Domenica 8 settembre è stata celebrata la Giornata Internazionale dell’Alfabetizzazione. Quale figura migliore di quella del maestro Alberto Manzi per sensibilizzare la comunità sull’importanza della cultura come opportunità di crescita della dignità della persona e dei diritti umani. Mi fa piacere sapere che Tufo di Carsoli, amato e mai dimenticato paese natale della madre Etterina Maria, detta Rina, per il centenario della nascita del maestro-artigiano, ha inaugurato, nel mese di Luglio, in suo onore una statua, un murale e una mostra bibliografica. Del resto, nel suggestivo borgo, Alberto non solo trascorreva periodi di vacanza, ma portava i suoi allievi per le “gite scolastiche”. Per otto anni consecutivi, dal 1960 al 1968, Manzi ha contribuito a ridurre l’analfabetismo italiano con le sue lezioni trasmesse dal piccolo schermo insegnando a leggere, a scrivere e a far di conto a chi non aveva frequentato la scuola. In una nazione ancora divisa da tradizioni, usanze e idiomi locali, favorendo la conoscenza e l’uso della lingua italiana, ha accelerato il processo storico di unificazione. Il titolo della trasmissione “Non è mai troppo tardi” racchiude tutta la finalità pedagogica della sua straordinaria operazione didattica. Si stima che con quelle lezioni tardo pomeridiane Manzi abbia portato al conseguimento della licenza elementare quasi un milione e mezzo di persone. Indicato dall’Unesco come uno dei più efficaci programmi televisivi per l’educazione degli adulti, nel 1965, al congresso internazionale degli organismi radio-televisivi, che si tenne a Tokyo, ricevette il premio dell’UNESCO. La Radiotelevisione italiana pubblicò i sui corsi popolari, che restano ancora oggi, nonostante il fiorire di canali educativi accelerati dalla DAD, i primi centri educativi di telescuola, con le Edizioni Rai di Torino nel 1961.I quaderni furono curati da G. Orzella e D. Di Gio Pietro. Oltre all’alfabetiere il testo riportava le prime letture, che se pur semplificate e ridotte, erano legate alla letteratura alta. Tra i numerosi autori citeremo Matilde Serao, A. Manzoni, L. Capuana, V. Cardarelli, C. Pavese, A. Dumas, C. Alvaro, M. D’Azeglio, S. Pellico e G. Deledda.
Da esperto insegnante aveva capito che semplificare, adattando i contenuti allo sviluppo psico-cognitivo degli utenti, non significava impoverire di contenuti disciplinari né omettere valori eterni. Egli promosse ”L’alfabetiere dei valori”, non solo nelle sue trasmissioni ma nella scuola elementare “Fratelli Bandiera” di Roma, dove esercitò la suo professione dal 1950 alla pensione. La passione che metteva nella trasmissione dei “saperi” lo portò a promuovere la scolarizzazione degli ultimi a partire dal 1955 nel Sud America.
Prima di essere un operatore mediatico Manzi era stato un valido docente segnato dall’ esordio in un carcere minorile dove cercò di trasmettere con la sua metodologia inclusiva ed interdisciplinare la capacità espositiva patrimonio indispensabile per inserirsi con consapevolezza nella società.
Egli si pose l’obiettivo di fornire una visione del mondo della realtà e di quello della fantasia ponendosi dal punto di vista del bambino. In tal modo l’utente adulto non scolarizzato trovava semplice e scorrevole il linguaggio, spesso evidenziato da un disegno veloce ed essenziale, chiare e lineari le argomentazioni, adatte al livello esposito di una scuola primaria. L’informazione, tuttavia, connessa ai problemi degli anni 60, era esauriente, corretta ed aggiornata ai tempi.
Ancora oggi, nell’epoca della globalizzazione, l’alfabetizzazione delle classi meno abbienti di tutto il mondo costituisce la sola possibilità di riscatto sociale. Dalla necessità di favorire l’accesso alla cultura di base dei poveri, sempre presente nell’intento formativo di Alberto, deriva l’obbligo delle istituzioni locali ed internazionali di investire nell’educazione per una comunità umana sempre più istruita e inclusiva come recita l’obiettivo dell’Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile.
A lui il merito di aver considerato il bambino tenendo conto dei suoi interessi ed esperienze, della situazione culturale ed economica delle famiglie e dello sviluppo evolutivo sempre in movimento a tutela della fragilità, delle differenze, delle disabilità, del disagio sociale e relazionale.
A mio avviso il suo più grande merito fu la “Disobbedienza” alle istituzioni quando queste negavano i suoi principi pedagogici. Contro l’omologazione del giudizio di valutazione dei suoi alunni la frase:
“Fa quel che può. Quel che non può non fa” vuol dire che ognuno agisce in base alle proprie abilità e ai propri limiti. In questo senso Manzi, come Rodari e Milani, più dei risultati ottenuti considerando più importanti i processi di crescita, aprivano a tutti le possibilità di cogliere la bellezza della conoscenza dando fiducia alla costruzione individuale della propria identità in una continua tensione cognitiva verso la speranza: “Non potrebbe esistere in nessun luogo e contesto relazione educativa e formativa laddove un “magis” più o meno adulto non avesse fiducia nelle potenzialità di apprendimento” (Bertagna- 2023-pagina 105).
Soprattutto agli insegnanti e con essi alla scuola, per Manzi, rifacendosi alle teorie contemporanee dell’Universal Design for Learning e dell’Educational for All, spetta evidenziare il gruppo come risorsa, il lavoro creativo, lo sviluppo del pensiero critico, la centralità della relazione educativa.
Un invito quello di Alberto all’interazione didattica inclusiva che si apre all’attualità in una visione “partecipativa” e non “economica” della vita nella formazione di ognuno e di tutti alla cittadinanza attiva e responsabile.
“credo che gli insegnanti lavorino con passione, ma alcune volte mancano di principi fondamentali, cioè sapere cosa vogliono raggiungere con i ragazzi. Spesso si confonde il programma con quello che deve essere la crescita intellettiva del ragazzo stesso. Ossia ci si dimentica che il ragazzo deve saper sviluppare, saper pensare col proprio cervello e avere sempre desto il proprio senso critico (Alberto Manzi).