Sono trascorsi più di cento anni da quel 6 dicembre del 1907 quando alle ore 10,30 del mattino, nelle gallerie 6 e 8 della miniera di carbone di Monongah, cittadina della West Virginia che allora contava 3 mila abitanti, si verificò il più grave disastro minerario che la storia degli Stati Uniti d’America ricordi. L’incidente rappresenta ancora oggi la più grave sciagura mineraria italiana. L’esplosione fu tanto violenta da essere avvertita a diversi chilometri di distanza, come pure le vibrazioni del terreno. Frammenti del tetto del locale motori, pesanti più di 50 kg, furono scagliati a oltre 150 metri. Una dozzina di medici accorse all’entrata della miniera, ma – tranne poche eccezioni – il loro intervento sfortunatamente non fu necessario, data l’assenza di sopravvissuti. Le vittime – secondo il rapporto della Commissione d’inchiesta – furono “circa 350”. Ma nei giorni immediatamente successivi alcuni resoconti giornalistici parlarono però di 425 morti.
Al reverendo Everett Francis Briggs (Fitchburg 1908 – Monongah 2006) si deve la conservazione della memoria della sciagura e la definizione delle sue reali dimensioni, per lungo tempo assai sottostimate. A partire dal 1956 assistette i parenti delle vittime e creò una commissione per la costruzione di un monumento dedicato – per la prima volta nel Paese – alle vedove e agli orfani di tutti i minatori; la statua, “All’Eroina di Monongah”, in marmo di Carrara fu collocata presso il municipio della cittadina. Il prete si prodigò inoltre per dare un nome alle vittime, in gran parte italiane, molte delle quali restano tuttora ignote. Dopo anni e anni di ricerche arrivò alla determinazione che nella catastrofe di Monongah perirono oltre 956 minatori, la maggior parte dei quali italiani. Secondo gli storici, i morti furono così tanti perché i minatori venivano pagati sulla base del carbone estratto e molti di loro si portavano dietro giovani aiutanti, spesso bambini, che non venivano registrati.
Gli italiani ufficialmente identificati dal “Monongah Mines Relief Committee” (MMRC) furono 171 provenienti in grande maggioranza dalle regioni meridionali come il Molise (87), la Calabria (44), l’Abruzzo (14), la Campania (14). I paesi della Marsica che subirono le maggiori perdite furono Civitella Roveto (6), Civita D’Antino (2) e Canistro (1)
Come accennato alcuni di loro erano marsicani, provenivano dalla Valle Roveto e in questo 114° anniversario desidero ricordarli.
I CADUTI DI CIVITELLA ROVETO:
Conversi Antonio: aveva 19 anni. Al padre Antonio furono dati 200 dollari per la morte del figlio.
Dosa Bonaventura: nome americano (Dosa Vintura) aveva 21 anni. Si era sposato l’anno prima con Lucia Donofria con la quale ebbe un figlio mai conosciuto.
Lelli Luigi: (Louie Lele) aveva 40 anni. Al padre Giovanni furono risarciti 200 dollari.
Maselli Felice: (Felix Mysel) aveva 21 anni: era un geometra e nella miniera fu nominato capo squadra. Prima di partire aveva sposato Antonia Allegretti. Lasciò una vedova e due orfani.
Serafini Giuseppe: (Jose Serafini) aveva 24 anni. Era arrivato a Monongah il 19 gennaio del 1907.Non trascorse neanche un anno da minatore. Alla madre Annunziata risarcirono 200 dollari.
Fallucca Armando: (Louie Faluke) emigrò in America nel 1905 aveva appena 15 anni. Due anni dopo lasciò i lavori della campagna per trasferirsi in miniera dove si guadagnava di più.
I CADUTI DI CIVITA D’ANTINO:
Di Marco Umberto: (Albert Demark) aveva 22 anni si recava dal cugino Dosa Giuseppe
Di Marco Giuseppe: (Jose Demark) aveva 20 anni ed era il fratello di Umberto. Ad Antonio, il padre dei due ragazzi, furono indennizzati 400 dollari
I CADUTI DI CANISTRO: Marinetti Giuseppe: (Jose Marinette) aveva 19 anni quando s’imbarcò sul piroscafo GERMANIA il 6 marzo del 1907. Dopo nove mesi finì di vivere.