Strutture fortificate ed incastellamento in area marsicana tra X e XII secolo”
La Marsica costituisce un’area privilegiata e per molti aspetti ancora del tutto sconosciuta per analizzare uno dei fenomeni più caratterizzanti dei secoli finali dell’altomedioevo, quello dell’incastellamento. Le caratteristiche morfologiche, le vicende storiche ed il consistente patrimonio di strutture fortificate conservate in elevato consentono un’indagine capillare su un contesto omogeneo e definito, posto in una zona cardine per i collegamenti dell’Italia centrale ed in corrispondenza della importante frontiera tra il ducato di Spoleto prima e il regno normanno dopo ed i territori papali e i principati longobardi dell’Italia meridionale. La ricerca ha avuto come limiti territoriali i confini della diocesi marsicana, cosi come sono delineati nelle bolle pontificie del XII secolo, la prima del 1114-1115 di Pasquale II (PL CLXIII, coll. 338340), la seconda del 1188 di Clemente III (DI PIETRO 1869, pp. 311-320); comprendendo pero anche la Valle Roveto che per ragioni non solo morfologiche, ma soprattutto storiche, va considerata parte integrante della regione (PICCIONI 1999, pp. 5-10).
Per quanto riguarda le fonti documentarie sono state utilizzate principalmente quelle anteriori al XII secolo, in quanto contemporanee all’inizio del processo di fortificazione del territorio, si tratta pertanto principalmente di documentazione di matrice monastica che rappresenta pero per la regione in esame l’unica fonte per quanto attiene i secoli finali dell’altomedioevo. Essa e costituita principalmente dai cartulari delle grandi abbazie dell’Italia centro-meridionale Farfa, Montecassino, Subiaco, S. Vincenzo al Volturno e S. Clemente a Casauria (RF, LL, ChF, ChCass, RS, ChS, ChV, ChCasaur). Lo studio condotto ha permesso di raggiungere alcuni significativi risultati per quanto attiene la genesi e lo sviluppo delle strutture fortificate medievali, le caratteristiche strutturali e costruttive degli impianti, il ruolo avuto dai castelli nelle trasformazioni dell’assetto territoriale della regione dall’antichita al medioevo. L’identita storica e territoriale della Marsica. legata alla popolazione italica dei Marsi, messa in ombra dal processo di romanizzazione che investe il suo territorio dal IV secolo a.C. e ne caratterizza l’assetto fino alla tardantichith, ha avuto uno dei suoi momenti di maggiore espressione ed affermazione a partire dal VI secolo, quando la Marsica diviene prima gastaldato longobardo nell’ambito del ducato di Spoleto, successivamente (X sec.) contea legata ad una famiglia comitale di origine transalpina, che una volta insediatasi nel territorio ne prese anche il nome, quella dei comites Marsorum (SENNIS 1994, pp. 13-22).
E’ proprio nell’ambito di questo quadro storico che maturano e si realizzano le premesse del processo di incastellamento, con l’inserimento dei castelli nel sistema insediativo preesistente ereditato dalla tardantichita. Per quanto riguarda i tempi e i modi di realizzazione degli impianti fortificati l’analisi delle fonti documentarie e dei dati archeologici disponibili permettono di far risalire le prime menzioni relative all’esistenza di strutture fortificate nella Marsica al X secolo. ma e solo dalla seconda meta dell’XI che le attestazioni divengono più numerose. Per più di un terzo di esse e possibile cogliere un legame con l’operato del potere laico rappresentato nella Marsica tra X ed XI secolo dai conti o da esponenti della famiglia comitale dei Marsi. Questo gruppo familiare di origine transalpina, probabilmente proveniente dal regno borgognone, giunse in Italia al seguito del re Ugo di Provenza nella prima meta del X secolo e si inserì nelle questioni politiche e patrimoniali del centro Italia, disponendo di ingenti beni terrieri in aree limitrofe a quella marsicana (SENNIS 1994, pp. 25-34). In quel momento la Marsica era controllata e dipendeva quasi interamente dai grandi monasteri dell’Italia centro-meridionale (Farfa, Montecassino, Subiaco, S. Vincenzo al Volturno, Casauria) (SALADINO in questi stessi atti).
