Una fiaba della scrittrice dei Marsi Maria Assunta Oddi per il compleanno di Sabina Santilli

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Il 29 maggio 1917 nasceva a San Benedetto dei Marsi Sabina Santilli che pur essendo sordocieca dall’età di sette anni ha lottato per donare all’infanzia con problemi psicosensoriali un futuro migliore. Da pedagogista sensibile e innovativa nelle metodologie comunicative compensative aveva compreso la necessità di riflettere sui cambiamenti richiesti dal sistema globale per migliorare le condizioni dei minori più vulnerabili. Come fondatrice della “Lega del Filo d’oro” concentrandosi su sostenibilità, inclusione ed equità ha promosso l’accettazione e la valorizzazione della diversità per migliorare la qualità della vita. Il grande merito di Sabina è quello di aver visto nei diversamente abili soggetti di diritto e non solo oggetto di assistenza e protezione, con il fine di garantire l’accesso dei bambini con difficoltà a sevizi quali l’istruzione, l’assistenza sanitaria e la protezione legale.

Anche una fiaba, in un’epoca segnata dalle disuguaglianze, può tutelare l’infanzia promuovendo l’accettazione e la valorizzazione di ogni persona con la narrazione.

In questo racconto la scrittrice dei Marsi Maria Assunta Oddi mostra come la bellezza si incarni nel divieto di discriminazione perché ognuno è portatore di speranza nella ricerca della felicità.

  Bufo il rospo strano.

C’era una volta un re, anzi un rospo dall’aspetto assai sgradevole.  Una corporatura particolarmente tozza e una pelle verrucosa piena di insolite macchie rossastre lo allontanavano anche dai suoi fratelli che disdegnavano giocare con lui nello stagno. Dietro gli occhi due rigonfiamenti contenevano visibilmente un veleno, sicché nessuno osava avvicinarsi temendo per la propria incolumità. Mentre gli altri animali della sua specie uscivano dai loro nascondigli al crepuscolo, Bufo per non essere maltrattato, preferiva uscire di giorno allontanandosi dall’acquitrino per recarsi nei prati dei papaveri dove la il colore della sua pelle si confondeva con quella dei rosolacci. Camminando lentamente tra l’erba incontrò un giorno di primavera una pastorella che rivolgendogli la parola lo chiamò per nome: “Bufo, conosco bene il tuo dolore per essere considerato diverso, ma posso aiutarti svelandoti un segreto”. Il rospo stupito da tale incontro e non comprendendo il significato del messaggio ricevuto chiese: “Come puoi conoscere il mio nome? Cosa sai della mia solitudine?” la fanciulla rispose: “Recandomi spesso nella cucina del castello portando latte e formaggio, un giorno ascoltai una vecchia strega che raccontava alla vivandiera di aver fatto un sortilegio a un paggetto, che per distrazione gli aveva calpestato un piede, trasformandolo in un rospo per punirlo dell’affronto”.

A quelle parole Bufo, che era sempre stato timido e introverso, aprì il cuore raccontando la sua storia”.

“Ora comprendo il motivo della mia infelicità. Vivevo come fossi un anfibo tra terra e acqua a causa di una strega terribile che ha cagionato, trasformandomi in un altro essere, la perdita della memoria. Quanta paura nel vedere il serpente avvicinarsi alla riva dello stagno, quanto freddo nelle giornate gelate d’inverno e che calura sotto il sole d’agosto! Ma anche in quella mia nuova vita c’era qualcosa di speciale quando nel silenzio assoluto della luna osservando il cielo sentivo che anch’io, pur misero com’ero, avevo un senso. se nessuno degli abitanti dell’acquitrino si avvicinava a me, nei prati, dove libero di saltare, i papaveri mi accarezzavano festosi vestendomi con le corolle profumate di rugiada. Talvolta mi spingevo oltre i campi ed oltre i prati per raggiungere i boschi dove crescevano alcune felci così alte che sotto le foglie più grandi ci si poteva star diritto sulle zampe. Anche se nessuno giocava con me in compenso mi divertivo a gonfiarmi tutto come una nave che spiega le vele e vola verso l’isola più bella della terra. Odiato e beffato da tutti avevo imparato presto a fare della mia solitudine un modo per sognare”.

La ragazza, che fino a quel momento aveva ascoltato in silenzio, iniziò a parlare: “Le tue vicende mi hanno commosso ma anche meravigliato. Come hai potuto, nello squallore della solitudine, conservare un cuore fanciullo. Come i tuoi occhi così spregevoli, per il veleno che li circondava, hanno visto la bellezza?”

Bufo, che per la prima volta si sentì compreso e accettato per la sua condizione, riprese con un tono di voce assai cortese: “Grazie mille per la gentilezza delle tue parole che cercano oltre l’aspetto fisico l’anima mia.

Siamo tutti diversi ognuno a suo modo ed io ho imparato a sopravvivere ripetendomi sempre che ognuno di noi nasce, in ogni luogo e in ogni tempo, insieme ad una stella”.

Aveva appena finito di pronunciare l’ultima parola che una stella cadde e tracciò una lunga scia di luce nel fondo del cielo che si era fatto buio”.

In quel momento la pastorella si trasformò in una fata bellissima che toccando Bufo con la bacchetta magica lo riportò ad essere il bambino grazioso di una volta con le gote rosse e la boccuccia sorridente.

“Andiamo” disse la fata rivolgendosi al ranocchio finalmente tornato fanciullo “E’ giunta l’ora di tornare a casa dove ti aspettano ansiosi i tuoi genitori da tempo in pena per la tua improvvisa scomparsa”

Qualcuno che passava di lì per caso disse di aver visto una bellissima donna che teneva per mano un bambino sotto un arcobaleno tra cielo e terra.

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