Francesco Lolli, avvocato e ispettore ai Monumenti del Circondario di Avezzano

Francesco Lolli 1857-1915
Francesco Lolli 1857-1915

Francesco Lolli (1857-1915), stimato avvocato avezzanese, proveniente da una famiglia che aveva già espresso appassionati cultori di storia e archeologia marsicana come il canonico Giuseppe Lolli che aveva dedicato gran parte della sua vita al progetto di ripristino dell’emissario claudiano e il deputato Emanuele Lolli nominato nel 1861 delegato provinciale alla Conservazione dei Monumenti della Marsica con Giovanni Mastroddi di Tagliacozzo.

Francesco nacque ad Avezzano il 4 gennaio del 1857 da Graziano Lolli e Maria Cristina Palone. Da giovane frequentò il regio liceo ginnasiale Giambattista Vico di Chieti e proseguì gli studi universitari laureandosi in Giurisprudenza. S’iscrisse all’albo dei Procuratori e Avvocati del foro marsicano, affermandosi nella professione forense. Fu anche assessore nel Consiglio Comunale avezzanese, da cui dette le dimissioni nel dicembre 1889. Esercitò la professione di avvocato, efficacemente e con successo, ricoprendo anche la carica di consigliere del Consiglio dell’Ordine del Tribunale Civile e Penale di Avezzano, e di vicepretore della Pretura di Avezzano. Nel 1888, all’indomani dell’inaugurazione del museo lapidario marsicano in Avezzano, l’amministrazione comunale gli consegnò la chiave del museo che conservò, come custode responsabile, fino alla sua morte. Fu nominato nel 1891 ispettore degli Scavi e Monumenti del Circondario di Avezzano al posto di Ercole Canale Parola che aveva lasciato l’incarico per trasferirsi a Caserta. Ricoprì l’incarico d’ispettore per 25 anni comunicando alla Direzione Generale delle Antichità le sue scoperte archeologiche che puntualmente erano pubblicate su Notizie degli Scavi. Morì tra le macerie della sua casa nel terremoto del 13 gennaio 1915.

Ispettore ai Monumenti nel 1891

Prima di procedere alla nomina di Lolli a ispettore ai Monumenti e Scavi di antichità per il Circondario di Avezzano, il Direttore Generale delle Belle Arti Giuseppe Fiorelli chiese un parere a Ercole Canale Parola che così si espresse: “Il Sig. Lolli Francesco … è un giovane intelligente e onesto, e, per le cognizioni che possiede, e pei suoi studi speciali sulle conoscenze archeologiche potrebbe essere adatto all’ufficio che gli si propone”. Il decreto di nomina di Lolli fu firmato dal re Umberto I il 16 aprile 1891.

Decreto di nomina Ispettore ai Monumenti 16.4.1891 © ACS

Subito dopo aver ricevuto la nomina d’ispettore ai Monumenti, Lolli ricevette l’incarico dal sottoprefetto di Avezzano Pietro Gandin, su richiesta dalla Commissione Consultiva Conservatrice dei Monumenti di Arte e di Antichità della Provincia di Aquila, di stilare una relazione sulle antichità e i monumenti dell’antica città romana di Marruvium. Lolli, coadiuvato dall’ing. Biagio Orlandi dell’amministrazione Torlonia, eseguì sopralluoghi sul posto e fece una dettagliata relazione in cui descriveva le antiche mura, i due mausolei che gli abitanti del posto chiamano Morroni, l’anfiteatro, il teatro, la chiesa parrocchiale dedicata a S. Benedetto innalzata su resti di mura romane e la vecchia cattedrale di S. Sabina costruita sull’antico Campidoglio di Marruvium

La relazione di Lolli del 30 maggio 1891, inviata alla Commissione della provincia, era conosciuta anche da Loreto Orlandi che ne trasse ampi stralci per la sua opera pubblicata postuma nel 1967 sui Marsi e l’origine di Avezzano.

Nel 1891 il sottoprefetto Gandin chiese a Lolli di eseguire un sopralluogo a Magliano de’ Marsi in località Monumento o Campo d’Albe, dove erano state rinvenute tre tombe nel terreno di Antonio Carlucci di Pasquale, segnalate da Fabiano Blasetti di Petrella Liri. 

