6 gennaio 1980, Epifania di sangue a Palermo

Piersanti Mattarella

di Maurizio Cichetti

Quella mattina -è domenica 6 gennaio 1980-, per la messa dell’Epifania, la famiglia di Piersanti Mattarella non è diretta alla solita parrocchia palermitana di Santa Lucia ma, essendo stati invitati a pranzo da amici che abitano in un’altra zona, è in procinto di raggiungere la chiesa di Francesco di Paola, a circa due chilometri dalla loro casa di via della Libertà.
Come d’abitudine nei giorni di festa, Piersanti, presidente, in quel momento dimissionario della regione Sicilia, aveva congedato gli agenti assegnatigli per la scorta, nonostante gli oltre cinquanta omicidi di mafia contati, nella sola Palermo, nel 1979, l’anno appena trascorso. “Se vogliono ammazzarmi, lo fanno ugualmente”, aveva confidato agli amici più cari. E’ quindi lui, Piersanti, nella tarda mattinata di una grigia giornata palermitana, alla guida della sua 132 blu, che ha appena risalito, a marcia indietro, la rampa del garage, dove nel frattempo è rimasto il figlio ventenne Bernardo, per chiudere il box. Sul passo carrabile l’auto si ferma per far salire la moglie di Piersanti, Irma, la secondogenita Maria, da pochi giorni diciottenne, e la suocera. Pochi attimi, e si compie la tragedia. Vanno in frantumi i vetri del finestrino anteriore, dalla canna di una pistola partono diversi colpi verso Piersanti. A sparare un giovane, poco più che ventenne, con un cappuccio in testa, che era già stato notato muoversi qualche attimo prima nel cortile del bar attiguo.

Dal fondo della rampa, il figlio Bernardo, l’unico della famiglia a non essere ancora a bordo dell’auto, vede il sicario dirigersi verso una Fiat 127 -già prima casualmente notata in sosta nei pressi con due uomini a bordo- e parlare in modo concitato con il complice seduto nell’auto che -stabiliranno poi le indagini- consegna al killer una seconda pistola, essendosi la prima inceppata. L’assassino torna quindi verso l’auto di Mattarella e spara ancora, stavolta dall’altro lato della macchina, dal finestrino posteriore. Quindi il killer si avvia verso la 127 che lo aspetta, a motore acceso, sgommando via.
Sono momenti di orrore e di concitazione. Il figlio Bernardo, sconvolto, chiama prima il 113 e poi lo zio Sergio (il futuro e attuale Presidente della Repubblica) che abita a pochi isolati di distanza. Bernardo è talmente scosso che non  riesce nemmeno a dirgli la verità: “Zio, corri giù, c’è stato un incidente a papà”. Sergio Mattarella si trova davanti ad una scena terribile. Insieme a un medico amico di famiglia, che si trovava lì di passaggio, caricano Piersanti Mattarella ormai in agonia su una volante della polizia, accorsa prima dell’ambulanza. Vi salgono anche loro e corrono verso il pronto soccorso di Villa Sofia. Ma per Piersanti Mattarella non c’è scampo. Raggiunto da sei pallottole, muore pochi minuti dopo l’ingresso in quell’ospedale. Aveva 44 anni.

Con la sua morte finiva una formidabile stagione di rinnovamento politico e morale, che aveva visto nella figura di Piersanti Mattarella un riferimento di alto profilo, con una azione fondata sulla lotta agli opachi interessi politico-mafiosi che da sempre condizionavano la vita in Sicilia. Ma quello dell’omicidio del presidente della Regione Mattarella è rimasto, almeno fino ad oggi, uno dei grandi misteri irrisolti della storia del nostro paese. Se, infatti, come mandanti, sono stati condannati i vertici della cupola mafiosa, sono rimasti sconosciuti gli autori materiali del delitto, nonostante l’ipotesi, a lungo valutata ma poi di fatto caduta, di un collegamento con l’eversione nera. Si diceva, almeno fino ad oggi, perché nuovi accertamenti portati avanti in questi mesi dalla procura palermitana starebbero permettendo di poter dare un nome agli autori materiali del crimine. In coincidenza, insomma, col 45esimo anniversario di quella tragica Epifania di morte, un barlume di speranza e verità, nel ricordo di un uomo, Piersanti Mattarella, che ha vissuto il suo impegno politico come un valore assoluto.

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