Le nostre montagne raccontano. Celano 800 anni dopo: Assedio, distruzione e deportazione degli abitanti

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|||||||Foto croce Turris Celano quota 1161 m.||||||||||||

Non solo vette da scalare, arrampicate di falesie e forre da attraversare ma anche storia e cultura del patrimonio dell’ambiente montano. Esattamente otto secoli dopo la distruzione dell’antica Celano (aprile 1223-aprile 2023) per volere di Federico II di Svevia Sacro Romano Imperatore, la Sottosezione CAI di Celano, lo scorso 2 aprile, ha visitato i luoghi dove nel lontano medioevo sorgeva l’antica Celano. Il cammino si è svolto lungo il Sentiero Storico realizzato dai soci nella primavera del 2010 nella parte pedemontana della Serra di Celano. Sono stati visitati i ruderi di torrette rompitratta, resti di cisterne per la raccolta dell’acqua piovana,  antiche mura di cinta e, probabilmente, anche di due chiese, Sant’Agata e San Bartolomeo, che ancora oggi testimoniano l’esistenza della gloriosa contea.

Gli eventi storici

Con l’avvento di Federico II di Svevia (Jesi 1194-Fiorentino 1250) al potere del Regno di Sicilia il conflitto fra l’imperatore svevo e il riottoso conte Tommaso fu inevitabile, vista la politica federiciana di annullamento dei poteri comitali nell’intero Regno. Nel 1221, dopo la reale titolatura di “Conte di Celano”, Tommaso fece fortificare meglio le rocche di Celanum e Obinolum (Ovindoli). Con la resa di Bojano il conte di Acerra pose l’assedio alla rocca di Roccamandolfi, dove si rifugiarono Tommaso con la moglie Giuditta e il figlio,  ottenendo anche la resa dell’abitato di Celano ad esclusione della Torre di Celano e del castello di Ovindoli dove si rifugiarono i fedeli del conte Tommaso. Nonostante i numerosi assalti le forze imperiali non riuscirono a conquistare la torre sommitale di Celano.

L’assedio alle fortificazioni di Celano

Saputo dell’assedio alle fortificazioni della Serra di Celano e Ovindoli, il conte Tommaso per vie impervie raggiunse la Marsica e riuscì ad attaccare all’alba gli assedianti mettendoli in fuga. Celano venne ulteriormente potenziato e furono puniti i centri filosvevi come Paterno, che venne bruciata, e Marruvium (S. Benedetto dei Marsi) saccheggiata. Nel frattempo il conte di Acerra era riuscito ad avere la resa della contessa Giuditta con la consegna di Roccamandolfi. L’abilità militare di Tommaso indusse l’imperatore svevo a condurre personalmente le operazioni militari con un tentativo di far desistere la resistenza del conte di Celano attraverso il colloquio con la moglie e il figlio appositamente portati a Celano da Roccamandolfi nel Molise.L’incontro non ebbe successo costringendo Federico II ad allontanarsi da Celano dopo aver dato in custodia la contessa Giuditta e il figlio di Tommaso al Maestro Giustiziere Enrico di Morra ed aver ordinato di fortificare il vicino colle San Flaviano al fine di evitare sortite del conte ribelle. (Grossi 2000)

La resa del conte Tommaso

La situazione di stallo e il potenziamento del Regno svevo indusse Tommaso   a chiedere la resa tramite la mediazione di Onorio III, dopo circa un mese di assedio. L’accordo di resa del 15 aprile1223 prevedeva:

  • la consegna da parte di Tommaso della torre di Celano, delle fortificazioni della Serra, del castello di Ovindoli e San Potito;
  • l’assicurazione di Federico II a Tommaso di poter uscire da Celano e di recarsi in esilio a Roma con armi, bagagli e con tutte le genti che avessero voluto seguirlo;
  • alla contessa Giuditta veniva assicurato il possesso della sola contea del Molise. (Clementi 1982)
Foto croce Turris Celano quota 1161 m.

Distruzione del castello-recinto

I Celanesi superstiti vennero racchiusi in un campo di concentramento ed Enrico di Morra distrusse il castello-recinto demolendo le mura e le torri ed incendiando le case e le chiese ad esclusione della chiesa di San Giovanni Capodacqua, oggi Santa Maria delle Grazie, che era posta fuori le mura. Sopra il vecchio castello-recinto vennero create le nuove fortificazioni della sommità della Serra, poste a controllo del Monte Tino e del sottostante campo di concentramento celanese situato nelle vicinanze di San Giovanni Capodacqua.

Chiesa di San Giovanni Capodacqua (oggi Santa Maria delle Grazie)

La deportazione dei celanesi in Sicilia e Malta

Nello stesso anno Federico II ordinò ad Enrico di Morra di deportare i Celanesi in Sicilia e successivamente a Malta. Celano cambiò anche il nome, chiamandosi da allora in poi Cesarea, per essere stati “rei” verso “Cesare”. Solo nel 1227, per intercessione di Onorio III, ai celanesi fu concesso di ritornare in patria. Al loro arrivo si stabilirono intorno alla nuova chiesa di San Giovanni Battista edificata sul colle San Flaviano.    

Foto Chiesa San Giovanni Battista

Nel 1247 il pontefice Innocenzo IV restituì al conte di Celano e Molise i beni usurpati dall’imperatore svevo e consentì la rinascita del nuovo abitato col nome vecchio: finisce Cesarea e ritorna Celano. Solo dopo la morte di Federico II (1250) il conte Ruggero, figlio di Tommaso e Giuditta, torna a Celano e nel 1256 fonda la chiesa di San Francesco.

 Papa Innocenzo IV – Chiesa di San Francesco

Cammino lungo il Sentiero Storico

Dopo aver osservato le testimonianze storiche dell’età medioevale, superate le balze rocciose a quota 1161, ora segnata dalla grande croce di ferro eretta nel 1934 dai giovani celanesi, visitata la grotta di San Michele Arcangelo, gli escursionisti hanno raggiunto il fontanile sopra il margine sud del pianoro di San Vittorino.

Attraversato il centro del pianoro, dove si notano ancora resti di muri crollati e muri larghi di fondazione, probabilmente riferibili alla chiesa e monastero benedettino di Sancti Victorini in telle o in Celano, si è proseguito per il sentiero CAI 11B, detto di San Giorgio, da dove un gruppo dei soci partecipanti ha percorso il ripido sentiero che porta all’affresco rupestre di San Giorgio e il Drago recentemente restaurato,

per poi raggiungere la chiesetta degli alpini (o di San Leonardo) sopra Colle Felicetta a circa 1000 m di quota.

L’escursione si è conclusa con l’intento e l’auspicio di promuoverne altre al fine di mantenere la memoria storica e la cultura del patrimonio dell’ambiente montano marsicano.

Affresco rupestre raffigurante San Giorgio nell’atto di infilzare il drago

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