Capitello corinzio presso il Lapidario di Avezzano (Lolli 1892)


L’ispettore fece una relazione per il Ministero, dove illustrò il contenuto delle tre tombe consistente in due cippi sepolcrali, un blocco calcareo in cui è scolpito un elegante capitello corinzio, una colonnina fogliata, un pezzo di modiglione corinzio e opere fittili, tra cui un’anfora con piccola base e una scodella. Oggi, i due cippi funerari e il capitello corinzio sono conservati presso il Lapidario di Avezzano nei seminterrati del palazzo comunale. Il primo cippo è dedicato a Caius Petidius Auctus dalla moglie Albia Secunda Procilla (CIL IX, Suppl. 1, 3, 7987): C(aio) Petidio Aucto / Albia Secunda / [Pro]cilla coniugi posuit. Il secondo è una dedica a Hermedia Tertia da parte della liberta Dapine  (CIL IX, Suppl. 1, 3, 7973): Hermedia Spur(i) / f(ilia) Tertia Dapine / l(iberta) p(osuit).

Sempre nel 1891, Lolli segnalò al Ministero il rinvenimento di un frammento di cippo sepolcrale avvenuto nel mese di dicembre ad Alba Fucens in un terreno della famiglia Pace che portava inciso il seguente testo epigrafico (CIL IX, Suppl. 1, 3, 8019): —– / mater f(ilio) / pientissimo /  p(osuit). Il frammento recante la dedica della madre al figlio virtuosissimo, oggi è irreperibile.

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Serrature della collezione Pace – Serra 1934, 44

Nel marzo 1892 Lolli scrisse una lettera al Ministero P.I. per comunicare che il defunto conte Cesare Pace di Massa d’Albe aveva lasciato in eredità una pregevole raccolta di serrature antiche che il conte desiderava fosse esposta in un museo pubblico secondo quanto disposto nel suo testamento depositato presso il notaio Saturnini di Avezzano. Prima della morte del conte, la pregevole raccolta di serrature del XV secolo fu depositata nel Museo Artistico Industriale (MAI) di Roma. Tale Museo, fondato nel 1874, fu chiuso dopo la 2° guerra mondiale e le sue collezioni furono disperse in diversi musei della Capitale; la ricca collezione Pace di circa 680 pezzi, composta di serrature, chiavi, battenti, cerniere, picchiotti e lucchetti, fu trasferita al Museo di Palazzo Venezia, dove si trova tuttora nei locali depositi, non esposta al pubblico.

Nel mese di maggio 1892, l’ispettore segnalò al Ministero la scoperta di un’interessante epigrafe funeraria in località Scalzacallo, a nord di Avezzano, con busto della defunta scolpito all’interno di una nicchia circolare riportante la seguente iscrizione (CIL IX, Suppl. 1, 3, 7967): Exoche annorum / XVI Inachus / frater posuit. La stele funeraria, posta alla schiava Exoche, morta all’età di 16 anni, dal fratello Inachus, fu donata dal cav. Lorenzo Botti, amministratore di Casa Torlonia, alla raccolta lapidaria e dal 2012 è conservata al Museo del Fucino.

CIL IX, Suppl. 1, 3, 7967

Nell’agosto dell’anno successivo, Lolli inviò al Ministero il calco di un’iscrizione che si trovava nel Piano della Civita di Alba Fucens. L’epigrafe, una base a piramide tronca già segnalata dall’ispettore Mattei nel 1882, è un’iscrizione sacra donata dal pretore Lucius Helvacius figlio di Gaio e nipote di Marco, al dio Vulcano su delibera del senato albense (CIL IX 6349): L(ucius) Helvaci(us) C(ai) f(ilius) M(arci) n(epos) / Corbulo pr(aetror) / Volkano donum / de sen(atus) sent(entia). L’epigrafe dopo essere stata per un certo periodo nel magazzino del Castello Piccolomini di Celano, ora si trova presso il nascente Antiquarium di Alba Fucens situato nei locali dell’ex convento di S. Pietro.