I conti tesero allora ad inserirsi in questo sistema di potere, imponendo il loro controllo sul territorio per mezzo di tre operazioni: l’acquisizione di terre, mediante contratti a livello con i principali monasteri, la creazione di monasteri privati, a cui affidare la gestione dei beni fondiari, il controllo della sede episcopale (SENNIS, 1994, pp.39-40). A queste l’analisi dei documenti e la ricerca topografica ed archeologica permettono di affiancare, forse in un momento di poco successivo alla meta del X secolo, anche la creazione delle strutture fortificate o almeno di alcune di esse. Si e infatti constata una precisa relazione tra beni monastici concessi a livello ai conti e successiva realizzazione degli impianti fortificati nei siti oggetto di concessione. Esemplificativo a riguardo e il caso del monastero di S, Maria di Luco, fondato dalla contessa Doda, moglie di Berardo I, primo conte dei Marsi, donato a Montecassino e successivamente nella seconda meta del X secolo concesso a livello al conte Rainaldo II. Il documento che riferisce del contratto riporta i possedimenti del monastero cassinese in diciasette località, di queste undici risultano da documenti successivi fortificate.
Si sarebbe pertanto attuato tra la meta del X e l’XI secolo un processo di fortificazione del territorio, promosso essenzialmente dai conti e realizzato sulla base del sistema insediativo esistente, del quale si mantiene integralmente il tessuto. Le stesse fonti testimoniano, infatti, il perdurare di forme di insediamento diverse da quelle fortificate legate da un lato alla maglia insediativa ereditata dalla tardantichità, dall’altra alla capillare rete dei centri monastici. Lo sviluppo dei castelli sotto la spinta del potere laico dei conti ne determina il carattere essenzialmente politico e strategico-militare, volto al controllo del territorio e all’affermazione della presenza del potere laico su di esso. Questo carattere si rispecchia nella localizzazione di questi impianti che privilegia i luoghi strategicamente rilevanti, in prossimità degli assi viari e delle zone di confine, in particolare verso Roma e i principati longobardi dell’Italia meridionale, e le relazioni con i patrimoni fondiari dei conti.
Tali funzioni di controllo si coniugano in molti casi con funzioni residenziali assolte sia nei confronti di una popolazione civile stabile, sia degli stessi conti. Per quanto riguarda questi ultimi le fonti permettono di identificare alcuni castelli con funzione di residenza signorile (Trasacco, Carsoli, Auretino, Oricola, Civita/Carseoli, S.Donato, Balsorano). Le vicende interne alla famiglia comitale, che in particolare a partire dalla prima metà dell’XI secolo tendono a frammentare il controllo sul territorio attraverso la creazione di ambiti territoriali dipendenti dai vari rami della famiglia (Carseolano, Valle Roveto, settore nord-orientale e sudoccidentale del bacino fucense), determinarono con ogni probabilità la mancanza di un centro del potere unico e formalmente prioritario e la conseguente proliferazione dei castelli, legati alla residenza comitale e alla gestione del potere.
I siti noti dalle fonti come residenza comitale sono tutti menzionati dalle fonti come castra e si collocano in luoghi dalla evidente caratterizzazione strategica, oppure in zone in cui e massiccia la presenza di beni immobili legati alla famiglia comitale, in modo tale da costituire delle centralita geografiche nell’ambito della aree in cui sono inseriti . A partire dal X e fino alla fine dell’XI secolo, attraverso le fonti si coglie la progressiva espansione delle strutture fortificate a partire dal bacino fucense, per il quale si hanno le attestazioni più antiche (Civitas Marsicana, attuale S. Bendetto dei Marsi, Trasacco), verso il resto della regione con una significativa concentrazione lungo i principali assi viari . La distribuzione dei centri fortificati non sembra essere, almeno inizialmente, finalizzata ad un controllo sistematico del territorio, bensì la documentazione restituisce una situazione a ”macchia di leopardo” che solo per piccole aree e a partire non prima della meta dell’XI secolo si organizza in sistema, probabilmente in relazione con la formazione delle aree di pertinenza dei singoli conti.
