L’Ambasciatore della Commissione Europea per il Clima, Della Ventura, stigmatizza l’assenza delle istituzioni e della politica all’evento pubblico
Pescina – Sono state due ore e mezza intense, e soprattutto, appassionate, quelle che sabato pomeriggio hanno caratterizzato, a Pescina, presso il Centro Studi Silone, il dibattito sui rischi legati al cambiamento del clima.
Un tema che in questi giorni ha conquistato le prime pagine dei giornali e le aperture di gran parte dei media italiani dopo che l’ondata di calore “anomalo” e i successivi violenti fenomeni temporaleschi, hanno messo a dura prova diverse regioni del paese già dalla fine del mese di maggio.
Nell’ambito dell’iniziativa, promossa da Paolo Della Ventura, Ambasciatore della Commissione Europea per il Clima, è stato presentato il romanzo “L’ultimo respiro del sole” edito da Laurana Editore e scritto da Silvia Grossi, Antropologa e Entografa, profonda conoscitrice del Sud-Est Asiatico. Studiosa che collabora con diverse riviste nazionali di viaggi e cultura oltre che con Enti della Cooperazione Internazionale.
Il sindaco Mirko Zauri, ha fatto gli onori di casa portando il suo personale saluto, e quello della sua amministrazione che ha patrocinato l’evento. Zauri ha rimarcato l’importanza dell’opera di sensibilizzazione nei confronti della pubblica opinione circa i segnali che il pianeta invia all’uomo mettendolo in guardia sui comportamenti da adottare per invertire il trend, che vede le temperature medie alzarsi sempre di più ad ogni latitudine del globo.
Della Ventura ha portato la sua appassionata testimonianza fatta di dati e rapporti ufficiali, corroborata da slides, grafici e filmati inequivocabili, dal forte impatto emotivo. I numeri non fanno sconti, stanno lì a dirci come stanno le cose, senza dubbi interpretativi né equivoci di sorta. I numeri sono un’istantanea che rappresenta la realtà così com’è, nuda e cruda, in tutta la sua devastante drammaticità. E la realtà, è che il pianeta sta morendo per via del cambiamento climatico provocato dalla sconsideratezza dell’uomo.
Tuttavia ci si chiede come mai la percezione del rischio del cambiamento climatico sia ancora molto blanda, quasi fosse un problema di cui forse si avverte la presenza ma certo non l’urgenza. Prova ne è stata, la totale assenza delle istituzioni alla conferenza. Circostanza questa rimarcata dallo stesso Della Ventura al termine dell’evento.
«Abbiamo invitato la Regione Abruzzo, il Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, il Parco Naturale regionale Sirente Velino, tutte le amministrazioni comunali della Marsica. Salvo il presidente Marsilio, che mi ha comunicato di non poter essere presente, e altri due o tre sindaci che mi hanno informato della loro indisponibilità per varie ragioni, nessuno ha risposto all’invito. Se questo indica il livello di attenzione da parte delle istituzioni, come si può immaginare di costruire un’opinione pubblica sul tema?»
La dottoressa Grossi, al suo esordio da romanziera, ha raccontato la genesi del suo libro in un genere letterario che non è il suo, essendo abituata a scrivere saggi e resoconti prevalentemente tecnici, relativi alle sue esperienze di Antropologa immersa in territori e alle prese con popoli lontanissimi dal vissuto quotidiano di una persona occidentale.
La vicenda narrata si svolge in Malesia, più precisamente nel sultanato del Kelantan, una regione che nell’inverno fra il 2014 e il 2015 venne letteralmente cancellata da una delle alluvioni più devastanti che si ricordano a memoria d’uomo. La furia dell’acqua, favorita dalla deforestazione e dalla distruzione di vaste aree di mangrovie, destinate alle coltivazioni di olio di palma e all’industria mineraria, trasformò tutto in fango, dolore e rabbia.
La storia non è soltanto il racconto di devastazioni ambientali perpetrate da multinazionali governate da uomini d’affari senza scrupoli, ma è anche una storia di devastazione culturale, è una storia che parla del pervicace tentativo di annientare un’etnia, quella degli Aborigeni Temiar che resistono ostinatamente alle deportazioni verso le periferie anonime delle megalopoli.
«Un disastro non cambia solo il tempo, bensì dura nel tempo: non è semplicemente un evento, ma un discorso su un evento. Permette di osservare continuità e rotture, mette in connessione il globale e il locale, obbliga a speculare sul passato e a mantenere uno sguardo proteso verso l’avvenire.»
Queste le parole della Grossi in uno dei passaggi salienti del suo intervento, nell’ambito del quale, ha rimarcato come l’assenza della percezione del rischio, sia in larga parte dovuta all’evidente mancanza di serie politiche ambientali di lungo respiro.
Secondo l’antropologa, se non esiste una corretta percezione del rischio, è a causa della scarsa attitudine del potere politico a considerare le crisi climatiche come fenomeni per nulla indipendenti dalle decisioni personali. L’assenza delle informazioni che la politica, per prima, dovrebbe veicolare, si traduce in scarsa motivazione, da parte dell’opinione pubblica, a prevenire le catastrofi attraverso comportamenti virtuosi.
Le traversie del fiero popolo dei Temiar, gli ultimi della scala sociale malese, non sono dissimili da quelle dei Cafoni narrati da Silone in Fontamara. La loro rabbia è la stessa che percepiamo nei fontamaresi e nel forte radicamento della loro cultura antropologica, legata all’esperienza e ai racconti tramandati all’interno di comunità dove tutti si conoscono, e dove ognuno, sente di essere parte indissolubile di una storia comune.
I Temiar di oggi, come i Cafoni di Fontamara di cento anni fa, sono uomini condannati alla fatica, alla miseria e allo sfruttamento, come condizione imprescindibile del loro essere ultimi. Silone descrisse un mondo che diventò iconografia epica di tutte le ingiustizie perpetrate dal potere sull’uomo, in ogni luogo della Terra. Oggi come allora, nulla è cambiato. (a seguire le video interviste)