Qualche anno più tardi, nell’ottobre 1896 Lolli comunicò al Direttore Generale Giuseppe Costetti che i sig.ri Minicucci di Avezzano intendevano vendere due pergamene miniate del XV secolo in loro possesso. Le pregevoli pergamene furono poi acquistate per il prezzo di £ 3.600 da Domenico Corvisieri, che gestiva un negozio di antiquariato a Roma con il fratello Costantino, noto erudito romano della seconda metà dell’Ottocento.

Nel marzo 1897, l’ispettore segnalò all’Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti l’urgenza di riparare le finestre e il tetto della chiesa di S. Pietro in Albe per evitare infiltrazioni d’acqua e danni irreparabili agli affreschi del XV secolo. Dopo la segnalazione di Lolli, l’Ufficio Regionale decise di assegnare l’incarico al pittore Prof. Bartolucci, che in quel momento era occupato nel museo di Napoli.

Nel mese di novembre dello stesso anno, l’ispettore si recò nel territorio dell’antica Carsioli, dove era stata rinvenuta, in località Rio di Mezzo, una tomba costruita con materiali di spoglio, tra cui un frammento di fregio dorico e una lastra di pietra calcarea che portava inciso il seguente titolo funerario (CIL IX, Suppl. 1, 3, 8140): Quod par[enti fuerat] / facere [filium] / mors inm[atura fecit ut] / faceret [pater] / L(ucio) Vol[esio —] / L(ucius) Volesius […]. Trattasi di un componimento poetico in senario giambico dedicato al figlio Lucius Volesius dal padre omonimo. Oggi l’iscrizione si è ulteriormente frammentata e i due pezzi di lastra calcarea sono ancora visibili a Carsoli, affissi nel muro di cinta del giardino di Claudio De Leoni. Il fregio dorico riutilizzato per allestire la tomba portava scolpite tre metope raffiguranti una parma, cioè un piccolo scudo rotondo per armatura leggera tipico della cavalleria o della fanteria leggera, una cornucopia con grappoli d’uva e una testa di bue con corna ornate da infula, una fascia bianca o scarlatta che si avvolgeva intorno al capo del bue quale vittima sacrificale. Il fregio dorico dal 1990 è conservato nell’atrio del palazzo comunale di Carsoli, insieme con altro fregio di simile fattezza che fu scoperto a Civita di Oricola nel 1968. 

Fregio dorico da Civita di Oricola 1897 – Maialetti 2000, 9

Sul finire dell’anno 1897, Lolli segnalò la scoperta di un miliario dell’antica via Valeria avvenuta nei pressi della diruta chiesa di S. Anzuino in località “Dietro il Calvario”, vicino la chiesa della Madonna del Soccorso, nella parte nord occidentale di Tagliacozzo. La colonna fa parte della serie dei miliari di Nerva che restaurò, nel suo terzo consolato, l’antica Valeria nel 97 d.C. e reca la seguente iscrizione attestante la distanza di 56 miglia da Roma: LVI. / Imp(erator) Nerva / [Ca]esar [Aug]ustu[s], / [p]ontifex maxim[us], / tribunicia / potest[ate], c[o(n)s(ul)] III, / pater patriae, / [fac]ien[dam cu]rav[it]. La colonna miliaria cilindrica in pietra calcarea (alt. cm 123, diam. 50) fu trasportata nella villa comunale di Tagliacozzo dove rimase fino al 1999, quando l’allora sindaco Vincenzo Casale decise di collocarla nell’atrio del palazzo comunale insieme all’altro miliario proveniente da Colli di Monte Bove (CIL IX 5968) e all’ara funeraria della famiglia Tituleia proveniente da Sorbo (CIL IX 3952). 

A sx miliario da Colli di Monte Bove (CIL IX 5968). A dx miliario LVI da Tagliacozzo

Nel successivo anno 1898 l’ispettore segnalò un’iscrizione funeraria usata come gradino di una scala nell’abitazione di Francesco Valente di Forme che era stata già pubblicata da Mommsen (CIL IX 3937). Il cippo funerario dedicato al seviro augustale Quintus Gargilius Sabinianus dalla moglie Gargilia Agenda con cui visse 22 anni, è oggi conservato nel magazzino antiquario del castello Piccolomini di Celano. 