Tale processo trova un chiaro riscontro nella rete dei traguardi ottici fra i castelli, grazie ai quali la funzione difensiva e di controllo dei singoli impianti si estende. correlandosi a quella degli altri siti, ad un territorio più vasto. Un tale sistema di avvistamento e controllo del territorio si può riscontrare con particolare evidenza nella seconda meta dell’XI secolo nella Valle Roveto e nella piana di Carsoli, due aree che significativamente sono attraversate dalle principali vie di accesso alla regione, la prima dalla strada che collegava Alba Fucens con Sora, la seconda dalla via Tiburtina Valeria. L’inserimento dei castelli nell’assetto territoriale esistente avviene essenzialmente tenendo conto soprattutto della rete viaria. La stretta relazione che emerge tra fortificazioni e viabilità permette in primo luogo di verificare ancora nel X e nell’XI secolo la piena efficienza della rete stradale romana (QUILICI, 1983, p. 410). Ad essa si affianca una capillare rete di collegamenti a carattere locale, ma anche sovraregionale gia attiva in epoca romana, ma molto probabilmente erede della fitta maglia insediativa protostorica.
In pieno accordo con la morfologia del territorio i castelli si collocano in prevalenza sui versanti montani dei quali privilegiano gli speroni aggettanti o i piccoli rilievi che si staccano dai versanti principali come nei casi di Marano, Civita d’Antino, Balsorano, Tremonti, Venere. Questa posizione consentiva un buon controllo delle valli e delle pianure senza ricorrere ad altitudini troppo elevate ed un facile collegamento con le zone coltivate e con la rete stradale poste alle quote inferiori. Quasi altrettanto numerose sono le fortificazioni collocate lungo le dorsali montane principali o secondarie che attraversano da nord-ovest a sud-est la regione. Di questi sistemi montani sfruttano i picchi isolati o i crinali da cui si può avere una visone globale del territorio circostante ed il controllo di due versanti montani (Castello della Ceria, Girifalco, S. Donato, Luppa, Carce, Camerata). Questa condizione si associa in alcuni casi con la funzione di controllo su valichi attraversati da strade (Pietracquaria, Girifalco, Castello della Ceria).
Un gruppo non numeroso di fortificazione si pone invece su alture isolate o ai margini di pianure o alla confluenza di valli con evidenti caratteristiche strategiche, Albe, Castelvecchio di Sante Marie, Oricola. Poche strutture si collocano infine in aree pianeggianti, si tratta di impianti legati ad insediamenti preesistenti di epoca romana, Civita (romana Carseoli), S. Benedetto dei Marsi, Trasacco, o con particolari funzioni difensive di sbarramento (Le Starze, presso Balsorano). Per quanto riguarda i rapporti tra queste nuove forme di occupazione del territorio e la maglia insediativa preesistente, i dati che sono emersi sono fortemente condizionati dallo stato attuale delle conoscenze sull’assetto territoriale della regione per le epoche precedenti il medioevo, pertanto l’incidenza dei fenomeni di sovrapposizione, rioccupazione e continuità insediativa che si sono rilevati hanno carattere indicativo.
