Avezzano – Domenica, è un giorno come un altro, al centro vaccinale della Vivenza ad Avezzano. Alle 9.00 il personale è già sul pezzo e le operazioni si susseguono senza soluzione di continuità. Il primo gruppo di utenti è in fila nei pressi del gazebo per la verifica delle generalità. Tutti pronti a entrare nella palestra adibita a hub.
La campagna vaccinale sta entrando nel vivo e lo si percepisce dalla fluidità con cui le procedure vengono espletate. Una macchina ormai oleata, che funziona come un orologio svizzero. Dopo appena 40 minuti dall’inizio dell’attività mattutina, il display del contatore elettronico segna già 50 pratiche processate per altrettante persone che stanno ricevendo il vaccino nei box adibiti alle somministrazioni.
La fila scorre, molte persone sono accompagnate da un parente. L’addetta della protezione civile invita a mantenere le distanze, il personale medico e paramedico gestisce con grande coordinazione il tutto. Si scambiano due chiacchiere col vicino di fila, in fondo questa condizione straordinaria ci avvicina un po’ tutti. Qualcuno spera gli prescrivano Pfizer, nell’immaginario collettivo è il vaccino più rassicurante.
Altri sono più fatalisti, pensano che in fondo, tutti i vaccini sono uguali. Ognuno ha le sue controindicazioni e alla fine, vada come deve andare. Chiedo al medico che fa l’anamnesi, se il fatto che AstraZeneca venga prescritto dai 60 anni in su, sia una disposizione ferrea. Lui mi risponde che in effetti è raccomandato per quelle fasce, però si può somministrare tranquillamente anche su fasce d’età più basse.
Arriva il mio turno, sono il numero 16, entro nel box, mi siedo vicino all’infermiere e porgo il braccio sinistro. Mentre mi dice che dovrò aspettare un quarto d’ora, prima di ritirare la scheda dell’avvenuta vaccinazione, mi inocula il vaccino. Lo ringrazio, lui mi augura una buona domenica. Mi vado a sistemare su un sedile della tribunetta della palestra e osservo l’andirivieni di persone in quel microcosmo di varia umanità desiderosa solo di tornare a una vita normale.
Non so se ne usciremo migliori, ho qualche dubbio, però saremo diversi, e di ciò, sono abbastanza certo. Una pandemia di queste dimensioni ridefinisce senz’altro le regole dello stare insieme, e offre anche qualche buon motivo per riflettere sul senso della comunità e del ruolo di ognuno di noi al suo interno.