Nel gennaio del 1899 si rinvenne a Gioia dei Marsi, in località Alto le Tombe nel terreno del barone Francesco Mascitelli, un ricco ripostiglio di circa 600 monete romane conservate all’interno di un recipiente di rame. Le monete rinvenute furono divise in due gruppi: un primo gruppo trattenuto dagli scopritori, mentre il secondo fu sequestrato dai Reali Carabinieri e conservato nella Pretura di Avezzano. Lolli esaminò le 306 monete sequestrate e inviò una dettagliata relazione al Ministero datando le monete in un periodo compreso tra il 217 e 29 a.C..  

Altre monete furono trovate a Verrecchie, frazione del comune di Cappadocia, nel mese di marzo 1900 durante i lavori di scavo in una via del paese. Dallo scavo si trovò un pendolino di argilla pieno di monete papali d’oro del XV secolo, che il sottoprefetto di Avezzano Giovanni Battista Saladino donò, di sua iniziativa, al Principe di Napoli.

Nel mese di febbraio 1900 Lolli segnalò al sottoprefetto Saladino la scoperta di quattro tombe rinvenute in località Collicelli a Luco dei Marsi. Il piano delle tombe era a nudo terreno con pareti rivestite di blocchi parallelepipedi calcarei e coperchi con lastre di pietra. I vani tomba misuravano m. 1,90 per 0,69 circa, contenevano soltanto ossa umane ed erano privi di corredi funerari.

Nel 1901 l’ispettore si recò a Scurcola Marsicana presso la casa del sacerdote D. Ernesto Anzini, in contrada Vittorio Emanuele III, dove era stata scoperta una grotta naturale larga circa 3,5 metri e della lunghezza di oltre 100 metri adorna di stalattiti e stalagmiti, contenente avanzi di ossa che il medico locale Di Girolamo valutò appartenenti ad animali di epoca recente, specificatamente bovini. Lolli inviò prontamente una relazione circostanziata al Direttore Generale Carlo Fiorilli. 

In quello stesso anno l’ispettore comunicò al Ministero la scoperta di un frammento di titolo imperiale rinvenuto nell’area di Alba Fucens, in contrada S. Vito (CIL IX, Suppl. 1, 3, 7895): [G]eni[o] d[o]m(ini) [n(ostri)] / Imp(eratoris) Caes(aris) [M(arci)] / Aureli S[ev]/eri Alex[an]/dri Pii Fel[ic]/i[s] Aug(usti) s(enatus) p(opulus)q(ue) [A(lbensium?)]. L’iscrizione onoraria (alt. cm 52, largh. cm 25), oggi irreperibile, era dedicata probabilmente dal senato albense, al genio tutelare dell’imperatore Severo Alessandro che aveva governato dal 222 al 235 d.C..

Nel marzo 1904, l’ispettore comunicò al Ministero il rinvenimento di un sarcofago in località Collicelli nel comune di Trasacco, al confine con Luco dei Marsi. Il sarcofago, oggi irreperibile, portava inciso il nome del defunto Torinius, figlio di Caio, appartenente alla tribù elettorale Sergia, cui appartenevano la maggior parte dei cittadini marsi in epoca romana (CIL IX, Suppl. 1, 3, 7839a): C(aius) Torinius C(ai) f(ilus) / Ser(gia). Il gentilizio Torinius è abbastanza comune nel territorio di Supinum (Trasacco). 

Il terremoto del 1904

Un forte terremoto, calcolato di magnitudo 5.6 della scala Richter, il 24 febbraio 1904 colpì violentemente la zona nord ovest della conca fucense. Il sisma ebbe l’epicentro in Rosciolo e interessò un’area compresa tra i comuni di Borgocollefegato (a Nord), Corona (a Est), Avezzano (a Sud) e Tagliacozzo (a Ovest). Fortunatamente non ci furono morti ma solo feriti; si lamentarono, però, danni a case, monumenti e luoghi di culto. I danni maggiori, ovviamente, si ebbero a Rosciolo che fu completamente devastata, al punto che la sua popolazione fu costretta a rifugiarsi nei paesi vicini. 

