Il 7 luglio 1707 l’armata imperiale invase l’antico regno meridionale e il rapporto tra capitale austriaca e quella napoletana sembrò, per molti aspetti, ripetere il modello centro-periferia che aveva caratterizzato nei due secoli precedenti le relazioni tra Madrid e Napoli.
Legato alla situazione sociale dell’epoca, il Mezzogiorno d’Italia continuò a essere un «viceregno» per altri ventisette anni, introducendo ben poche modifiche nel sistema politico napoletano, anche se gli austriaci misero in atto interventi espressivi per ridurre l’enorme debito pubblico meridionale. Per attuare questo intento, la finanza locale fu investita da importanti progetti di riforma che passarono attraverso la: «costituzione nel 1732 di una giunta per la numerazione dei Fuochi, ossia delle famiglie, e, soprattutto, per mezzo della creazione nel 1729 di una giunta delle Università (gli odierni comuni) rivolta al riordino della fiscalità comunale e alla tutela degli stessi municipi contro gli abusi della feudalità nelle province» (1). In questa prospettiva andrà principalmente inclusa l’azione militare svolta dalle forze austriache nel luglio del 1707, quando l’intera Marsica, allora presieduta da truppe spagnole composte da soldati di Penne, di Calabria e della provincia di Caserta, cadde sotto il dominio del capitano Wirich Philipp von Daun.
Nonostante ciò, almeno duecentotrenta soldati del battaglione di Penne (rimasti fedeli al re spagnolo), si asserragliarono dentro il castello dei Colonna, cercando di opporre fiera resistenza alla cavalleria austriaca che risaliva dalla Valle Roveto (Sora-Balsorano).
I primi a giungere ad Avezzano furono circa duecento cavalieri «con altra quantità di gente bandita da Filippo V, comandata dal predetto Capitan Giulio Cesare de Santis, detto Scarpalegia, anch’esso bandito dal medesimo Re Filippo, per aver ammazzato in comitiva di più sicari dentro Luco, Feliceantonio de Angelis, stanghiere, affittuario del Lago di Fucino, e Governatore di Luco, e Trasacco, dopo qual misfatto, si era rifugiato con detti masnadieri al rollo di Carlo III […]» (2). Senza negare la superiorità numerica degli avversari, un’altra compagnia di dragoni spagnoli, accampati tra Avezzano e Luco, cercarono di resistere all’attacco austriaco in località «Campo di Vico» ma poi, vista la disparità delle forze scese in lizza, si ritirarono verso il regio tratturo di Celano per congiungersi all’armata comandata dal generale Don Girolamo Acquaviva Duca d’Atri. Infine, indietreggiando, marciarono alla volta dell’Aquila. Nel frattempo, l’impavida compagnia spagnola di Penne tentava ancora di resistere all’assedio dentro il castello dei Colonna, provocando le ire del capitano Daun, pronto a saccheggiare e appiccare il fuoco all’intera città di Avezzano, ritenuta ribelle. L’intervento dei notabili locali, evitò altri disastri, facendo arrendere i soldati spagnoli, anche se dopo l’occupazione austriaca furono messe in atto vere e proprie vessazioni ai cittadini con pagamenti spropositati di denaro, sborsati dai maggiorenti della città alle autorità militari per evitare il peggio. Tra i benestanti indotti alla sottoscrizione si rilevano i soliti nomi delle famiglie: Aloisi, Mattei, Minicucci, Porcinara, Felli, Jatosi, Durante Decji, Milone, ecc. Il conseguente incendio dell’archivio comunale di Avezzano, pose in rilievo le vecchie rivalità di confine tra luchesi e avezzanesi per il territorio di Penna. Infatti: «Nel detto ingresso dei tedeschi in Avezzano, fu opera di alcuni Cittadini debitori dell’Università, fatto incendiare l’Archivio del pubblico, da quei malandrini trionfanti, sotto il comando di Scarpalegia, e vi bruciarono quasi tutte le significatorie, affitti, obblighi, con li Catasti antichi et altro, siccome fecero all’Archivio della Corte, in grave pregiudizio, del pubblico, dei territori, e del privato, e fu provvidenza Divina, che alcuni zelanti, avessero tentato di salvare li due ultimi Catasti, con alcune importantissime scritture, et insieme di farvi accorrere il Capitano Tedesco, persona di riputazione, a discacciar quei masnadieri, altrimenti, stavano per infuocare nelle case dei Notari, li protocolli, e sortiva un’irreparabile rovina, a tutta la generazione dei negozi […]» (3).
Le vicende del bandito «Scarpaleggia», che certamente aveva approfittato del suo appoggio alle truppe austriache, terminarono nel 1709, quando dopo immensi misfatti perpetrati in tutta la Marsica fu catturato nel castello diroccato di «Camerata Vecchia», posto tra Pereto e Oricola.
Le manovre per stanarlo dalle sue preminenti posizioni, furono certamente difficoltose a causa della collocazione del vecchio maniero, capace di far fronte a ogni assalto. Tanto è vero che ci vollero almeno duemila soldati austriaci per snidare l’intera comitiva armata decisa a resistere ad oltranza (4).
Occorre ricordare che il viceregno asburgico tenne altresì a battesimo nuovi aneliti politici e sociali a fianco di due notissimi intellettuali che proposero un nuovo concetto dello Stato e delle istituzioni. Si tratta di due celebri storici che pubblicarono ricerche molto importanti: Pietro Giannone, Storia civile del Regno di Napoli (1721) e Giovan Battista Vico, Principi di una scienza nuova (1723). Il primo, seppur ammirato in tutta Europa (specialmente da Montesquieu), dopo essere stato scomunicato trovò rifugio a Vienna; il secondo, invece, respinto dalla cattedra di diritto civile presso l’università di Napoli e dovendosi accontentare di una posizione secondaria, rimase quasi del tutto sconosciuto negli ambienti colti per dibattersi fino alla fine dei suoi giorni in ristrettezze economiche.
NOTE
- Cerimoniale del viceregno austriaco di Napoli/2 1707-1734, a c. di A. Antonelli, Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggi, Storici, Artistici ed Etnoantropologici per Napoli e provincia, Arte’m, Prismi, 2014, p.9. Cfr. V.Cataldo, Napoli e le sue province durante il viceregno austriaco (1707-1734), Rubettino Università, Soveria Mannelli, 2020; cfr., Il viceregno austriaco (1707-1734) tra capitale e province, a c. di Saverio Russo e Niccolò Guasti, Atti del Convegno di Foggia 2-3 ottobre 2009, Editore Carocci, Roma, 2010. Queste ricerche accendono i riflettori su una pagina della nostra storia ancora poco conosciuta.
- Manoscritto Aloisi, cc.160r-161v, cfr., F. D’Amore, Il manoscritto inedito della nobile famiglia Aloisi di Avezzano. Strutture familiari e rapporti sociali in una comunità marsicana fra Trecento e Settecento, Edizioni Kirke, Cerchio, febbraio 2011, pp.98-99.
- Ms. Aloisi, Ibidem. Cfr. F. D’Amore, cit., pp.100-101. Come ha rilevato lo studioso Giuseppe Grossi, la presenza del bandito Scarpaleggia (Piede Veloce) è già testimoniata nel catasto preonciario di Luco definito «forastiero di Serra Capriola» sul finire del 1600.
- A.Giustiniani, I garibaldini a Subiaco. Nella Campagna dell’Agro Romano 1867 (Racconto Storico), Prem.Tip.Dei Monasteri, Subiaco, 2932, p.63.