Si sono riscontrati diversi casi di rioccupazione di fortificazioni preromane in cui si ha a volte una puntuale riutilizzazione del circuito murario preromano con integrazioni e sopraelevazioni (Carce, Rovine di Lecce), a volte sono il solo toponimo o la forma dell’impianto medievale a far ipotizzare una rioccupazione degli antichi siti come ad Oricola e a Morrea. Per tutti i municipia romani e attestata o sulla base delle ’ fonti, o delle testimonianze archeologiche, una fase fortificata nel X-XI secolo, ma i pochi elementi topografici noti per questi centri non permettono di capire se la fortificazione dell’insediamento abbia in questi casi comportato ed, eventualmente, in che misura ’ la trasformazione o la sostituzione degli apprestamenti difensivi di età romana. Sei strutture fortificate invece si collocano in prossimità di vici romani (Balsorano?, Bisegna?, Gioia vecchia?, Morrea, Venere), mentre due sono in vicinanza di ville di età imperiale (S. Potito, Bisegna). Rispetto a questi insediamenti le fortificazioni si collocano a quota più elevata ed in posizione dominante, ma in questi casi non e sempre accertata una continuità insediativa dall’epoca romana al medioevo. Per quanto riguarda le caratteristiche costruttive le fonti nel definire le strutture fortificate usano una terminologia piuttosto ripetitiva e standardizzata, dettata dagli usi notarili, imperniata essenzialmente sull’uso dei termini castrum e castellum, a cui si affiancano alcuni rari riferimenti ad elementi della fortificazione, quali porte e torri, non attestati pero prima della seconda metà dell’XI secolo (Tabella 2). Alle testimonianze delle fonti si affianca un patrimonio monumentale molto ricco e in numerosi casi inalterato da interventi recenti.
Dei trenta castelli noti dalle fonti entro l’XI secolo e stato possibile ubicarne con precisione ventisette, di essi ventitre conservano ancora oggi strutture in, elevato. Ad essi le ricognizioni sistematiche hanno: permesso di affiancare altri quattordici siti, che presentano delle strutture fortificate, non riscontrate nelle fonti prima del XII secolo, ma che l’analisi stratigrafica degli elevati, ha permesso, almeno in via di ipotesi, di attribuire ad una fase compresa tra X ed XI secolo. Dallo studio delle strutture si e potuto verificare in primo luogo la varieta tipologica di questi impianti risultato sia di continue trasformazioni, sia di ricostruzioni a fundamentis, successive al momento della realizzazione. In base allo stato attuale delle strutture conservate in elevato si sono enucleate quattro tipologie principali:
1 – Cinte urbane;
2 Impianti fortificati medio-piccoli, comprendenti le torri isolate e la torre con recinto;
3 – Impianti fortificati di grande estensione, distinti in recinti comprendenti al loro interno una fortificazione ed altri edifici non con funzioni difensive e recinti con all’interno un’altra fortificazione con caratteri di residenza signorile;
4 – Castelli-residenza . Dall’analisi tipologica emerge da un lato la difficoltà oggettiva di risalire, partendo dagli elementi che si conservano ancora in elevato, alla forma dell’impianto originario, confermando la scarsa conservazione di strutture attribuibili alle fasi iniziali dell’incastellamento, dall’altra che la torre risulta essere l’elemento cardine della gamma tipologica. Essa compare, prevalentemente in forma quadrangolare, sia come struttura isolata, sia all’interno di impianti più complessi, ma sempre come elemento originario o come rinforzo e ristrutturazione di strutture già esistenti. Anche in alcuni castelliresidenza, che non hanno subito radicali trasformazioni nel basso medioevo, la struttura turrita sembra emergere come nucleo originario attorno al quale si e organizzato il complesso (Pereto, Celle/Carsoli, Marano).
La ricognizione e lo studio stratigrafico delle strutture murarie conservate in elevato ha permesso di ampliare in modo consistente la conoscenza delle tecniche costruttive e dei cantieri che hanno realizzato questi impianti. Tutte le strutture sono realizzate con la tecnica a doppia cortina, con nucleo in conglomerato, costituito da pezzame di calcare, a volte frammenti fittili, e malta. Esulano da questo sistema solo alcune cinte murarie che sono realizzate con pezzame di calcare costipato senza uso di malta, per tutto lo spessore del muro (Civita d’Antino, Carce). In questi casi si tratta di strutture che si collocano in siti gia occupati da cinte fortificate preromane delle quali e stato evidentemente riutilizzato il materiale ed imitata la tecnica costruttiva.