Pochi giorni dopo il terremoto, Lolli si recò a Rosciolo per esaminare i danni subiti ai monumenti di quella frazione e il suo pensiero andò subito alla croce processionale della Parrocchia, insigne opera in argento del XIV secolo annotata nell’Elenco Generale degli Oggetti d’Arte del Regno. Nel recto della croce è rappresentato Gesù crocifisso al centro con raffigurazione nelle quattro formelle terminali di San Michele, di San Giovanni, del Calvario e della Vergine. Nel verso è incisa un’iscrizione su due lastrine rettangolari poste verticalmente ai lati del trono della Madonna che allatta il Bambino: 

a sinistra: A(nno) D(omini) M CCC XXX IIII.

a destra:   D(omi)n(u)s Urs(us) pr(a)eposit(us) fieri fecit h(oc) op(us).

La croce, realizzata su commissione di un rappresentante della famiglia Orsini nell’anno 1334, è la più antica nel panorama dell’arte sacra abruzzese. Dopo il terremoto. La croce fu conservata inizialmente nella casa dell’ispettore Lolli per poi essere spostata a Roma, dove fino al 1994 fu esposta nel Museo di Piazza Venezia, per essere infine trasferita al Museo di Arte Sacra della Marsica presso il castello Piccolomini di Celano, dove si trova tuttora. 

Croce processionale da chiesa S. Maria delle Grazie in Rosciolo – Pace 1972, 80

Il terremoto del 1904 causò alcuni danni, fortunatamente di lieve entità, anche alla chiesa di S. Maria in Valle di Porclaneta posta a circa 2 chilometri a nord di Rosciolo. L’ispettore si recò sul posto con l’ingegner Brini del Genio Civile di Aquila e segnalò i danni al Ministero che prontamente stanziò la somma di £ 150 per consentire le riparazioni necessarie.  

Altra chiesa colpita dal terremoto fu quella di S. Pietro in Albe che aveva subito danni alla navata centrale e a quella di sinistra del presbiterio, oltre ai preziosi affreschi medievali. Il Ministero autorizzò il restauro degli affreschi nella stessa estate 1904 a cura dell’operaio Luciani e rinviò all’anno successivo la riparazione delle navate. Qualche anno più tardi, l’ispettore Lolli segnalò alla Soprintendenza ai Monumenti di Roma e Aquila l’urgenza d’interventi manutentivi al tetto della chiesa e di restauro alla porta lignea esterna di sambuco, ricca d’intagli ma aggredita dai tarli, per una somma stimata di £ 551,16. Il Ministero P.I. ritenne di poter concorrere alla metà della spesa, mentre l’altra metà sarebbe stata a carico della Direzione Generale del Fondo per il Culto. Nel gennaio 1912 l’ispettore rappresentò l’esigenza di ripristinare l’impianto parafulmini della chiesa di S. Pietro per evitare possibili danni al monumento, com’era successo alla torre medievale di Ovindoli, distrutta completamente da un fulmine nel maggio 1912. La richiesta dell’ispettore non fu accolta dal Ministero il quale riteneva che la spesa di £ 150 necessaria per eseguire tale lavoro doveva essere sostenuta dal parroco e dal comune interessato. 

Nel gennaio 1906 fu fatta un’importante scoperta archeologica in contrada S. Maria nei pressi della stazione ferroviaria di Carsoli. L’ispettore si recò sul posto e stilò una dettagliata relazione in cui precisò che si trattava del rinvenimento di una quantità straordinaria di oggetti fittili provenienti dall’officina di un vasaio. Gli oggetti rinvenuti “per la maggior parte sono avanzi di frammenti di statue, come piedi, braccia, mani, gambe e molti possono anche essere stati fabbricati anche a uso votivo; vi sono alcune statuette, non mutili; notevole una mano con un serpe attorcigliato ed a cui il pollice e l’indice stringono la gola: un piccolo gruppo di due personaggi sedenti in bisellio [sedile a due posti]. Vi sono ancora alcuni falli e diversi orciuoli [boccali] di cui qualcuno verniciato in nero ma senza traccia di pittura o di graffito, solamente uno striato dall’alto in basso; statuette di animali, appena abozzate. Quel che v’è di più notevole è un gran numero di teste (quasi 200), alcuni frammenti di statue, altre a sé a foggia di protome [maschere?]. Nel febbraio 1909 il direttore del Museo di Villa Giulia di Roma Giuseppe Angelo Colini informò il Ministero che i materiali della stipe votiva erano giunti al Museo dopo essere stati acquistati per la somma di £ 600, precisando che la stipe “risale al III-II secolo av. Cr., e comprende 432 oggetti di terracotta, tre figurine femminili di bronzo e oltre cento monete, la maggior parte in buonissimo stato di conservazione”. Tra il 2 e il 15 ottobre 1950, Antonio Cederna eseguì uno scavo sullo stesso sito che aveva riportato alla luce i reperti nel 1906, arricchendo la stipe votiva di altri interessanti materiali. Molti degli oggetti della stipe votiva furono poi inviati, tra il 1952 e il 1970, alla Soprintendenza di Chieti che li conserva presso il locale Museo Archeologico istituito nel 1959.

