Settecento Marsicano. L’analisi del riformatore napoletano Giuseppe Maria Galanti

Giuseppe Maria Galanti fu annoverato dai contemporanei, tra gli autori più lungimiranti di opere statistiche. Tutt’oggi è considerato dagli storici moderni uno dei più attenti osservatori di «fenomeni sociali ed economici» del suo tempo. Di fatto, la sua descrizione geografica e politica del regno di Napoli rimane un documento ben noto e frequentemente citato da molti studiosi dell’economia meridionale (1). L’insigne personaggio (allievo del Genovesi), consapevole dei problemi del reame, si mise al servizio del governo borbonico per combattere le ingiustizie, migliorare le condizioni delle popolazioni, ridimensionare i poteri feudali ed ecclesiastici.

In questa sede, muovendo dallo scenario socio-economico della Marsica, territorio che l’innovatore napoletano visitò personalmente intorno al 1795, esamineremo i modi di redazione e le caratteristiche estrinseche della sua indagine (2).

La sua opera innovatrice, occupò un posto singolare nella storia del movimento riformatore di quegli anni durante il regime borbonico. Galanti scelse tale rigorosa disciplina geografica, per offrire possibili chiavi di lettura del territorio esplorato.

Lo studioso, partendo da considerazione di geografi antichi e moderni, si addentrò man mano nella realtà dell’humus napoletano, adottando una metodologia di scienza politica.

Tra i suoi meriti gli furono riconosciuti quello di aver diffuso nell’ambiente meridionale una profonda riflessione su temi geo-sociali, che in seguito stimoleranno altri importanti personaggi del governo borbonico (Tanucci, Filangeri, Galiani, Pagano, Palmieri, etc.), tutti impegnati a risolvere l’intricata riforma dell’amministrazione centrale e periferica del regno (3). In realtà, la sua dettagliata indagine, diretta a denunciare soprattutto i mali che attanagliavano il Mezzogiorno, venne ripresa alcuni anni dopo (1811) dalla prima valutazione francese: la cosiddetta statistica murattiana, attingendo proprio dall’opera del Galanti. Infatti, Giuseppe Bonaparte, diventato re di Napoli, presentò una: «Relazione anonima nella quale si valuta l’attendibilità della Descrizione come fonte d’informazione per l’operato del nuovo governo», ampliata poi dal suo successore Gioacchino Murat.

L’Abruzzo aquilano, come abbiamo detto, fu visitato dal Galanti e suo fratello nel 1795.

L’osservatore, in maniera specifica, rilevò subito che il territorio marsicano si trovava in balia di disordini, anomalie, ingiustizie gravi e una conflittualità accentuata tra feudatari, ecclesiastici e municipi, fotografando così un popolo alla vigilia della rivoluzione antinapoleonica: «senza una coscienza unitaria di se stesso». Oltretutto, come ben afferma lo studioso Michelangelo Schipa, cittadini, plebe, nobiltà e signori, erano molto divisi: «da antagonismi di classe, da sproporzioni di ricchezze, da interessi provinciali e cittadini, senza neppure una di quelle passioni militari, religiose, politiche, che creano unità pur nella diseguaglianza, colmando questa nell’unità d’azione […]» (4).

Sensibile alla crisi generale che colpiva soprattutto le popolazioni rurali, l’infante re Carlo di Borbone promosse nel 1736 nella Marsica, come in tutto il regno di Napoli «una nuova situazione dei fuochi», che non dette però i risultati sperati per risarcire il grave debito fiscale residuo. Tuttavia, analizzando in dettaglio la computazione delle famiglie marsicane (fuochi tassati), prevalse la supremazia numerica di Tagliacozzo (355); Pescina (329); Celano (324); Avezzano (276); Rocca di Mezzo (230); Gioia (211); Luco (193); Aielli (130); Villavallelonga (128); Ortucchio (120); Ovindoli (102); gli altri paesi del comprensorio si trovavano al di sotto delle cento unità.

