Abruzzo – Una riflessione di Fernando Di Fabrizio, Direttore dell’Oasi WWF – Riserva regionale del Lago di Penne. Quando verso la fine degli anni settanta Franco Tassi, direttore del Parco Nazionale d’Abruzzo, mi chiese di rappresentare l’Ente Parco alla Consulta Regionale della Caccia non immaginavo minimamente gli effetti scellerati che una delibera, sostenuta a quei tempi dalla Regione Abruzzo, avrebbe provocato 50 anni dopo all’agricoltura di oggi, a causa dell’introduzione del cinghiale solo per scopi venatori.
Alla richiesta di acquisto degli ungulati dall’allora Jugoslavia, in tre votammo contro: oltre a me, ventenne, c’erano Dario Febbo e Giorgio Boscagli. Provammo a sostenere il pericolo per gli equilibri ecosistemici delle montagne con l’introduzione di una specie aliena, non autoctona; provammo a chiedere anche la sospensione della caccia ad una specie rara, la starna. A quei tempi nelle campagne c’erano ancora diversi piccoli nuclei di starne italiche, autoctone, oggi definitivamente scomparse in Abruzzo a causa di una caccia scellerata.
Fummo battuti su entrambi i punti e non di poco: se ricordo bene la votazione finale, che stanziava oltre un miliardo di vecchie lire di soldi pubblici, per acquistare gli animali all’estero da rilasciare in Abruzzo, senza alcun criterio scientifico, ma solo per far divertire i cacciatori, si concluse con 3 voti contrari e 19 favorevoli. Tra quelli che votarono per introdurre i cinghiali balcanici c’erano, oltre a tutti i rappresentanti delle associazioni venatorie, anche chi rappresentava le organizzazioni agricole come Coldiretti e CIA, questo perché solitamente venivano nominati nella Consulta agricoltori-cacciatori.
A quei tempi non c’erano in Abruzzo le riserve naturali e neppure i grandi parchi di oggi, ma solo l’allora Parco Nazionale d’Abruzzo, confinato a sud della regione. In mezzo secolo i cinghiali scampati alla caccia hanno colonizzato l’intera regione, spinti oggi dai cacciatori con battute continue all’interno delle 25 riserve regionali e perfino nelle aree urbane.
Ancora oggi la gestione del problema cinghiale non funziona perché, dal mio punto di vista, non può essere risolta da una struttura corporativa. Albert Einstein affermava che “Non possiamo risolvere i problemi con lo stesso tipo di pensiero che abbiamo usato quando li abbiamo creati”.
Purtroppo anche la caccia di selezione si sta dimostrando inefficace e non risolutiva. Basta prendere in esame i dati forniti dagli Ambiti Territoriali di Caccia: nonostante si abbattano migliaia di esemplari con incarichi ai cosiddetti “selettori”, perfino pericolosi per l’incolumità pubblica all’interno delle aree urbane, i cinghiali non diminuiscono, ma addirittura sembrano aumentare.
Questo perché secondo il Prof. Andrea Mazzatenda dell’Università di Teramo ad ogni battuta si destruttura il gruppo di ungulati, favorendone addirittura la riproduzione delle nuove femmine. Insomma la caccia di selezione non sta funzionando. Probabilmente bisognerebbe trovare e applicare nuove soluzioni e comunque in aree speciali dove la caccia è vietata dalla legge si possono avviare attività di riduzione e controllo della specie che non prevedono l’uso delle armi da sparo.
Anche perché il modello di sviluppo sostenibile avviato da decenni nelle aree protette non è affatto compatibile con la caccia. Abbiamo visto negli ultimi due anni, caratterizzati dal triste fenomeno del coronavirus, decine di migliaia di cittadini frequentare assiduamente le riserve naturali e i parchi naturali. Avevo segnalato e scritto, anche sulla stampa locale, il pericolo delle battute di caccia nelle vicinanze della Riserva Naturale Regionale Lago di Penne e puntualmente l’anno scorso abbiamo rischiato una tragedia quando, durante una battuta di selezione, un proiettile vagante ha colpito e fracassato la tibia di un signore che stava tranquillo a casa. A pochi metri una bambina giocava sull’altalena alla stessa altezza del proiettile maledetto. Spesso ciclisti, escursionisti, agricoltori ed anche gli stessi cacciatori vengono abbattuti e uccisi per “gli effetti collaterali” di una pratica violenta che la maggior parte della comunità non è più disposta a tollerare.
Da quando mi occupo di ambienti naturali e tutela delle risorse pubbliche il popolo dei cacciatori in Italia e in Abruzzo si è dimezzato, ed ogni anno qualcuno in più appende finalmente il fucile. Ma ci sono anche agguerriti sostenitori delle armi da caccia, purtroppo anche giovani, che spesso non rispettano le leggi e continuano a sparare non solo ai cinghiali, ma a numerose specie protette. Lo dimostrano i numerosi rapaci che ogni anno, puntualmente, alle prime giornate di apertura della caccia, vengono recuperati con le ali spezzate dal Centro Recupero dei Carabinieri dell’UTB di Pescara.
Lo dimostrano le immagini di agguerriti bracconieri che di notte entrano furtivi nella riserva di Penne. Lo dimostrano numerosi colpi di fucili esplosi abusivamente all’interno dell’area protetta vestina, ma anche in altre riserve e parchi nazionali.
La Riserva Naturale Regionale Lago di Penne dopo una prima efficace sperimentazione con l’autorizzazione dell’Ispra, ha catturato in una sola notte ben 32 cinghiali con un recinto di cattura efficace ed efficiente. Sono stato perfino denunciato per bracconaggio e maltrattamento animali come se le fucilate facessero il solletico agli animali che, invece, quando restano feriti dalle fucilate, possono diventare pericolosi per l’uomo.
Attualmente il Comune di Penne ha assegnato il recinto di cattura, sempre con l’autorizzazione da parte dell’Ispra, a due agricoltori che ne hanno fatto richiesta all’interno della Riserva. Dopo due bandi pubblici solo due agricoltori hanno ottenuto il permesso a catturare cinghiali che danneggiano i loro raccolti.
Eppure sappiamo con certezza che cacciatori-selettori lasciano entrare i loro cani abusivamente, all’interno della riserva, nella zona dove è stato allestito il recinto, per impedire la cattura dei cinghiali. Molti cacciatori considerano ancora Res nullius e non Res communitatis la fauna selvatica mentre dobbiamo tutti impegnarci per risolvere i problemi degli agricoltori, evitando pericolosi interventi che possono mettere a rischio la vita stessa dei cittadini.
Fonte: WWF Abruzzo