Fornaci e calcare. La “carecara i Mastraccanie” di Opi

Fornaci e calcare. La “carecara i Mastraccanie” di Opi

Opi – Secondo Giusy Colantoni e Claudia Dituri, il territorio dell’Alto Sangro è di natura geologica, quindi adatta per le costruzioni e alla lavorazione della pietra per ricavare la produzione della calce.

A questo punto è giusto pensare che a pietra era, e oggi lo è meno, uno dei principali materiali utilizzati dagli abitanti dei nostri paesi altosangrini per costruire castelli, abitazioni, stalle e capanne.

Naturalmente la pietra non veniva usata solo per la costruzione, ma anche per la produzione della calce, come innanzi detto.

Tenendo presente queste due categorie di materiale -pietra e calce- si può pensare che le aree di approvvigionamento di detto materiale si trovassero nelle vicinanze delle abitazioni.

Riporto una notizia riguardante Opi, tramandata dagli storici (che sia vera o meno). Questa può essere verificata recandosi alla Foce di sopra, dove i Romani, negli anni 186 a.C. e 144 a.C., prelevarono due enormi pietre dalla parte rocciosa.

Una pietra fu portata al Campidoglio, mentre l’altra fu destinata al Foro Romano, che, una volta costruito, venne chiamato “Opifero“, un toponimo ancora esistente a Roma.

Partendo da questa testimonianza, si può ipotizzare che le cave di pietra fossero situate proprio vicino, o addirittura all’interno, dei centri abitati, soprattutto in quei paesi che si sono sviluppati sulle alture.

Una conferma di questa ipotesi emerge facendo riferimento al Castel Mancino di Pescasseroli, al colle Sant’Ianni presso Villetta Barrea, ai resti della struttura di Rocca Intramonti, alla Torre nel comune di Civitella Alfedena, al Castello e allo Studio di Barrea, e, come già menzionato in precedenza, alla Foce di Opi e all’insediamento di Pescogrosso (Peschejerosse) nel territorio di Opi. In questi luoghi, infatti, è ancora possibile ammirare le pietre con cui sono state costruite le capanne.

Ora voglio parlare della “CARECARA I MASTRASCANIE”.

Non molto tempo fa, la produzione di calce con le pietre era una pratica comune non solo a Opi, ma anche negli altri paesi della nostra zona, ed era diventata un’attività redditizia.

Alcune “calcare” sono ancora visibili in certi paesi dell’Alto Sangro, come le “I Mastaccanie” a Opi. Si trattava di un’attività secolare, tramandata di generazione in generazione, che risultava particolarmente proficua per chi la gestiva.

Una “calcare” aveva un diametro di circa 5 metri e una forma cilindrica. Al suo interno c’era una camera di combustione che veniva costantemente alimentata, raggiungendo temperature di circa mille gradi per cuocere le pietre disposte in filari concentrici, fino a formare una cupola.

Un corridoio di terriccio separava il rivestimento cilindrico, mentre l’intera struttura era chiusa da una copertura di terriccio impastato, con numerose bocche di sfiatamento attraverso le quali fuoriuscivano fumo e l’odore acre delle pietre.

Va detto che per cuocere completamente una “calcare” erano necessari anche dieci giorni consecutivi. Per cuocere 50 quintali di pietra, inoltre, servivano altrettanti quintali di legna.

Una volta completato il processo di cottura, la calce veniva estratta e venduta ai cittadini, che la conservavano in pozzi scavati nel terreno, pronti ad utilizzarla per lavori domestici o per costruire nuove strutture.

Fate attenzione a che il fuoco non si spenga mai neppure di notte. Caricate il forno con pietre di buona qualità, le più bianche e le meno porose possibili… date alla cappa una forte inclinazione; disponete il piano del focolare in modo che sia quanto più possibile infossato e riparato dal vento”. (Catone-De Agricoltura)

Chi ha raccontato questa storia, ne ricorda una molto vagamente. Era stata realizzata sotto la Fonte di Rocco e un’altra quella di “MASTRASCANIE” ubicata all’incrocio della strada vicinale per le Forcelle-Colle Frassineto- Le Macchie e Val Fondillo.

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