Avezzano – Per molto tempo lo sport si è identificato in un’attività praticata da un numero ristretto di persone, che venivano seguite da una massa di altre, a torto denominate “sportive”, Lo sport praticato passivamente dagli spettatori ha comunque una matrice ben precisa e caratterizzante di un lungo periodo che, dal dopoguerra in avanti, si è venuto evolvendo soprattutto intorno allo sport più importante e più seguito: il gioco del calcio. Presumendo la presenza in campo di poche decine di giocatori effettivi, la massa sportiva era costituita da tifosi seduti sugli spalti di stadi sempre più capienti, i quali, durante le partite, limitavano la loro attività motoria a sbracciarsi in caso di falli o ad alzarsi battendo mani e piedi in caso di goal. Nella realtà odierna, non è così.
Questa affermazione parte da una diversa realtà sociale che nel giro di pochi anni, soprattutto tra i giovani, ha assimilato una diversa concezione di sport inteso senza dubbio anche come “tifo”, ma che pone in primo piano l’attività sportiva individuale. Lo sport è stato proposto dalle varie società sportive, nonché dagli enti locali e dalla scuola, come un momento culturale valido, se praticato attivamente. Molti ragazzi oggi praticano uno o più sport non solo nei cortili sotto casa, ma in strutture appositamente create per questo tipo di attività. La pallacanestro, il nuoto, più ancora del calcio, sono sport che impegnano migliaia di giovani nella città come nei paesi. Questo passaggio è avvenuto soprattutto grazie all’intervento di insegnanti, dirigenti di società, assessori, che si sono posti il problema dello sport cercando di coinvolgere in questa attività il maggior numero di persone, in primo luogo i giovani, partendo da un buon inquadramento dell’attività sportiva. Nonostante la carenza cronica di strutture, che è uno dei mali maggiori della politica scolastica italiana, gli insegnanti di educazione motoria, nella scuola primaria come nelle superiori, hanno cercato di avvicinare i ragazzi all’attività sportiva a un nuovo concetto di educazione motoria, nel quale venivano sottolineate le valenze culturali e sociali. Una buona attività motoria investe il modo di vivere prima a livello individuale e poi collettivo; può diventare gioco e, se ne vale la pena, tradursi in sport. Lo sport è così il momento finale di un processo di avvicinamento all’attività motoria che parte proprio come recupero di una educazione al movimento, al gesto, all’atteggiamento corporeo.
Da una simile concezione di attività motoria, si evidenzia l’intento di educare attraverso il movimento, impegnando la creatività, l’attenzione, la memoria, la fantasia. Creando nel ragazzo un’abitudine al movimento corretto, preciso, che è coscienza del proprio inserimento nello spazio, gli si dà una quotidiana abitudine all’attività fisica che sottende di per sé una concezione di sport non competitivo, ma che vale per sé stesso, al di là di traguardi o risultati raggiunti. Sono sempre in aumento i ragazzi che vogliono praticare qualche sport, perché nello sport partecipato, attivo, c’è una gratificazione che trascende l’abilità tecnica, ed è avvertita da tutti, dotati e meno dotati. Oggi il distacco tra sport e cultura va riducendosi, grazie alla presa di coscienza di tutta questa vasta problematica in evoluzione, che valorizza lo sport come momento culturale di primo piano. (V.L.)