Oltremodo, per dare un po’ di respiro ai comuni, fu di nuovo necessaria un’equa ripartizione del numero dei membri familiari (5), seguita dalla tassazione dei possedimenti e delle rendite che, per la prima volta, incluse anche i religiosi, fino allora esclusi da tali imposte (si vedano le modalità dei catasti onciari). In proposito, Galanti, dopo attenta analisi dei dati a disposizione, rilevò parecchie discordanze : «Gran maneggi si misero in opera nella formazione de’ catasti: i ricchi si prevalsero delle mani de’ Subalterni e delle Istruzioni. L’oppressione del povero e la prepotenza del ricco continuarono, e continueranno sempre fintanto che non si penserà preliminarmente a riordinare il governo municipale ed a stabilire il governo economico provinciale [] I poveri, che formano il maggior numero, non hanno né terre, né produzioni, e sussistono colle mercedi che danno le fatiche delle loro braccia, onde diconsi volgarmente bracciali» (6).

Altre considerazioni negative furono espresse sui municipi marsicani, chiamati ad amministrare con coscienza i beni della «popolazione e le opere pubbliche che le appartengono; in curare l’esazione de’ tributi fiscali, in fare le spese locali ed in avere la polizia del proprio paese». Infatti, il consiglio pubblico delle comunità zonali, detto comunemente «Parlamento», era spesso presieduto da: «i tristi e gli sfaccendati, che vivendo sul governo de’ comuni, fanno nascere le più accanite contese». Tanto era vero che: «l’elezione della municipalità è una fonte perenne di litigi, poiché i comuni non hanno costituzione uniforme perché le leggi non sono osservate. Non sono osservate perché vanno soggette a gran conflitti intrinseci, ed a quelli che suscitano le particolari passioni, l’influenza de’ potenti feudatari ed altrettanti cagioni» (7).

Ad esempio, una delle critiche situazioni denunciate dal Galanti, potrebbe essere quella accaduta 28 luglio 1736, quando una dura controversia raggiunse la Regia Camera della Sommaria di Napoli, su denuncia del commissario conte Coppola. La disputa riguardava il nobile Antonio Vetoli, signore di Corcumello e San Sebastiano, che con le minacce aveva fatto eleggere una combriccola di suoi accoliti nel Parlamento municipale: «costoro, dopocché d’ordine suo eransi fatte indebite esazioni, imposero persino una nuova Gabella, forzando ciascun cittadino tanto della Terra di Corcumello, quanto della Villa S.Sebastiano, che va compresa colla medesima, a pagare Carlini venti ogni anno per Fuoco [famiglia], oltre i pesi forzosi, Regi, e Baronali, e le solite imposizioni, che i miseri soffrivano senza che a far ciò fusse Pubblico Consiglio convocato» (8).

In questo scenario il malessere popolare, ampiamente diffuso nel vasto territorio della Marsica (e non solo), si manifestò spesso con violente rivolte. Il 22 agosto del 1788 alle autorità del luogo apparve complessa la congiuntura verificatasi presso Celano: un chiaro segnale dell’insofferenza del basso ceto, ormai stanco di soprusi e prepotenze giornaliere. Esaminando la documentazione d’archivio, si rileva che Giancarlo Alessandroni, giudice e governatore del paese, fece arrestare un certo Ignazio D’Alessandro, colpevole di aver fatto resistenza alle guardie armate della Corte.

Tradotto nelle carceri «esistenti in questo castello Baronale», fu messo ai ferri e ben sorvegliato come sovversivo. Qualche ora dopo, suo figlio Felice, accompagnato da un folto gruppo di popolani, reclamò l’immediata scarcerazione del padre, minacciando di morte il bargello. Il funzionario di polizia, per niente intimorito «gli spianò in faccia una pistola» e, solo l’intervento pacificatore del miliziotto Nunzio Vitagliani, evitò al momento lo scatenarsi della folla. All’imbrunire, un manipolo di facinorosi, capeggiati da Costantino Noletti, Simplicio Falcone e Giuseppe Aquilano, cominciò una fitta sassaiola contro gli odiosi armigeri del conte di Celano. Immediatamente «bargello e birri baronali» arretrarono, rifugiandosi all’interno del castello, mentre gli inferociti assalitori, ben decisi al massacro delle guardie, scardinarono la prima porta. Una scarica di fucileria li accolse, facendo arretrare subito la plebe imbestialita, armata di coltelli, schioppi, accette, forconi e aizzata da «un inquisito d’omicidio chiamato Gaetano Tedesco». Il giorno dopo «lo birro Saverio Buono», uscito dal castello per comprare i viveri, fu assalito da un gruppo di persone in agguato e trovò scampo rifugiandosi nel palazzo dei Tomassetti.