Stipe votiva da Carsoli – Bernardini 2000, 4

Nell’aprile 1906 la maestra Filomena Argentino vedova Febonio, residente a Scanzano (AQ), inviò una lettera al Ministero P.I. offrendo in vendita la torre medievale di Trasacco, appartenente alla famiglia Febonio, inclusa nell’elenco ufficiale degli edifici monumentali del Regno. La torre aveva bisogno di restauri, così come la casa Febonio adiacente alla torre stessa, ma la famiglia non aveva le risorse economiche necessarie per eseguire i lavori e nel caso in cui lo Stato non fosse stato interessato all’acquisto, avrebbe venduto la torre anche a uno Stato estero, oppure, l’avrebbe demolita per ricavarne materiale da costruzione. Lolli, incaricato dal Ministero di verificare lo stato di solidità della torre, nella sua relazione fece presente che “Una lesione abbastanza appariscente che si vede nella facciata a settentrione, risale ad epoca molto remota” … “Quando presentasse serio pericolo di caduta, dovrebbe il Municipio provvedere per ragioni di pubblica incolumità, magari in consorzio coi proprietari di essa torre e delle fabbriche circostanti, ed in tal caso potrebbe lo Stato contribuire con qualche sussidio come per edificio monumentale di terza categoria” … “Concludendo adunque io direi non essere il caso che lo Stato acquisti la torre, come proporrebbe la Sig.ra Argentina Feboni, per conservarla”. L’anno successivo, il Ministero rispose di non essere interessato all’acquisto della torre e che la stessa poteva essere venduta, comunicando al Ministero il nome del nuovo proprietario, ma che non poteva essere abbattuta secondo le disposizioni della legge 185 del 12 giugno 1902 concernente la tutela degli oggetti/monumenti di proprietà privata aventi pregio storico e artistico per lo Stato. La torre rimase in quello stato per molto tempo e solo agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso ha subito lavori di restauro e rinforzo. Oggi presenta tre delle quattro bifore che erano state viste da Lolli, una per ogni lato della torre, ad eccezione del lato sud che ne è sprovvisto.

Torre di Trasacco, lato sud ovest

Nel 1909 l’ispettore segnalò un’iscrizione sacra dedicata alla dea Angitia che era stata rinvenuta nel 1903 in contrada Colle d’Angelo, nella località Condotto a 500 metri da Civita D’Antino (CIL IX, Suppl. 1, 3, 7797): P(ublius) Pomponi(us) N(umeri) f(ilius) / Angitie / donum / dedit / lubens / mereto. Il cippo votivo o base per ex-voto a tronco di piramide fu dedicato da Publius Pomponius alla dea italica Angitia per il beneficio ottenuto. Subito dopo la scoperta, il cippo fu collocato nella piazza principale di Civita d’Antino, dove rimase fino ad aprile 2015, quando fu trasferito al Museo Archeologico Ferrante allestito presso l’ex chiesa di S. Maria Maddalena.

