre chiamava disperatamente aiuto, non si sentiva un’anima. Il silenzio faceva più paura.”
Francesca venne estratta viva, ma le sue sorelline vennero ritrovate solo sette mesi dopo, probabilmente morte nel disperato tentativo di salvarsi.

Riflessione
L’immagine di una madre e una figlia, coperte di calcinacci e travi, ci ricorda la fragilità umana di fronte alle forze della natura e il dolore delle famiglie spezzate.

Rosa Del Rosso: “La bambina nata sotto le macerie”

Rosa Del Rosso ricorda la storia di Isterina Gatti, rimasta sepolta sotto le travi per otto giorni, durante i quali partorì una bambina che chiamò Fortunata.

“Sotto le macerie partorì una bambina. Le diede il nome Fortunata, perché sopravvisse al disastro. Si nutrì con gocce di neve sciolta.”
In un mondo sepolto sotto la polvere, Isterina trovò un modo per proteggere la figlia con una ciocca dei suoi capelli, stringendola al petto fino al salvataggio.

Riflessione
La storia di Fortunata ci insegna che anche nella disperazione più profonda, la vita può nascere e resistere.

Nicola Iezzi: “La fame e i ricordi di un bambino sopravvissuto”

Nicola Iezzi aveva solo 10 anni quando perse i suoi cari nel terremoto di San Benedetto dei Marsi. La sua testimonianza è un racconto di fame, paura e disperazione.

“I cani randagi sbranavano i cadaveri per la fame. Io, invece, rubai un pezzo di pane e presi uno schiaffone dai soldati: avevo troppa fame per capire la disciplina.”
Nicola non dimenticherà mai la sensazione di fame e le fiamme della cucina da campo. Anche un semplice pezzo di pane, in quei giorni, valeva più di ogni altra cosa.

Riflessione
Il ricordo di un bambino che lotta contro il freddo e la fame ci riporta al dramma dei più piccoli, rimasti soli e orfani in un mondo ridotto in macerie.

La devastazione

Don Luigi Orione: “La Provvidenza non vi abbandonerà”

Don Luigi Orione fu un pilastro di conforto per i sopravvissuti. Si fece carico degli orfani e li portò al sicuro nei collegi romani, garantendo loro una nuova vita.

“Andava nei paesi distrutti per raccogliere orfani e ripeteva: ‘Coraggio! La Provvidenza non vi abbandona.’”
La sua missione umanitaria salvò centinaia di bambini dalla fame e dalla miseria. Era conosciuto da tutti e amato per la sua instancabile opera di speranza.

Riflessione
In un mondo distrutto, Don Orione divenne il simbolo di una fede incrollabile e dell’amore che salva.

Immacolata Trabucco: “L’orfanotrofio e il ricordo della madre”

Immacolata Trabucco perse sua madre durante il sisma e venne portata in un orfanotrofio a Roma, dove rimase per dieci anni.

“Mi fecero salire su un’auto del re. Mi portarono lontano, ma il ricordo di mia madre non mi ha mai lasciata.”
Dopo dieci anni, Immacolata tornò a Ortucchio, costruendosi una vita. La forza della sua memoria e la volontà di sopravvivere la resero un simbolo di resilienza.

Riflessione
Anche lontana dalla sua terra, Immacolata portò nel cuore le sue radici e il legame con la madre, che le diedero la forza di andare avanti.

I giornali dell’epoca: cronache di orrore e speranza

Le cronache giornalistiche del 1915 raccontano la devastazione della Marsica con parole potenti e immagini strazianti.

“La vecchia terra tremò così forte che parve che il mondo perdesse i suoi cardini.” (Il Mattino, 1915)
“Non si vedono che monconi di muri: Avezzano è un sepolcro di 12.000 cadaveri.”

La stampa descrisse le città distrutte, i superstiti smarriti e l’eroismo dei soccorritori che scavavano a mani nude per salvare vite.

Riflessione
Attraverso le parole dei giornali, possiamo sentire l’eco delle grida di aiuto e delle speranze mai sopite. È un dovere ricordare per mantenere viva la memoria.

La Tribuna (13 gennaio 1915): Avezzano, un cumulo di macerie

Le prime notizie che giunsero da Avezzano attraverso La Tribuna raccontavano una città irriconoscibile, dove solo macerie e polvere segnavano lo spazio un tempo abitato da vite e storie.

“Non rimane che il casotto della ritirata e il rifornitore d’acqua. Intorno, solo rovine.”
Il giornalista descrive un mondo scomparso: edifici abbattuti, strade senza forma, case ridotte a cumuli di detriti. Ogni passo tra le macerie era accompagnato da richiami di soccorso e il suono straziante di lamenti che si spegnevano troppo in fretta.