La natura geologica della regione marsicana, caratterizzata in prevalenza da calcari, ha determinato fin da epoca preromana un uso ininterrotto del calcare come materiale da costruzione, sia perché facilmente reperibile, sia perché di facile lavorazione, soprattutto se semplicemente spaccato o sbozzato. Le strutture fortificate sono tutte realizzate con questo materiale, che nella maggior parte dei casi doveva essere reperito sul luogo stesso della costruzione, come attestano ancora alcune cave abbandonate nei pressi dei siti fortificati (S.Donato, Girifalco), e che, a secondo della lavorazione e della grandezza dei blocchi, ha dato luogo a paramenti più o meno regolari. Nella maggior parte dei casi l’apparecchiatura dei paramenti e molto disorganica e la malta sopperisce alla disomogeneità del materiale In alcuni casi nel paramento sono inseriti rari frammenti fittili usati come ”inzeppature” tra il pezzame litico.
Questi frammenti si sono rilevati un buon indicatore delle differenze fra le varie apparecchiature murarie. Posa in opera, omogeneità della grandezza del pezzame, tipo di malta e modalità di realizzazione di alcune parti costruttive, come gli angolari, sono stati gli altri parametri con cui sono state analizzate le murature. Si sono cosi delineati quattro grandi gruppi tipologici, al cui interno successivamente si potranno delineare ulteriori suddivisioni, ma che possono proporsi come punto di partenza per tracciare uno sviluppo diacronico di queste struttura.
L’aggancio cronologico per stabilire una successione diacronica dei tipi e stata fornita dal tipo più tardo individuato, che per le caratteristiche tecniche, per la stratigrafia e per la presenza di elementi costruttivi datanti, quali la scarpatura, deve essere stata realizzata a partire dal XIII secolo. Questo paramento si distingue per un’apparecchiatura a filari composta da pezzame di calcare di misure omogenee senza inserzione di frammenti fittili. Tenuto conto di tali caratteristiche che nel ventaglio delle attestazioni costituivano il punto di arrivo di quello che sembra essere un lungo processo di regolarizzazione della posa in opera e delle dimensioni del materiale costruttivo, si e proceduto alla definizione degli altri tipi secondo quest’ordine e seguendo delle coordinate cronologiche che tenessero conto della stratigrafia degli elevati e dei dati delle fonti scritte. Si sono cosi definiti i seguenti tipi murari:
1) Paramento caratterizzato da apparecchiatura disorganica realizzata con materiale molto disomogeneo nelle dimensioni con presenza in alcuni casi di frammenti fittili usati come ”inzeppatura”, databile tra la fine X e l’XI secolo;
2) paramento con filari di orizzontamento, composto da pezzame litico molto disomogeneo e presenza in molti casi di frammenti fittili, databili nell’XI secolo con prolungamenti anche nel XII;
3) paramento a filari irregolari realizzati da materiale litico poco disomogeneo nelle dimensioni e con uso sporadico di frammenti fittili, databile al XII secolo, ma con esempi noti anche nel secolo precedente. Questa proposta di sviluppo cronologico dei paramenti murari delle strutture fortificate marsicane se da un lato permette di anticipare la costruzione di alcuni impianti, o parti di essi al X-XI secolo (Tremonti, Luppa, Carce), o a datarne altri per cui non si dispone di fonti storiche (Castello della Ceria), dall’altro mette in evidenza ancora una volta l’esiguo numero delle strutture conservate per i secoli anteriori al XII, dimostrando il ruolo fondamentale dello scavo per lo studio delle testimonianze monumentali delle prime fasi dell’incastellamento.