Nel settembre 1910, l’ispettore segnalò all’Ufficio degli Scavi di Roma e Provincia di Aquila la scoperta di un antico sepolcreto in Avezzano presso il colle Sabulo, dove oggi è collocato l’attuale cimitero, mentre si cacava sabbia occorrente per selciare le vie della città. Durante i lavori vennero alla luce, alla profondità di tre metri, quattro sarcofagi di pietra gentile delle cave del Salviano contenente gli scheletri dei defunti. Nei primi due sarcofagi non erano presenti corredi funerari, nel terzo si rinvennero due daghe e una lucernetta di rame in cattive condizioni di conservazione, mentre nel quarto una lucernetta di terra cotta, una piccola fibula e un anello di bronzo. Dei quattro sarcofagi, due andarono dispersi nel terremoto del 1915, uno è conservato nel giardino del palazzo comunale e il quarto si trova presso piazza S. Bartolomeo, recentemente restaurata, mentre una delle due daghe (lunghezza circa 40 cm) è conservata presso il lapidario avezzanese, nei seminterrati del palazzo comunale.   

Presso lo stesso colle Sabulo, due anni più tardi, durante i lavori di estrazione della sabbia che stava eseguendo l’amministrazione comunale, si rinvennero alcuni oggetti fittili in argilla di fine impasto. In particolare una piccola coppa di terra cotta verniciata in nero, un cantaro verniciato in nero avente rotta una parte della bocca, del collo e una delle anse e un vaso troncoconico con due manici e vaste tracce di verniciatura in nero. Il materiale fittile fu collocato nel lapidario avezzanese, ma oggi è irreperibile. 

Durante i lavori che stava eseguendo il comune di Avezzano nel mese di agosto 1912, sul lato orientale del monte Salviano per aumentare la portata d’acqua potabile della cittadina, fu scoperto un tratto di acquedotto romano che fu esplorato per circa cento metri nelle viscere del monte stesso avente lo sbocco a circa 18 metri sulla piana del Fucino in prossimità della località Anime Sante. L’acquedotto era della stessa tipologia di quello romano del monte Arunzo, già annotato nell’Elenco degli edifici monumentali del Regno. L’ispettore fece un sopralluogo all’acquedotto romano con Gioacchino Mancini, funzionario dell’Ufficio per gli Scavi di Roma, del Lazio antico e della provincia di Aquila e inviò una circostanziata relazione al Ministero che fu pubblicata su Notizie degli Scavi. Il canale Arunzo partendo dalla fonte di Riosonno presso Caltellafiume, trafora il monte Arunzo a sud di Corcumello, cammina lungo i piani Palentini e attraverso una galleria nel monte Salviano, parallela all’emissario di Claudio sbocca in località Anime Sante nel versante avezzanese, dove erano stati rinvenuti diversi reperti durante alcuni saggi compiuti dall’ingegner Loreto Orlandi dell’Ufficio Tecnico di Avezzano. Lo stesso Orlandi ripulì l’acquedotto romano dell’Arunzo negli anni Trenta del secolo scorso per consentire un’importante opera di adduzione di acqua potabile dalla fonte di Riosonno ad Avezzano e altri paesi della Marsica.

Interno del canale romano Arunzo – Venditti 2012

Un’ultima segnalazione fu fatta dall’ispettore al Ministero nel 1913, poiché il sindaco di Ortucchio intendeva mettere a disposizione la chiesa di S. Orante a una compagnia di soldati per svolgere servizi di pubblica sicurezza. Lolli si raccomandava di dare precise disposizioni al sindaco per salvaguardare gli stucchi e gli affreschi che erano nella chiesa. La precauzione di Lolli per la difesa degli affreschi, purtroppo, non poté nulla contro il disastroso terremoto che a breve avrebbe colpito la Marsica nel 1915, distruggendo completamente la chiesa di S. Orante.

Chiesa S. Orante di Ortucchio distrutta dal terremoto del 1915 © ACS

Chiesa S. Orante di Ortucchio ricostruita nel 1969

Il terremoto del 1915

Nell’anno 1914 non ci furono segnalazioni archeologiche da parte di Francesco Lolli, che nell’ottobre di quello stesso anno fu riconfermato, per altri tre anni, ispettore del Circondario di Avezzano; incarico che svolse fino al 13 gennaio 1915, quando perì sotto le macerie del terribile terremoto marsicano. Lolli, oltre a svolgere l’incarico d’ispettore, assunse anche la direzione del Museo Lapidario avezzanese, curandone i traslochi avvenuti nel 1893 e nel 1898 all’interno dei locali dell’ex Convento di S. Francesco, che erano stati ceduti al Ministero della Guerra. Nel 1910, si oppose a un terzo trasloco richiesto dall’amministrazione comunale che intendeva spostare il Museo al pianoterra del palazzo Mazzenga situato a piazza Torlonia, angolo via Albense, che ospitava la sede della Reale Scuola Normale femminile. L’ispettore comunicò al Ministero P.I. che palazzo Mazzenga non era idoneo a ospitare il museo, che, pertanto, rimase nel locale dell’ex convento fino al terremoto, anche se l’amministrazione intendeva comunque spostarlo nel palazzo Mattei che era in fase di ristrutturazione. 