Riflessione
L’immagine della stazione di Avezzano come unico punto di riferimento è simbolo di quanto, in pochi istanti, tutto ciò che era sicuro e conosciuto potesse svanire.

Messa tra le macerie

Il Corriere della Sera (14 gennaio 1915): La città sepolta

Il Corriere della Sera raccontò l’orrore di Avezzano con una narrazione che risuonava di incredulità e sgomento.

“Avezzano è spianata, un’immane rovina. Non si sentono più grida di soccorso: la morte ha vinto.”
Le parole dipingono un paesaggio fantasma, dove le strade non esistevano più e le pareti crollate svelavano scorci di vita privata ormai finita. I superstiti vagavano tra le macerie come ombre, cercando invano i propri cari.

Riflessione
Il Corriere ci ricorda che non fu solo la città a cadere quel giorno, ma anche migliaia di esistenze intrecciate, spezzate dall’improvviso silenzio che seguì al boato.

Il Giornale d’Italia (15 gennaio 1915): Dolore in marcia

Il reportage del Giornale d’Italia si concentra sul viaggio dei treni carichi di superstiti e di famiglie alla ricerca di notizie dei propri cari.

“Il treno procedeva lento tra ponti danneggiati e gallerie pericolanti. Dai finestrini si scorgevano solo ombre di rovine e paura.”
Ogni stazione divenne una tappa della disperazione: uomini e donne si sporgevano dalle carrozze per chiedere informazioni su Avezzano, ma la risposta era sempre la stessa: distrutta.

Riflessione
Quell’ultimo viaggio verso la Marsica fu una processione di dolore e speranza, spezzata ogni volta che la verità si faceva strada tra le lacrime.

la maclelazione di un bovino per alimentarsi

Il Mattino (14 gennaio 1915): La città sommersa dalla polvere

Il Mattino riportò le prime immagini della distruzione, parlando di una città cancellata e avvolta da una nube grigia di calcinacci.

“Un polverone biancastro si levava sopra la città abbattuta. L’aria aveva un odore acre, come di morte sospesa.”
Il giornalista descrive i pochi superstiti, feriti e sporchi di polvere, che cercavano di raccogliere legna per accendere fuochi improvvisati nella speranza di un po’ di calore.

Riflessione
L’immagine della nube di calcinacci che avvolse Avezzano è rimasta impressa nella memoria collettiva: un segno tangibile della fine di un’intera epoca.

La Vigilia: Le strade senza nome

La Vigilia pubblicò una descrizione straziante della totale scomparsa delle strade e dei luoghi familiari di Avezzano.

“Le case non avevano più un nome: erano un confuso ammasso di macerie, sotto cui si spegnevano tante esistenze.”
La descrizione è potente nella sua semplicità: interi quartieri erano diventati anonimi cumuli di pietre, privi di ogni segno distintivo. La città era irriconoscibile persino per chi l’aveva abitata.

Riflessione
Il terremoto non distrusse solo le vite, ma cancellò anche le memorie dei luoghi, trasformando le strade di Avezzano in sentieri senza nome.

Francesco Ciccarone: La solidarietà nazionale

Ciccarone raccontò con commozione la straordinaria solidarietà che si mosse da tutta Italia per soccorrere i terremotati.

“L’immane catastrofe trovò la risposta di una nazione intera: un popolo unito nel dolore e nella pietà.”
Collette, aiuti, medici e volontari arrivarono da ogni parte del paese. Ospedali e convogli ferroviari vennero attrezzati per accogliere feriti e orfani, mostrando che, nella tragedia, l’Italia seppe dimostrare un’anima solidale.

Riflessione
La solidarietà nazionale, raccontata da Ciccarone, ci ricorda che anche nelle peggiori tragedie, l’umanità trova sempre una via per rialzarsi.

I soccorritori

Giovanni Cena: La guerra invisibile

Per Giovanni Cena, il terremoto non fu solo una tragedia naturale, ma una guerra combattuta contro la devastazione e il tempo.

“Il terremoto è guerra. E la guerra vuole una milizia: braccia per salvare i vivi e seppellire i morti.”
Cena racconta con lucidità la difficoltà dei primi soccorsi e l’impreparazione iniziale, ma anche l’eroismo di chi scavava con le mani nude per salvare vite o dare degna sepoltura ai morti.

Riflessione
La metafora della guerra evoca l’idea di una lotta contro la distruzione e il destino. Cena ci insegna che la dignità dei vivi e dei morti richiede impegno e sacrificio.

Papa Paolo VI (1965): Il ricordo delle vittime

Cinquant’anni dopo il terremoto, Papa Paolo VI inviò un messaggio di cordoglio ai marsicani, sottolineando l’importanza della memoria.

