Dopo la fondazione della Cassa Agraria di Pescina «per la costituzione di bieticoltori fucensi con seimila aderenti», seguita da un provvedimento del marchese Carlo Gerini (direttore della federazione provinciale degli agricoltori dell’Aquila), la situazione socio-economica nella Marsica non sembrò certo migliorare.
Anche i discorsi dell’onorevole Edmondo Rossoni (esposti ad Avezzano nel luglio del 1928), che intesero superare i termini e la piattaforma stessa della battaglia politica, lasciarono aperta una situazione incandescente poiché: «il discorde ruolo di sindacalista e di gerarca difficilmente potrebbe essere messo a più dura prova che in queste circostanze» (1). Tuttavia, a dispetto di queste sfavorevoli prospettive, apparve sostanzialmente illusorio la nascita di un ordine nuovo che doveva essere caratterizzato da disciplina, gerarchia e autorità. Infatti, la ripresa di un sindacalismo operaio combattivo, forza di progresso e di consolidamento della potenza del regime, fece sperare non lievi modifiche alle norme vigenti in tutto il territorio, per mezzo della stampa e della propaganda fascista, che avevano dato all’avvenimento la massima importanza.
Tra l’altro, una sorta di velato scetticismo sulla possibilità di miglioramenti zonali, rimase evidente.
In questa prospettiva politica non certo esaltante, rappresentata da un quadro socio-economico del comprensorio marsicano davvero complicato, sarebbe stato impossibile evitare sia una diminuzione dei salari e dell’occupazione sia uno sfasamento del rapporto salari-costo della vita, testimoniato da un polemico articolo di fondo sul paese di Pescina. Critiche per molti versi veritiere, tenuto conto dei vari ostacoli e dei tentativi di rinascita della piccola cittadina attraversata dal fiume Giovenco, misero in luce le costanti ristrettezze economiche e le difficoltà di una pronta rinascita di tutti i borghi dell’area Sud orientale della Marsica. Altre motivazioni prevalentemente economiche furono mosse contro i commercianti di Avezzano, accusati di non diminuire i prezzi al minuto come avrebbero dovuto fare: «Questo paese [Pescina], che si pasce di storia dei tempi in cui primeggiava sulla Marsica e per una produzione agraria e per essere sede di cultura, ora è un misero paese, alla dipendenza commerciale di Avezzano, dove si acquistano i generi, più o meno all’ingrosso, e si rivendono qui, al doppio, o in bottega o in piazza. Tale e quale si fa nei dintorni di quella città, privi di ferrovia e muniti di preistorici mezzi di locomozione. Non diciamo quale scapito reca al consumo ed all’economia della popolazione, ma solamente ci limitiamo ad osservare quale fonte di ricchezza può essere pel commerciante stesso il sistema che è stato adottato». Un attivissimo commercio, quindi, aveva spostato le attività verso i mercati di Avezzano e Sulmona, dove si comprava la merce a basso costo per poi rivenderla agli indigenti al doppio «accrescendo la loro miseria». Non mancò, in questa lotta di ristrettezze economiche, la concorrenza fra commercianti e negozianti. Accadeva spesso che, se un individuo comprava una certa qualità di prodotti in una rivendita, non potesse poi acquistarne in altre, magari a minor prezzo: «Se, poi, l’acquirente ha qualche debituccio verso un negoziante, oh allora! Guai se muta per una volta sola la strada e va da qualcun altro a comprare chicchessia! Lo spione sfaccendato, che pur di non lavorare si contenta di mangiare i residui della non lauta mensa del suo padrone; lo spione barbuto e lacero, seduco poco distante dal negozio, guarda sempre e riferisce ora, minuti e luogo! Il Procuratore delle Imposte, poi, pensando chissà quale reddito (mentre vi sono troppi negozi, e nessuno di essi ha un reddito sufficiente per poterci campar sopra; e da ciò la lotta fra loro), applica delle grosse cifre! E credete che i negozianti si sgomentino? Ma neanche per sogno! Il consumatore paga ed appaga. Andate poi da un povero padre di famiglia a chiedergli di versare 60 lire per divenire socio dell’O.N.B. Andate a chiedergli 45 lire, prezzo complessivo dei libri necessari per frequentare la 5ª classe elementare. Sentirete la risposta!».
