Il mistero che avvolge il Santo Graal va avanti oramai da centinaia e centinaia di anni. Si è scritto di tutto e di più sull’argomento, ne sono stati fatti film, documentari e continueranno a farne per chissà quanti altri millenni, probabilmente fino a quando esisteranno i Cristiani. Ma che cos’è il Santo Graal e che c’entra l’Abruzzo con questo? Il Santo Graal era la coppa nella quale Gesù bevve durante l’ultima cena. Alcuni invece lo identificano con il calice nel quale Giuseppe d’Arimatea, un discepolo di Cristo, avrebbe raccolto le sue ultime gocce di sangue dopo la crocifissione. Intorno al Graal e alla sua ricerca sono nate tantissime leggende,sono stati scritti cicli cavallereschi, che spesso hanno mescolato tradizione cattolica ad antiche saghe pagane e celtiche. Al Graal sono stati attribuiti poteri sovrannaturali, come la capacità di guarire da ogni male, di infondere la vita, di dare ricchezze immense. I riscontri storici o archeologici sono quasi nulli e abbastanza confusi.
L’origine del termine “Graal” risale al latino Gradalis, che significa scodella o vaso, oggetti che nella mitologia classica rappresentavano la potenza benefica delle forze superiori, come la Cornucopia dei Greci e dei Romani o il calderone delle leggende celtiche, simbolo dell’abbondanza che dispensa cibo inesauribile e conoscenza infinita, ma anche simbolo di resurrezione nel quale si gettano i morti perché resuscitino il giorno seguente.Questo dimostra che il mito del Graal ha radici molto più antiche del Cristianesimo e ha origini dalla fusione di antiche leggende presenti in numerose culture. Intorno al 1210 il poema “Parzifal”, ipotizzò una nuova interpretazione sulla natura del Santo Graal. Non fu più una coppa ma una pietra purissima, chiamata Lapis exillis, questa pietra dai poteri miracolosi donerebbe perfino l’immortalità. Il termine lapis “exillis” è stato interpretato come “lapis ex coelis”, cioè “pietra caduta dal cielo”.Da quel momento il Graal divenne simbolo eucaristico e i suoi guardiani, i Templari, vivevano nutrendosi unicamente della sua energia.
Una leggenda racconta che la coppa era costruita di una materia sconosciuta caduta dalla fronte di Lucifero dopo la ribellione, e persa da Adamo dopo il peccato originale, per poi essere recuperata dal figlio Seth e persa nuovamente, salvata da Noè durante il diluvio e successivamente utilizzata da Melchisedec per benedire Abramo e Sara. Fu poi posseduta da Mosè prima di scomparire di nuovo. Riapparve sulla terra quando un angelo portò l’oggetto sacro a San Gioacchino prima del concepimento di Maria, ma il sacerdote del tempio vendette il sacro oggetto a un antiquario. Venne recuperato dalla Veronica per essere adoperato da Gesù nell’ultima Cena. Ma la pietra caduta dal cielo è riconducibile anche alla pietra nera custodita nella Ka’ba della Mecca, che secondo la tradizione islamica fu fatta calare da Allah dal paradiso sulla terra.
La pietra durante il diluvio universale fu messa in salvo da Noè per poi essere recuperata da Abramo nei pressi del luogo dove sarebbe sorta la Mecca. Verso il XIII secolo, la sua concezione cambiò ancora e il Graal venne addirittura associato a un libro che scrisse Gesù stesso e che poteva essere letto solamente da chi era in grazia di Dio. Due ricercatori spagnoli sono convinti che il Graal si troverebbe nella basilica di Sant’Isidoro a León, nel nord della Spagna. Il calice in onice, scrivono i due, è contenuto all’interno di un altro antico calice noto come il Calice di Dona Urraca. La scoperta è avvenuta un po’ per caso. Leggendo documenti egiziani di epoca medievale scoprirono menzioni sul calice di Cristo. Le pergamene raccontano di come i musulmani presero il calice sacro della prima comunità cristiana di Gerusalemme e fu quindi portato a Il Cairo.
La reliquia fu poi data ad un emiro in Denia, sulla costa mediterranea della Spagna, in cambio dell’aiuto chiesto dagli egiziani per far fronte ad una grave carestia. Nel medioevo, gran parte della Spagna era sotto il dominio musulmano. Ma la coppa, al termine dell’occupazione islamica, entrò in possesso del re cristiano Ferdinando I di Castiglia. Con una certa sicurezza, i due storici affermano che la coppa in questione è stata realizzata tra il 200 a.C. e il 100 d.C. Inoltre, a loro parere non c’è alcun dubbio che questo calice sia stato venerato dai primi cristiani come il calice usato nell’ultima cena. Ma c’è una storia che parla dell’ Abruzzo, e precisamente di Lanciano come probabile luogo dove potrebbe essere nascosto il Santo Graal. La città abruzzese, è legata alla nascita e alla morte di San Longino, il soldato romano che trafisse il costato di Gesù crocefisso, che non solo sarebbe originario di Lanciano, ma che proprio lì sarebbe stato martirizzato, portando con sé il sangue di Cristo.
Lo stemma della città testimonia tutto questo, infatti raffigura una lancia che ferisce il sole (ovvero l’emblema di Dio) sopra tre colli, che rappresenterebbero quelli del Golgota. Proprio Lanciano fu testimone di uno dei primi miracoli eucaristici, nel VIII secolo d.C., nel quale fu coinvolto un monaco dell’ordine di San Basilio: durante la messa nella chiesa dei Santi Legonziano e Domiziano, mettendo in dubbio la presenza di Cristo nell’ostia e nel vino, il monaco si ritrovò tra le mani carne e sangue vivo, oggi ancora conservati nell’ostensorio d’argento. Nel 1970 quest’ostensorio fu sottoposto ad accertamenti scientifici, e i risultati confermarono la presenza di sangue umano del gruppo AB, identico a quello rinvenuto nella Sacra Sindone di Torino. Inoltre la chiesa dei Santi Legonziano e Domiziano, conserva un’Apocalisse particolarmente reale, immortalata in 14 riquadri, dove sono descritti episodi di catastrofi naturali, terremoti, maremoti, glaciazioni, con la rappresentazione del mare che sommerge le montagne e che poi si ritira, la morìa di pesci e alcuni paesaggi che crollano sotto i terremoti.
Ma questo è solo uno degli enigmi che coinvolge l’Abruzzo, terra non solo di bellezze naturali ma anche di fascino misterioso.