Nel territorio di Pescina operavano due bande armate: quella denominata «La Saetta» del sacerdote don Nazzareno Baroni e quella di «Fontamara» al comando dottore Emilio Ferrante (14 elementi); ambedue le formazioni paramilitari furono in attività fino al giugno del 1944.
A queste vicende avvenute in tutta la Marsica, seguirono: scontri, catture e sevizie operate dai tedeschi, con razzie e danni inferti alla popolazione; moltissimi i feriti con cittadini incarcerati e deportati, devastazioni e rappresaglie feroci.
Una delle storie più rocambolesche fu quella del partigiano Mario Celio (era nato ad Avezzano il 21 agosto 1921), che svolse attività partigiana dal 1° marzo 1944 al 31 maggio 1944, giorno in cui fu fucilato dai tedeschi all’Aquila. Nella stessa banda Lanciotti Gina, riconosciuta partigiana nello schedario caduti e feriti «Patrioti Marsicani», che conobbe Celio quando ancora prestava servizio nel 33° reggimento carristi di Parma. L’ardito combattente, sin dall’otto settembre aveva formato varie bande armate per intraprendere attività antitedesche: operò attivamente mettendo in atto furti di automezzi militari, lancio di bombe a mano sui binari Avezzano-Pescara e sottrazione di armi durante il bombardamento del dicembre 1943. In questo periodo di cruenta guerriglia armata, fu arrestato insieme alla partigiana Lanciotti; poi, entrambi, evasero raggiungendo la zona della «Duchessa», per unirsi alla banda dei partigiani del posto (6).
In questa situazione, rimangono ancora importanti (per storia del territorio), le testimonianze di Corbi e Palladini. Il primo, che venne eletto alla Costituente nel 1946, poi deputato per l’Abruzzo alla prima e seconda legislatura, fu comandante della «Banda Marsica»; accanto a lui Bruno Roselli di Gioia dei Marsi, il sacerdote Beniamino Vitali di Sante Marie e Peppino Di Cola di Trasacco. Invece, a Collelongo, i partigiani asserragliati a «Serralunga» erano riforniti da un certo Giovannone.
Ad Avezzano agiva anche Italo Sebastiani, che spesso «affrontava i tedeschi da solo ed era sempre fonte di preoccupazione» per i suoi compagni.
Il capo dei partigiani di Tagliacozzo era Enea Liberati: «meccanico, vecchia figura di antifascista, comunista amato, intelligente, rispettato anche dagli avversari politici» (7).
Molti altri episodi espressivi sono riportati da Palladini che, con giuste osservazioni, inizia il suo racconto il 13 settembre 1943, quando un reparto di paracadutisti tedeschi circondò il campo di Concentramento di Avezzano «e dei 2700 soldati e 400 ufficiali prigionieri, ne trovò solo 800», poiché gli altri erano tutti fuggiti con l’aiuto dei partigiani avezzanesi (2.300 erano indiani), anche se sui muri della città i proclami minacciosi del feldmaresciallo Kesselring ordinavano la pena di morte per chiunque avesse osato dare aiuto ai prigionieri nemici. Il resto degli internati, subito arrestati: «vennero inesorabilmente caricati su carri merci, piombati alla partenza, ed avviati verso il Nord per ignota destinazione».
Rappresentativi contributi di valore e di coraggio furono attribuiti al capitano inglese Banford e al carabiniere Remo Compagnone, fuggito da Celano con l’aiuto di complici; mentre, invece, sette inglesi catturati nei pressi di Avezzano, nella confusione del momento, riuscirono a darsi alla macchia.
Il professor Gino Ciarpini e lo stesso Pietrantonio Palladini si rivelarono decisivi per altre operazioni di salvataggio, come pure Rolando Spina: «che era riuscito a stabilire rapporti di fiducia col personale addetto allo stesso comando della polizia tedesca di Avezzano, rischiando di essere coinvolto in attività di controspionaggio».
Contemporaneamente, trentaquattro famiglie ebree di Avezzano erano state denunciate alle autorità fasciste e tedesche: quasi tutti i loro componenti furono salvati, escluso quelli della famiglia «Bruschi, residente nel Fucino, che fu internata nel campo di sterminio e di essa solo alcuni si salvarono».
