La storia della Marsica, subito dopo la prima metà del Cinquecento, sarà caratterizzata da avvenimenti riguardanti la grande aristocrazia romana (Colonna, Piccolomini, Peretti, Savelli), infeudata lungo la montagna della frontiera pontificia, per motivi e ricompense di ordine essenzialmente militare. Tra complessi scenari, intervennero fattori come: azioni autonomistiche baronali in contrasto con l’autorità dei viceré spagnoli; diffusione di banditismo endemico a frequente estrazione aristocratica; fuoriuscitismo politico-nobiliare con scorrerie, scontri, vendette e tentativi di repressione. Tutto questo investì non solo la Marsica bensì gran parte della penisola.
Come ha ben specificato lo storico aquilano Colapietra, si trattava di bande armate di dissidenti che spesso serviranno ad appianare alcuni dei maggiori contrasti di fondamentali, tipicamente strutturali del mondo pastorale abruzzese (1).
Tuttavia, per tutta l’età moderna e oltre, il cosiddetto banditismo fu nel Mezzogiorno d’Italia un fenomeno costante, una manifestazione endemica che in alcuni periodi, spesso in concomitanza con l’aggravarsi delle congiunture economiche e politiche, assunse più ampie dimensioni e attraversò fasi di grave virulenza. L’azione repressiva condotta contro le terribili bande di Marco Sciarra costituì, anche nella Marsica, un importante banco di prova per valutare l’efficacia degli organi competenti in materia repressiva e della normativa speciale che era stata emanata per supportarne il lavoro dell’Udienza aquilana.
Nel 1585, quando le comitive abruzzesi si stavano riunendo in una sola formazione che, forte di circa un migliaio di uomini, riconobbe Marco Sciarra come capo, fu nominato «Commissario Generale di Campagna» Jaymo de Alagon, seguito poi da Diego de Aldana e infine da Vasco de Acuña. In questa lotta serrata, già qualche anno dopo (1590), il fallimento della debole azione dei commissari, forniti di poche soldatesche spagnole, divenne palese. Lo storico Rosario Villari, con i suoi rigorosi studi, ha dimostrato che in questo periodo la crisi della pubblica amministrazione con l’incremento del banditismo, erano strettamente connessi ai brutali metodi seguiti dai soldati, dai commissari e dai subalterni di governo. Tutto il peso del conflitto si riversava, così, sulle deboli spalle della popolazione rurale; infatti, nel tentativo di mobilitarla contro i banditi, gran parte del basso ceto era vessata «anche se poi a causa della loro violenza, sortiva spesso l’effetto opposto» (2).
In questo scenario d’intemperanze anarchiche, con schieramenti a favore dei francesi o degli spagnoli (con l’Imperatore o contro il Papa), nel comprensorio marsicano ebbe particolare rilevanza il devastante episodio di un noto capobanda: «Il famoso bandito Marco Sciarra era capo d’una masnada di gente la più ribalda che mai. Suoi quartieri principali furono i monti e i folti boschi di Luco, Trasacco, Collelongo e Villa Collelongo» (3).
Il 25 aprile 1592 la banda assalì Trasacco, facendo: «grandinare le archibugiate in esso» (4). Gli abitanti del piccolo borgo posto sulle sponde del lago, sostenuti e incoraggiati a resistere dai capitani Annibale e Alessandro Baronio, riuscirono a resistere all’assalto. L’ardita resistenza durò ben sette ore e costrinse i banditi alla ritirata, dopo aver lasciato sul campo parecchi di loro. Nel ricordo dello storico Febonio, i trasaccani murarono in una parete della piazza le ossa dei fuorusciti caduti in combattimento (5).
Tanto è vero che Marco Sciarra, ritenendo troppo ardua l’impresa, diresse i suoi uomini al saccheggio di Collelongo e Gioia. In proposito, nell’Archivio Diocesano dei Marsi, rimangono tracce del passaggio della banda, in una relazione inviata al vescovo, firmata dai Massari Carlo Febonio e Gentile Tarola, approvata con segno di croce anche da quelli di Collelongo, Angelo Cesta e Giocondo Gasbarro. L’episodio principale di quel drammatico scontro fu chiarito in seguito dal sacerdote don Massimo Apone, il quale asserì che il giorno dopo la drammatica carneficina di Gioia, la sentinella messa di guardia sulle mura di Trasacco, dette l’allarme cominciando «a gridare, et a dire che calavan gente per la montagna di Alabrone, et perché v’era suspicione per le scaramucce fatta con detti Banditi dalle genti di Trasacco stavano colle porte serrate, et uscita fora li nostri per riconoscere detta gente, trovorno esser D.Baldassaro Quatraro delle Cese».
