13 gennaio 1915, 107 anni fa il terremoto di Avezzano che distrusse l’intera Marsica: in ricordo delle oltre 30.000 le vittime di quella catastrofe

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Era il 13 gennaio 1915, l’orologio segnava le 07.52 della mattina, le lancette non arrivarono mai a scoccare le ore 8.00: la Terra, con tutta la sua forza distruttrice, si abbattè con violenza sull’Abruzzo, in particolare sulla Marsica, mietendo migliaia e migliaia di vittime, inconsapevoli dell’apocalisse che si stava consumando dinanzi ai loro occhi inermi.

Un terremoto di magnitudo 7.0 della Scala Richter, con una profondità di 15 km, spazzò via in pochi secondi l’esistenza di oltre 30.000 persone, radendo al suolo intere cittadine: la scossa, avvertita in tutta la Penisola, con epicentro nel bacino del Fucino, subito ad ovest dell’abitato di Ortucchio, devastò l’intera regione storico-geografica della Marsica e le aree limitrofe del Lazio, come la valle del Liri e il Cicolano.

Un terremoto di tale intensità non aveva mai interessato la nostra area, tanto da essere classificato tra i principali sismi avvenuti in Italia per forza distruttiva e numero di vittime: solo ad Avezzano le vittime furono oltre 10.700, su un totale di circa 13.000 abitanti. Tra queste, perse la vita anche l’allora sindaco Bartolomeo Giffi ed altre autorità locali come il sottoprefetto De Petris.
Dopo Avezzano, i centri maggiormente colpiti furono Pescina (4.000 morti), S.Benedetto dei Marsi (3.000 morti), Ortucchio e Magliano dei Marsi (1.800 morti per paese), Gioia dei Marsi (1.600 morti), Collarmele e Cerchio (1.200 morti per paese), Aielli (1.000 vittime), senza contare i tantissimi feriti, che vennero soccorsi dopo molte ore, a causa di problematiche legate alla viabilità e, non da ultima, la nevicata che interessò la regione proprio nei momenti successivi la scossa.

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Una devastazione totale, tutti gli edifici si sgretolarono su sé stessi: le scuole, le chiese ed il castello, le case, i negozi, le farmacie: sembrava un campo di battaglia, le foto rappresentanola testimonianza vivente dell’inferno che i nostri compaesani dovettero affrontare.

Restò in piedi una sola abitazione, ancora oggi perfettamente intatta, in Via della Stazione, oggi Via Garibaldi, come testimonia anche una targa commemorativa con su scritto “Unica casa che ha resistito al terremoto del 13-1-1915”: la casa era del cementista bolognese Cesare Palazzi, che aveva imparato bene ad utilizzare il cemento. Ed infatti, costruì quella casa in blocchi di cemento, inseriti in un muro di spessore, che seppero reggere alla forza distruttiva del terremoto.

«I soffitti s’aprivano. In mezzo alla nebbia si vedevano ragazzi che, senza dire una parola, si dirigevano verso le finestre. Tutto è durato venti secondi, al massimo trenta. Quando la nebbia di gesso si è dissipata, c’era davanti a noi un mondo nuovo», questa una delle celebri frasi di Ignazio Silone, nato a Pescina nel 1900, che nelle sue opere ha ricordato quel giorno, quegli istanti infiniti di paura e terrore, essendo stato uno dei testimoni scapati alla tragedia.

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Quell’alba mai baciata dal sole (13/01/1915)
di Cesidia Gianfelice

In quella notte solitaria e stanca,
dita oscure s’abbassarono , vagando,
nel ricoprir di pianto la natura
dispersa nel gelo riflessa nel frammento
d’un antico lago .

In quella notte un canto di civetta sopra un ramo
agghiacciò di paura persino un roditore,
che , con dolenza e sempiterna pena,
ricercava un qualche rifugio tra le zolle.

In quella notte s’ udì , dapprima, un silenzio serbato
poi un sussurrar di fonte sprofondar in rumori alterni, sempre più forti,
vaganti tra le gemme dell’oscuro
e tutto sembrò allontanarsi : persino la luna.

Così sinistra parve quella notte,
un cane latrava e le faceva compagnia,
forse anche lui era in cerca della mano
che gli facesse scordar l’abbandono.

Notte, perché non placasti l’ira della Terra , accudendone ogni tremor ,
col tuo manto di velluto
e non cercasti la luce nascosta dalle macerie,
prima di fuggir via come una spietata ladra?

Notte non udisti il pianto dei tuoi figli?
Non vedesti i loro corpi insanguinati sprofondar nel nulla, ingoiati dalle loro umili dimore?
Non tremasti dinanzi al singhiozzar degli orfani?

E tu, Alba , perché non svegliasti, con arguto grido ,anche le stelle vagabonde,
nel navigar sul lago di luna , che fendeva deciso … le ombre e la notte.
Perché non scartocciasti le nubi …. dai gusci di ghiaccio
affinché allontanassero dal tuo grembo la morte.

Alba di quel giorno lontano ,immortalato nella storia ,
sei ancora lì ad attendere il tuo sospirato sole ,
mentre quella civetta va cantando ancora
nel sonno tumultuoso d’ogni notte.

Cesidia Gianfelice

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