“L’anniversario riporta alla memoria le tragiche immagini di quella desolazione, ma anche il conforto ricevuto nella prova.”
Le parole del pontefice risuonano come un monito: ricordare è un atto di fede e di amore verso chi ha sofferto e verso chi è rimasto.

Riflessione
Il messaggio di Papa Paolo VI ci ricorda che il ricordo non è solo celebrazione, ma anche promessa: che tragedie simili non vengano dimenticate né ripetute.

Avv. Filippo Carusi: La voce della Marsica

L’avvocato Carusi, nel 1915, lanciò un appello accorato affinché i soccorsi fossero organizzati al meglio.

“La nostra terra è viva, anche se stupefatta dal dolore. Non ci lasceremo staccare dalle nostre montagne.”
Le parole di Carusi non erano solo un grido di aiuto, ma anche un atto di resistenza. La Marsica voleva essere partecipe della propria rinascita.

Riflessione
L’appello di Carusi è il simbolo di un popolo che, anche nella devastazione, non abbandona la propria identità.

Gaetano Squilla: “La desolazione della Valle Roveto”

Gaetano Squilla descrive le terribili condizioni di vita delle popolazioni della Valle Roveto prima e dopo il sisma. La povertà, le case malsane e l’alimentazione insufficiente amplificano l’impatto della tragedia del 13 gennaio 1915.

“In pochi secondi, il terremoto seminò rovina, desolazione e morte. Intere chiese crollarono durante la Messa, seppellendo sacerdoti e fedeli.”
Meta e Canistro furono tra i borghi più colpiti. La conta delle vittime salì a circa 500. La popolazione, già provata dalla miseria, si trovò improvvisamente senza casa, senza affetti e senza risorse.
Tuttavia, l’Italia rispose con uno slancio solidale straordinario: arrivarono tende, viveri, coperte e i soldati scavarono tra le macerie salvando chi potevano.

Riflessione
La Valle Roveto ha sempre conosciuto il peso della mala sorte, ma il 13 gennaio 1915 segnò un punto di non ritorno. Tuttavia, da questa tragedia nacque anche un esempio di fratellanza nazionale che unì l’Italia intera.

Camillo Tollis: “Massa d’Albe: la rinascita simmetrica dopo la tragedia”

Camillo Tollis racconta la devastazione di Massa d’Albe e delle sue frazioni: Corona, Forme, Castelnuovo, Antrosano e San Pelino, che persero in totale 425 vite umane.

“Nei primi mesi, i superstiti vissero sotto tende e baracche di legno. Poi sorsero casette in muratura, disposte simmetricamente lungo strade che diedero un ordine nuovo al paese.”
Le opere pubbliche vennero ricostruite grazie al sostegno dello Stato: nacquero l’asilo e la scuola, edifici pensati per dare ai bambini un futuro nonostante il passato tragico. Le due chiese parrocchiali di Corona e Massa furono ricostruite nel 1930, a distanza di anni dalla distruzione.

Riflessione
Il racconto della rinascita di Massa d’Albe ci ricorda quanto la ricostruzione fu non solo una necessità pratica, ma anche un atto di resistenza e speranza.

Monsignor Domenico Scipioni: “Magliano, l’illusione di essere salvi”

Monsignor Scipioni descrive con commozione l’apparente salvezza di Magliano dei Marsi: chi osservava il paese da lontano credeva fosse scampato alla distruzione, vedendo ancora in piedi il campanile.

“Magliano! Chi osserva il campanile da lontano pensa che il paese sia intatto. Ma attraversando le sue strade, le lacrime sono inevitabili: tutto è crollato, un cumulo di macerie informe e volgare.”
Il centro storico fu completamente devastato: 700 persone morirono sotto le loro stesse case. I corpi venivano caricati sui carri e sepolti in una cava lungo la strada per Massa. Solo pochi ebbero una degna sepoltura nel cimitero di San Martino.

Riflessione
L’immagine del campanile intatto ma circondato da macerie è un potente simbolo di speranza e inganno: anche quando sembra che qualcosa sia salvo, la realtà può rivelarsi molto più dolorosa.

Don Augusto Orlandi: “I rioni salvati e l’eroismo dei soccorritori”

Don Augusto Orlandi nei suoi appunti racconta con precisione i dettagli della tragedia di Magliano e la disperazione dei superstiti.

“I superstiti si chinavano sui resti delle loro case, trattenendo il respiro, sperando di sentire un segno di vita sotto le macerie.”
I volti erano inebetiti dallo spavento. Alcuni si salvarono perché si erano alzati presto per accudire il bestiame. Le case nuove, costruite da poco, rimasero in piedi, mentre i vecchi edifici crollarono con un boato assordante. I soccorsi furono ritardati perché i soldati, vedendo da lontano il campanile, credettero che il paese fosse rimasto indenne.