Sotto le macerie del terremoto rimase sepolto il ricco archivio Lolli, come segnalato dal neo ispettore ai Monumenti e Scavi di Tagliacozzo, dott. Giuseppe Fallace, e la notevolissima collezione di monete romane che lo stesso figlio dell’ispettore, Federico unico superstite della sua famiglia, chiese al Ministero P.I. di recuperare dalle macerie del terremoto.

Questa collezione di monete potrebbe essere proprio il ripostiglio rinvenuto a Gioia dei Marsi nel 1899, di cui Lolli aveva fatto un preciso inventario specificando il tipo di moneta, descrivendone l’impronta e indicando il monetiere, nonché l’anno di coniazione e lo stato di conservazione delle 306 monete. Nella compilazione dell’inventario Lolli dimostrò, oltre ad una specifica competenza, anche la sua passione per la numismatica, quindi è molto plausibile che possa aver acquistato queste monete giacenti nella stazione dei Carabinieri di Avezzano, giacché il Ministero non aveva manifestato interesse all’acquisto, ritenendole comuni. Dopo circa 30 anni dal terremoto del 1915, un ripostiglio di 292 monete fu consegnato dal Comune di Avezzano alla Soprintendenza di Chieti, su richiesta del Ministero della Pubblica Istruzione, dopo che lo stesso era rimasto presso il Museo Civico di Avezzano a seguito del rinvenimento fortuito segnalato dal sig. Angelo Sidoni all’indomani del terremoto. Ritengo che questo ripostiglio possa essere proprio quella collezione di monete che il figlio dell’ispettore chiedeva di recuperare e che Crawford aveva analizzato presso il Museo Archeologico di Chieti, identificandolo con quello di Gioia dei Marsi, vista la sorprendente corrispondenza delle quantità monetali e dei monetieri elencati da Lolli nella sua relazione del 1899. 

La scomparsa di Francesco Lolli, oltre ad essere stata umanamente molto dolorosa al pari delle numerosissime vittime del sisma, ha rappresentato anche un grave lutto per l’arte e l’archeologia marsicana, perdendo un valido ispettore degli Scavi che aveva dedicato la sua vita allo studio e alla conservazione dei monumenti della Marsica.

NOTE

Bibliografia di Francesco Lolli

L’unico documento che ci è pervenuto di Francesco Lolli, oltre ai numerosi articoli di archeologia pubblicati su Notizie degli Scavi durante la sua carica d’ispettore onorario dei Monumenti e Scavi del Circondario di Avezzano, è qui di seguito riportato:

  • Relazione sugli avanzi della antica Marruvio ne’ Marsi, all’onorevole Commissione Conservatrice dei Monumenti di Antichità e Belle Arti della provincia di Aquila, del 30 maggio 1891, 35 pagine più disegni e pianta della città di Marruvio, in ASAq, Prefettura, s. I, Aff. Gen., v. V a.1892-1895, Cat. 14, Istr. Pubb. a.1874-1895, b. 65.

Per ulteriori approfondimenti su Francesco Lolli

  • C. Castellani, Ispettori ai monumenti e scavi nella Marsica, ed. Kirke 2021 (Francesco Lolli da p. 148 a p. 191).
  • C. Castellani, Francesco Lolli – Ispettore per i Monumenti e Scavi del Circondario di Avezzano (aprile 1891 – gennaio 1915) – Un avvocato con la passione dell’archeologia, in Bullettino della Deputazione Abruzzese di Storia Patria, CIX (2018), L’Aquila 2019, pp. 301-342.
  • G. Pagani, Luci di nostra gente, Sulmona 1978 (Francesco Lolli da p. 351 a p. 355).

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