Vista la dura rappresaglia delle SS., svolta ferocemente in tutta la Marsica, molti esponenti antifascisti si rifugiarono, con l’aiuto della madre di Giulio Butticci e di Antonio Leonardi nelle grotte di S.Iona (anche i fratelli Santucci di Avezzano, ex ufficiali dell’esercito italiano). Fino a che gran parte della popolazione avezzanese, sotto l’infuriare di micidiali bombardamenti, fu costretta a evacuare velocemente: «Avezzano fu l’epicentro della lotta, perché aveva elementi già temprati nella ventennale resistenza al fascismo ed aveva la possibilità di collegarsi in brevissimo tempo con Roma, dove operava il comando generale della resistenza armata. E così, dopo il primo periodo caratterizzato da una guerriglia affidata a gruppi isolati e ad azioni personali, alla fine di gennaio del 1944, il comando centrale militare inviò ad Avezzano il capitano Nicola De Feo ed il tenente Adriano Salvadori che costituirono quattro distaccamenti di Bande Partigiane Marsicane». Dopo vari scontri, i distaccamenti partigiani furono costretti a rifugiarsi nelle montagne di Collelongo. Raffaele Siniscalchi, spia dei fascisti e dei tedeschi, fu ucciso dai partigiani di Pescina. Anche nell’impervia zona di Colli di Monte Bove operava la banda del «Bardo di S.Marie», con a capo il parroco Beniamino Vitali.
Ancora Pietrantonio Palladini, nel suo racconto riuscì a stabilire che i tedeschi uccisi furono settantuno; quelli feriti furono trentatré; trenta i prigionieri e quattro le spie giustiziate. I limiti cronologici della Resistenza furono riportati nel suo libro, che elencherà, altresì, ben quarantotto perdite subite dai partigiani. Per l’uccisione di soldati tedeschi ad Avezzano e Celano, furono arrestate venticinque persone, poi liberate dagli alleati.
Nel frattempo i nazifascisti, tra rastrellamenti e rappresaglie avevano processato e fucilato altre cinquanta persone nella Marsica (tra essi vanno ricordati i trentatré uomini fucilati alla stazione di Capistrello il 4 giugno 1944). Il racconto dei fatti di Capistrello fu pubblicato da Antonio Rosini sull’Unità (6 giugno 1954) a dieci anni dall’eccidio: «Fu un giorno infausto, il giorno della SS. Trinità, il 4 giugno del 1944. La mattina, verso le sette, i contadini sulle montagne di Luco erano intenti a mungere le pecore; altri accudivano ad altre faccende, qualcuno di guardia era distratto […] I contadini vennero fatti uscire uno o due alla volta. Venivano portati sull’orlo della fossa e due gendarmi, a breve distanza, sparavano alla nuca. Cadde il primo, cadde il secondo, il terzo contadino tentò la fuga, scappò, a dieci metri lo raggiunse una scarica e rimase lì: il suo nome era Giacomo Cerasani di quarantasette anni. Venne il quarto, poi il quinto, il sesto; si era fatto già un mucchio. Dallo stabile si sentì una voce di fanciullo strillare: era Giuseppe Forsinetti, di tredici anni. Questo gridare dava fastidio ai camerati. Ordinarono di prenderlo, per farlo fuori subito. Nello stabile ci fu resistenza, ma invano. Lo zio del ragazzo, Antonio Forsinetti, non volle abbandonarlo e gli si aggrappò e, così, sull’orlo della fossa, si videro due sagome disuguali. Fu la volta di un contadino con baffi, robusto, con fronte alta. Sono i segni di riconoscimento di Cipriani Angelo, caporal maggiore dell’esercito, di anni quarantaquattro. Uno dei pochi contadini anziani piuttosto istruito. Quest’uomo gridò con tutte le sue forze: Viva l’Italia! A morte i tedeschi! Uscirono due uomini. Erano i fratelli Rosini, Alfonso di quarantatré anni e Loreto di quaranta. Caddero nella fossa tenendosi per mano. Così li trovarono dopo otto giorni dalla fucilazione».
Gli stessi alleati fecero un elenco delle perdite umane durante i bombardamenti nella zona, registrando ottocentotrentadue morti e sedici mutilati (anche se, sicuramente, le vittime furono molte di più).
Le razzie operate dai tedeschi dal settembre 1943 al giugno del 1944 nel circondario di Avezzano risultarono ingenti, mentre: «La lotta dei partigiani si svolse attorno a questo calvario di rapine, di spoliazioni, di violenze, di minacce, di morte».