Oltretutto, venne puntualmente segnalato dal cronista che qualche mulino della zona era sprovvisto di bascula e così la povera gente non sapeva: « né quanta roba entra e né quanta ne esce» (2). In base a queste e ad altre gravi situazioni zonali, la tanto competitiva «Carta del Lavoro», emessa dall’ordinamento corporativo fascista, avrebbe dovuto far fronte anche a simili problemi e proteggere in egual modo le categorie interessate. Sul piano organizzativo generale, con l’ambizioso intento di superare le numerose difficoltà, la politica del regime concluse proprio in questo periodo la seconda fase dell’azione sindacale e corporativa fascista, sotto un profilo sociale unico, per un miglioramento delle condizioni generali. Nessuno poteva considerare se stesso un: «fine ultimo della propria azione. Ogni attività produttiva è regolata nell’interesse della nazione». Questa presa di posizione, capace di colpire maggiormente l’opinione pubblica, confermò un giudizio negativo per raggiungere tali obiettivi ai vertici delle gerarchie fasciste della Marsica. Infatti, sul piano organizzativo, un programma di massima inteso a riorganizzare il commercio zonale, risultò davvero difficile da mettere in pratica, specialmente quando si trattò di trarre risultati concreti dai dati concernenti i singoli costi al consumo. Anche se gli organi preposti a regolare i mercati, spesso erano stati passivi e irresponsabili, distaccati dalle masse: di contro, molti commercianti richiedevano con insistenza il regolamento dei prezzi e della riduzione della spesa. Tra l’altro, si leggeva al punto IX del regolamento statale: «Saranno accertate le variazioni nel potere di acquisto della moneta, i salari reali, il tenore di vita nelle classi lavoratrici. I dati elaborati serviranno per il regolamento dei prezzi e riduzione di costo» (3). In effetti, i grossi progetti esposti dall’onorevole Edmondo Rossoni, finalizzati a convincere i sindacati locali per sollecitare accordi di equità e di giustizia, non furono agevolati nella realizzazione dei contenuti. D’altra parte si vide come illusoria l’unità morale ed economica nella Marsica, sollecitata, invece, da una politica di sacralizzazioni dei miti fascisti. Tutto questo si riscontra anche in altri articoli pubblicati dal giornale «Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise» che, pur essendo un quotidiano di regime, non temeva di denunciare, attraverso le segnalazione dei corrispondenti locali, situazioni di forte disagio popolare.
A livello internazionale, anche il giornale clandestino «Avanti!» in qualche modo segnalava a discapito del regime simili problemi, riscontrati anche in altre zone d’Italia, proprio perché, a differenza della propaganda fascista che decantava i traguardi raggiunti, il regime, invece, stata divorando le ultime risorse, vanificando quasi completamene il potere contrattuale sia politico sia sindacale. Con titoli molto eclatanti, del tipo «Lo spirito pubblico in Italia», l’autorevole testata affermò in questo periodo: «Confessioni di miseria. Fallimenti clamorosi. Perché Fortunello Turati si mantiene a galla? L’estrema spremuta del contribuente. Adesso lo confessano, ufficialmente, anche i fascisti. La vita in Italia è cara, molto cara. Da tutta Italia giungono notizie che le recenti grandi feste sono state dovunque di uno squallore impressionante» (4).
Sul piano concreto, secondo la stampa di regime, gli obiettivi di questa politica erano rappresentati dal conseguimento di elementi di stabilità, raggiunti «nell’anno VII dell’era fascista» che iniziava sotto i migliori auspici: «Acta, non verba». Nonostante ciò, Mussolini cercava di lanciare la nazione su «vie sicure e luminose dell’avvenire».
Oltretutto, occorre sottolineare che, alla vigilia della ricorrenza della Marcia su Roma: «Il Duce stesso, con un gesto che è un simbolo e anche un fatto concreto di eccezionale significato e di considerevole portata, ha dato alle fiamme sull’altare della Patria ben 140 milioni di titoli, i quali rappresentano in parte le spontanee offerte dei privati al capo del Governo ed in parte provengono dalla Cassa di Ammortamento del Debito Pubblico» (5).
Diffidenze locali più o meno manifeste in piazza non mancarono, poi subito rientrate uniformandosi alla volontà del duce, specialmente quando alcune buone notizie attenuarono la rabbia dei podestà marsicani. Infatti, sembrò meritare attenzione in tutto il territorio: «l’Abbuono di imposte degli anni 1916 e 1917 nei Comuni del Distretto dell’Ufficio delle Imposte di Avezzano», che dette un po’ di respiro alle amministrazioni municipali (6).
Sul momento, anche se le scelte di fondo adottate dal regime tra il 1928 e il 1929 potevano essere esaminate da molteplici punti di vista (negativi e positivi), il quadro generale della situazione, venne esaltato da «Il Popolo d’Italia», che annunciò positivamente la chiusura della prima legislatura del regime, considerata vera costituente del nuovo stato fascista: «nessuna Assemblea costituente ha mai offerto un simile spettacolo di giovinezza eroica e volitiva: la Camera non appariva più un consesso di politicanti dalle vecchie mentalità farisaiche, ma si rivelava un’adunata di forti, decisi ad un’opera di disciplinata creazione» (7).
NOTE
- R.Colapietra, Fucino ieri, 1878-1951, Ente Fucino, Stabilimento roto-litografico «Abruzzo-Press», L’Aquila, ottobre 1998, pp.162-171.
- Il Risorgimento d’Abruzzo e Molise, Anno X – Num.824 – Roma, 16 Settembre 1928, Corriere di Pescina. Negozi, negozianti e consumatori.
- R.De Felice, Mussolini il fascista, II. L’organizzazione dello Stato fascista, 1925-1929, Giulio Einaudi editore, Torino 2019, Appendice, Carta del Lavoro, pp.525-526
- Avanti! Bollettino del Partito Socialista Italiano, Anno XXXII – N.45 – Domenica, 25 Novembre 1928, p.2, Mentre il fascismo divora le ultime risorse d’Italia; Id., Anno XXXII – N.49 – Domenica, 23 Dicembre 1928, La fascistizzazione che defascistizza.
- Il Messaggero, Anno 50° – N.257 – Domenica, 28 ottobre 1928.
- Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, legislatura XXVII – 1ª Sessione, Discussioni, Tornata del 28 Novembre 1928.
- Il Popolo d’Italia, Anno XV – Num.292 – Sabato, 8 Dicembre 1928.