Dal confronto fra le modalità di realizzazione delle strutture fortificate e quelle note per i pochissimi insediamenti monastici della regione attribuibili all’IXX secolo non si evidenziano differenze sostanziali, identico e il materiale utilizzato ed i modi costruttivi. D’altra parte l’impiego sistematico del calcare reperito sul posto sia nei paramenti, che nel legante rende assai probabile l’esistenza di maestranze locali, che conoscevano a fondo le risorse del luogo e che prestavano la loro opera a committenze diverse. Infine per quanto attiene le trasformazioni dell’assetto del territorio, la creazione dei castelli non ha determinato, almeno fino all’ XII secolo, l’abbandono o la crisi delle forme d’insediamento precedenti. Le fonti stesse continuano ad attestare, contemporaneamente alla presenza dei castelli, l’insediamento sparso, le curtes, i casali, le strutture monastiche. Certamente una parte della popolazione ando a risiedere nei castelli, ma a quanto sembra solo in piccola parte. Il trasferimento sembra interessare principalmente due categorie sociali i servi e i contadini di alcuni monasteri più importanti (S.Maria di Luco, S.Maria in Cellis), ed i ricchi proprie tari laici, che in alcuni casi possiedono anche parte dei castelli.
E’ evidente, invece, che i nuovi siti fortificati divengono i nuovi centri del potere, sostituendosi in parte agli antichi municipi romani sebbene anch’essi abbiano conservato una loro centralità politica ed economica, anche se non un assetto urbano paragonabile a quello di età classica, fino al medioevo. Solo la Civita Marsicana, erede di Marruvium, sembra non partecipare di queste trasformazioni: pur rimanendo un centro difeso da mura, il suo peso a livello territoriale in questa fase sembra essere legato solo alla presenza vescovile, per altro assai poco incisiva in questo periodo. Anche gli edifici di culto non subiscono fenomeni di attrazione da parte delle strutture fortificate. Questi in alcuni casi si pongono a loro difesa, come per i monasteri di Celle, Rosciolo e Luco.
Solo per Morrea le fonti testimoniano quello che sembra essere il primo ed unico esempio di chiesa castrense attestata prima del XII secolo in area marsicana, definita nel 1089 ecclesia S. Mariae, quae de rebus ejusdem S. Restitutae in eodem castro Morrei noviter est constructa (GATTOLA, Hist. I, p. 248). La sua costruzione non comporta pero l’abbandono della sottostante chiesa di S. Restituta che preesiste alla creazione del castrum. Ugualmente diverse chiese rurali attestate dalle Rationes decimarum nelle campagne in molti casi sopravvivono senza fenomeni di trasferimento od attrazione da parte dei castelli limitrofi fino ad età moderna (RatDec, pp. 2154). La realizzazione delle strutture fortificate ha comportato, in più della meta dei siti indagati, la formazione di un borgo attorno al nucleo fortificato, che a sua volta e stato dotato di apprestamenti difensivi.
Sia le fonti, che i caratteri costruttivi di questi abitati permettono pero di attribuire questi fenomeni poleogenetici al basso medioevo (XIV-XV secolo). E’ pertanto ipotizzabile che se un processo di concentrazione e nuclearizzazione del tessuto insediativo vi e stato, come d’altra parte e attestato in ampie aree della Marsica fino ai primi del XX secolo, questo si sia realizzato non contemporaneamente alla nascita dei primi castelli, ma lungo un ampio arco cronologico che ha avuto certamente un momento di sostanziale accelerazione in epoca normanna, quando il quadro insediativo medievale risulta sostanzialmente compiuto ed i nuclei demici sembrano essersi ormai per la maggior parte aggregati attorno ai castra attestati nel Catalogus Baronum (CatBar, pp. 214-225).
I Normanni al momento della conquista, nella prima metà del XII secolo, trovano pertanto un territorio con una rete di fortificazioni già esistenti di cui si servono per trasformare quello che era un insieme di castelli costruiti a difesa delle vie di accesso alla regione e delle sue principali risorse economiche, in un sistema di centri fortificati espressione politica e militare della presenza dello stato su un territorio ormai trasformato in frontiera settentrionale del regno normanno, ruolo che la Marsica manterrà fino all’Unità d’Italia.