Fatto uscire nottetempo da una porta segreta, riuscì poi a riparare nella fortezza. Il rapporto degli avvenimenti, stilato dal governatore preoccupato dalla violenta rivolta popolare diretta soprattutto contro il conte di Celano, fu indirizzato al Preside [oggi Prefetto] della provincia dell’Aquila e si concluse con queste inquietanti parole: «Intanto mi giunse notizia certa esservi congiura per uccidere i Birri, se uscivano dal castello per andare alla Fiera celebrata per tre giorni (24,25 e 26 del cadente mese), sicché ingiunsi agli armigeri di non uscire dal castello». Nonostante ciò, la sera del 26 agosto 1788, proprio in occasione della Fiera, la protesta esplose di nuovo, generando tafferugli e scontri armati che causarono contusi e feriti (9).

NOTE

  1. Biblioteca Nazionale Napoli, Raccolta Villarosa, A.7(2, G.M.Galanti, Della descrizione geografica e politica delle Sicilie, Napoli, Presso i Socj del Gabinetto Letterario, 1794 (opera in quattro tomi). Cfr. A. Placanica, Cultura e pensiero politico nel Mezzogiorno settecentesco, in «Storia del Mezzogiorno», X, Aspetti e problemi del Medioevo e dell’età moderna, Edizioni del Sole, Napoli 1991, p. 228. Galanti si contraddistinse per un «originale approccio descrittivo-statistico all’economia»; ma anche dall’esame critico dei dati forniti e delle valutazioni espresse. Sulla necessità di superare il «giudizio contemporaneo, fatto proprio dal Croce», di un Galanti «scrupoloso indagatore di notizie ed […] attento calcolatore di dati ufficiali» si vedano G. Masi, L’azienda pubblica del Regno di Napoli dal 1771 al 1782, Bari-Napoli, Adriatica Editrice, 1948, p. 5n. e gli autori sopra citati. Un «giudizio» di piena attendibilità, sembra tuttora presiedere ad una produzione storiografica nella quale la riproposizione di dati e notazioni di Galanti e di pochi altri osservatori coevi fa decisamente premio sul ricorso a fonti dirette. Si pensi ai libri di G.Galasso, Mezzogiorno borbonico e napoleonico, Utet, Torino, 2007 e D.Demarco, Introduzione a Giuseppe Maria Galanti, Della descrizione geografica e politica delle Sicilie, a c. di D. Demarco e F. Assante, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1969.

  2. La Descrizione ebbe una vicenda editoriale complessa e mai compiutamente finita, come rilevato da ultimo da P.Villani, L’amaro declino di un riformatore napoletano, Giuseppe Maria Galanti, «Studi storici», 48, 1 (2007), p. 111. L’opera, infatti, non fu terminata: i primi quattro tomi furono pubblicati in prima edizione tra il 1786 e il 1790; il quinto tomo fu pubblicato parzialmente nel 1794. Un Bilancio del commercio del Regno di Napoli colle nazioni estere (1784) ed uno Stato delle mercanzie di Napoli e di Sicilia, portate in Marsiglia nel 1782 costituiscono il capitolo XXII della prima edizione del secondo tomo, Nuova descrizione storica e geografica delle Sicilie, dell’avvocato Giuseppe M.A. Galanti, Napoli, Nel Gabinetto Letterario, dirimpetto la Chiesa dello Spirito Santo, 1788, pp. 334-365.

  3. E.Sarno, Luigi Maria Galanti. Un geografo dimenticato del primo Ottocento napoletano, in «Bollettino della Società Geografica Italiana», Roma, Serie XIII, vol.VII (2014), pp. 621-636.

  4. M.Schipa, Il regno di Napoli in una descrizione veneziana del 1730, in «Archivio Storico per le Province Napoletane», n.s. a.VII, vol.XLVI, p. 398.

  5. G.M.Galanti, Della descrizione geografica…cit., pp. 137-138.

  6. Ivi, p. 140.

  7. Ivi, p. 224.

  8. Archivio Diocesano dei Marsi, Fondo E/2/31, anno 1736.

  9. Archivio di Stato di L’Aquila, Fondo del Preside, Affari Generali, I Serie, cat.27, b.9, fasc.204.

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