Riflessione
Il ritardo dei soccorsi per un errore di prospettiva ci insegna quanto ogni minuto fosse vitale in quei tragici giorni.

Monsignor Ferrazza: “La carezza del Papa ai superstiti”

Monsignor Ferrazza racconta l’arrivo dei feriti e degli orfani marsicani negli ospedali pontifici e nella villa di Castel Gandolfo, voluta da Papa Benedetto XV per accogliere i sopravvissuti.

“Tra le linde corsie dell’ospedale di Santa Marta, i superstiti videro aggirarsi il Pontefice: le sue parole affettuose fecero rinascere speranza e vita.”
I bambini orfani, accolti a Castel Gandolfo, riempivano i giardini con le loro voci, protetti dall’amore paterno del Papa. I superstiti raccontavano che la sua presenza, semplice e amorevole, li faceva sentire ancora vivi.

Riflessione
Le azioni di Papa Benedetto XV ci ricordano che la cura dei più deboli può essere la scintilla che riaccende la vita anche dopo le peggiori tragedie.

Giuseppe Di Girolamo: “Il campanile come segno di speranza”

Giuseppe Di Girolamo racconta la storia del campanile di Magliano che, nonostante le profonde crepe, rimase in piedi durante il sisma.

“Il campanile, ferito e compromesso, divenne il simbolo di una città che si rifiutava di cadere completamente.”
I soccorritori raccontavano che quella visione li riempiva di speranza: un segno che, tra tanta devastazione, qualcosa poteva resistere.

Riflessione
Il campanile di Magliano ci ricorda che anche le rovine possono essere simboli di speranza e che ogni ricostruzione parte da ciò che rimane.

“Non dimentichiamo”

Queste storie sono più di semplici racconti: sono voci che ancora parlano dal passato, chiedendoci di non dimenticare. Oggi, la Marsica è rinata dalle sue ceneri, ma le memorie di quel 13 gennaio 1915 sono un monito di forza, resistenza e memoria collettiva.

La storia del terremoto del 1915 non è solo il racconto di una catastrofe, ma anche la testimonianza della resilienza e della forza del popolo marsicano. Di fronte alla completa distruzione di Avezzano e dei paesi limitrofi, gli abitanti hanno dimostrato una straordinaria capacità di reagire e ricostruire, trasformando il dolore in energia per ricreare una comunità più forte. La devastazione lasciata dal sisma non ha spezzato lo spirito di chi ha scelto di restare, di rialzarsi dalle macerie e di guardare al futuro con determinazione.

La Marsica, terra di tradizioni profonde e radicata solidarietà, è diventata il simbolo di un popolo che non si arrende. Ogni pietra rimessa al suo posto, ogni strada ripristinata e ogni casa ricostruita raccontano la tenacia di uomini e donne che, nonostante le perdite, hanno trovato la forza di ricominciare. Il tessuto sociale, gravemente ferito, è stato ricucito grazie a un forte senso di appartenenza e al supporto reciproco, che ha permesso di trasformare il dramma in una rinascita condivisa.

Oggi, la memoria di quella tragedia vive nei cuori e nelle storie di chi abita la Marsica. Guardare alle immagini di Avezzano prima del terremoto non è solo un viaggio nel passato, ma un invito a riflettere sulla straordinaria capacità di un popolo di risorgere dalle proprie ceneri. È una lezione di forza e speranza che continua a ispirare le generazioni presenti e future, ricordando che anche dalle prove più dure può nascere una nuova vita.

Immagini di una città perduta: Avezzano prima del terremoto del 1915

Come abbiamo detto, avremmo potuto utilizzare migliaia di immagini, ma in questo articolo commemorativo nella memoria abbiamo scelto quelle più evocative, capaci di raccontare gli eventi che hanno segnato la storia. Per l’iunica galleria fotograficva abbiamo scelto le fotografie che mostrano ciò che Avezzano era prima della devastazione causata dal terremoto.

Una città fiorente, con oltre 10.000 abitanti, rasa al suolo in pochi istanti. Il terremoto non ha risparmiato nulla: uffici, case, edifici pubblici, tutto è crollato. L’unica abitazione rimasta in piedi fu un’eccezione in un mare di macerie.

Con queste immagini vogliamo offrire uno sguardo su un passato ormai perduto, un ricordo visivo che rende omaggio a ciò che Avezzano è stata prima di quel tragico 13 gennaio 1915. Un viaggio nella memoria collettiva, per ricordare e riflettere.

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