Tra l’altro, il dirigente dello zuccherificio di Avezzano, Pio Berti, in piena collaborazione colle forze partigiane, fornì un certo quantitativo di esplosivo per far saltare un ponte ferroviario nella Valle Roveto. L’ennesimo atto di sabotaggio fu davvero ardimentoso, messo in atto il 7 novembre 1943 dall’ex capitano pilota Aldo di Loreto di Barrea e dagli avezzanesi: Giovanni Ricciardi, Italo Sebastiani, Mario Celio e Luciano Di Matteo.
Numerosi altri avezzanesi fornirono armi, munizioni, dinamite: «A centinaia, potrebbero essere citati fatti e nomi di persone che diedero determinante contributo, rischiando le ire ed il rigore del bando del Graziani per aver dato aiuto e soccorso ai renitenti di leva militare, nonostante fosse stata decretata la pena di morte». Ancora una volta il partigiano Italo Sebastiani scampò a morte certa.
Un fulgido esempio di combattente fu Aldo Di Loreto che, dopo varie e spericolate azioni di guerriglia campale, catturato dai tedeschi, venne condannato alla pena capitale.
Oltre a ciò: Giuseppe Testa di Morrea, fatto prigioniero dai tedeschi, minacciato e torturato, mantenne un eroico contegno subendo la fucilazione (11 maggio 1944); quattro ex prigionieri alleati (indiani), rifugiati a Castelnuovo dei Marsi, furono uccisi con scariche di mitra nel gennaio del 1944, le SS. proibirono alla popolazione di seppellirli; anche Michele Lo Console fu crivellato di colpi mentre cercava di fuggire alla macchia.
Altro episodio del 17 gennaio 1944, dimostrò ancora una volta la rabbiosa caccia all’uomo che perpetrarono i tedeschi e i fascisti dopo il bombardamento alleato sulla stazione di Avezzano, dove erano appena fuggiti ben sessanta prigionieri dai vagoni del treno, quando: «i tedeschi sfogarono la loro ira sui cittadini che casualmente incontravano e fra questi Luigi Mignani, stimatissimo e valente operaio dello Zuccherificio di Avezzano, che rimase ucciso da una raffica di mitra al pari di altri due passanti non identificati».
Numerosi altri avvenimenti citati dallo stesso Palladini descrivono in maniera raccapricciante le ritorsioni tedesche, rappresentando un tragico momento di crudeltà e di repressione operata dai nazifascisti in collaborazione con informatori locali, laddove: «Spie si celarono sotto i più innocenti abiti, nei centri degli sfollati, tra i poveri e i ricchi» (8).
NOTE
- A.C.S., Ricompart, schedario partigiani e schedario caduti e feriti. Abruzzo, Commissione regionale Abruzzese per il riconoscimento della qualifica di partigiano. Cfr. F. Nocera, Le bande partigiane lungo la linea Gustav. Abruzzo e Molise nelle carte del Ricompart, Anno accademico 2017-2018, Università degli Studi del Molise, Dipartimento Economia, pp.222-302. Nella corposa parte documentale del «Fondo Ricompart», che contiene tutto il carteggio inerente alle domande per il riconoscimento delle qualifiche di partigiano (patriota o di formazione partigiana), si riscontrano altri innumerevoli episodi di valore. Utile, per diverse notizie, anche il Fondo Ministero degli Interni, Direzione Generale di pubblica sicurezza, Divisione Affari Generali e Riservati, Casellario Politico Centrale. In base a queste indicazioni, venne costituita all’Aquila una «Commissione», cfr., C.M.Fiorentino, Il fondo archivistico dell’Ufficio per il servizio riconoscimento qualifiche e per le ricompense ai partigiani (RICOMPART).
Cfr. C.Felice, Dalla Maiella alle Alpi. Guerra e Resistenza in Abruzzo, Donzelli editore, Roma, 2014. Lo studioso descrive il Corpo Volontari della Maiella (5 dicembre 1943-28 febbraio 1944) che, grazie alla fiducia del Maggiore Lionel Wigram, fu aggregato al V Corpo britannico dell’VIII armata, come fosse un reparto militare. - Intervista a Bruno Corbi, Roma li, 17/3/1982, in «Rivista Abruzzese di Studi Storici dal fascismo alla Resistenza», Anno IV, NN.2-3, Luglio-Novembre 1983, p.266 sgg.
- P.Palladini, cit., pp.27-114. Comincia la lotta partigiana. Per la strage di Capistrello si veda in dettaglio: L’Unità, Anno 81, n.8, venerdì 9 gennaio 2004, p.26, Commenti, lettere al direttore, Cara Unità…, «Sulle stragi nazifasciste», Antonio Rosini, Avezzano.