In groppa a un somaro carico di bottino, Il prete di Cese fu subito circondato dalla milizia cittadina e catturato. La refurtiva che portava con sé, fu deposta nella chiesa di S.Cesidio, per esser messa a disposizione di Matteo Colli, allora vescovo dei Marsi. Esaminando il carteggio del Processo, inoltrato alla Curia pontificia, si evidenziano alcuni scorci d’epoca davvero interessanti e, soprattutto, l’inquietante figura di don Baldassaro Quadraro. Dalle testimonianze è un ecclesiastico ribelle, smascherato dal reverendo Rosati che anni prima lo aveva già denunciato al Tribunale della Vicaria di Napoli come reo sacrilego, sorpreso a rubare oggetti preziosi persino alla sacra immagine della Madonna: «et più volte ha fatto di questi atti, et io sempre come religioso mi son posto in mezzo, tra il popolo delle Cese, et li pastori, sopportando la sua mala natura» (6).
Nel dettagliato resoconto si rileva che il prete di campagna, aveva spesso ospitato nella sua parrocchia famosi banditi dello Stato pontificio, come: «Pacchiarotta, Pietrangelo, La Morte» e altri fuorusciti napoletani fino al giorno prima dell’attacco ai villaggi marsicani. Fuggito Marco Sciarra dalla Marsica (diretto a Venezia), il sacerdote ribelle venne tradotto nelle carceri di Avezzano e poi carcerato in attesa di giudizio «nella Rocca di Scurcola, dove stette molto tempo, et per le preghiere d’altri, detto Vescovo lo fece scarcerare». Scampò alla pena capitale per le suppliche dei parenti e delle benevole attestazioni di Alessandro Febonio, Giovanni Antonio Catarinacci e don Sutio Bartolucci che cercarono di attenuare le sue responsabilità nel grave evento. Passati alcuni mesi dal saccheggio di Gioia, qualcuno si recò alla Curia di Pescina, per riavere indietro il somaro che aveva portato in groppa la refurtiva di don Baldassarre Quadraro: « venne uno di Gioia che dicea esser padrone della somara per ricuperarla, et trovò esser morta, e che fosse stata per la fatica, o per l’infirmità» (7).
NOTE
- Colapietra, Le insorgenze di massa nell’Abruzzo in età moderna, in «Storia e Politica», fasc.IV, 1980-fasc.I, 1981, pp.580-186.
- Villari, La rivolta antispagnola a Napoli: Le origini (1585-1647), Bari 1967, pp.81-91. Per una dettagliata ricostruzione della lotta contro le bande capeggiate da Marco Sciarra si veda: D.A.Parrino, Teatro eroico e politico de’ governi de’ viceré del Regno di Napoli dal tempo del re Ferdinando il Cattolico fino al presente, Napoli, 1770, vol.1, p.42; G.Morelli, Contributi per una storia del brigantaggio durante il vicereame spagnolo, Marco Sciarra (1584-1593), in Archivio Storico per le Province Napoletane, LXXXV-LXXXVI, 1970, pp.293-328; Polverini Fosi, Corpi armati e ordine pubblico in Italia (XVI-XIX sec.), a c. di L.Antonielli e C.Donati, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 2003.
- Brogi, La Marsica antica, medioevale e fino all’abolizione dei feudi, Roma, Tip. Salesiana, 1900 (rist.anast., Cerchio, Adelmo Polla Editore, 1979), p. 347.
- Febonio, Vita delli Gloriosi Martiri S.Cesidio Prete e S.Rufino suo padre primo Vescovo de’ Marsi, Roma 1643, pp. 102-105.
- Fondi pergamenaceo e cartaceo dell’Archivio della Collegiata di S.Cesidio di Trasacco, Rogito III, Sec.XVIII, f.9, Episodio di Marco Sciarra. Origine della processione nella festa di San Marco, Deputazione Abruzzese di Storia Patria, L’Aquila, 1984.
- Archivio Diocesano dei Marsi, Fondo C/6/179, Trasacco, Anno 1610; cfr., L.Antinori, Annali degli Abruzzi, vol. XXI, ff.5-6, Anno 1604.
- Ivi.