Il ricercatore Sociali ripercorre la transumanza insieme alla mandria “Un’esperienza unica, inimitabile”

Sono pronto. Finito di preparare la mia BMW F 800 GS si parte direzione Santa Croce di Magliano a confine fra Molise e Puglia.

Inizio stupendo, bellezze di altri tempi. Ripercorrere la transumanza insieme alla mandria è un’esperienza unica, inimitabile. La transumanza di oggi, anche se non è quella faticosa e disagevole dei nostri nonni, in alcuni momenti ti puo’ far rivivere chiaramente quello che poteva essere anni addietro, con gli stessi ritmi, gli stessi rituali, le stesse facce, oserei dire addirittura gli stessi animali. Chiaramente parliamo dei pastori conduttori di pecore e mucche, che spesso non erano mai proprietari di capi di bestiame, lo erano solo i nobili ed il clero. Solo dopo l’inizio del secolo scorso cominceremo a vedere le prime attività imprenditoriali formate da persone con pochi capi di bestiame. Piccole realtà che si univano fra loro per creare una “vera” mandria o gregge da portare nei pascoli della Puglia o in terra natia nei pascoli d’altura.

Ecco pensavo spesso a questo, e cercavo di immaginare i miei avi in situazioni veramente difficili, alla mercè delle intemperie, senza mezzi tecnici di abbigliamento, in ricoveri precari costruiti nell’immediato. Proprio pensando a questo, nel pomeriggio di Venerdì una palude mi blocca la moto e rimango nel territorio di Campolieto. Cerco di farmi aiutare da due ragazzi a cavallo, ma i ragazzi si sa, a volte vivono in un’altra realtà fatta solo di favole e cose belle. Realtà che li ha portati a pensare che lasciare una persona sola in un terreno impervio, bloccato senza alcuna possibilità di riprendere il  cammino, non fosse nulla.

Bastava una spinta, avevo preparato  già la corda, ero quasi riuscito ad uscire dal pantano, ma a nulla sono valse le mie richieste di aiuto, se ne sono andati. Tutto il pomeriggio da “solo” a cercare di liberare la mia moto, e non ci sono riuscito. Taglia la legna e ficcala sotto la ruota ma nulla. Scava le pietre e mettile sotto la ruota, riprova ma niente. Scava il terreno intorno per cercare di farle più spazio, riprova ma nulla. Ormai allo sfinimento fisico totale con l’acqua che mi era finita per cui avevo anche un principio di disidratazione, non sapevo più che fare.

Sopra di me in lontananza sento lo scorrere di auto, si era la nazionale Sannitica. Raccolte le ultime forze, prendendo l’indispensabile ( il borsello della moto con i documenti, macchina fotografica ed altre minuterie), il sacco a pelo (prima o poi avrei dovuto anche dormire o almeno provarci), il casco, salgo il pendio. Mi trovo sopra ad una ferrovia (dopo capisco che era in disuso), a monte di essa un muro di pietra invalicabile. Provo a camminare da una parte e dall’altra, ma mi sembrava non vi fossero varchi per superarlo. Il cuore a mille, mi si risolleva quando avvisto una parte più bassa, nel frattempo viene giù il “diluvio universale”. Il muro non è altissimo, ma subito realizzo che le poche forze rimastemi non mi faranno raggiungere l’obiettivo di superarlo. Mi concentro, il cuore è sempre a mille e cerco di rallentarlo con la respirazione. Butto su il bagaglio, il casco e mi appronto a superare la prova.

Mi arrampico con tutte le mie forze, riesco a fare forza anche con le gambe, i piedi trovano degli appigli, le braccia sembrano non farcela, e quando sembravo prossimo alla resa, l’ultimo scatto di nervi mi porta finalmente sopra il muro di pietre. Mi stendo a pancia all’aria, respiro, le tempie mi scoppiano ed il  cuore batte velocemente. Il diluvio mi dà sollievo, bevo l’acqua piovana come se fosse, e lo è, la più buona delle bevande. L’acqua battente mi lava la faccia, mi rinfresca, mi ricarica. Mi alzo, raccolgo le mie cose e raggiungo la strada asfaltata. Nel frattempo, qualcuno dell’organizzazione mi chiama e cerca di capire dove mi trovavo. Con il telefonino ed il mio gps, avevo già individuato la mia posizione, gliela comunico e rimango in attesa di un passaggio all’ultimo momento.

Arriva finalmente l’auto, un Pik up pieno nell’abitacolo ma libero nel cassone. Salgo sul cassone, la pioggia battente mi obbliga ad indossare il casco per ripararmi ed iniziamo il  viaggio per raggiungere l’accampamento dei transumanti. Dopo una ventina di minuti interminabili, raggiungiamo il campo, mi  rendo subito conto che senza tenda e senza ricambi asciutti non potevo passare la notte. Chiedo, cerco di capire se nelle vicinanze ci potesse essere qualche paese, insomma un qualcosa per acquistare indumenti e cose che mi potessero servire. Una brava signora, mi dà un passaggio fino a Campobasso e ad un negozio compro una tuta, scarpette ed intimo, sotto lo sguardo attonite delle commesse che sembrava avessero visto il diavolo, tanto ero combinato male e con gli occhi allucinati.

Giunto nel B&B vicino l’accampamento, ormai “pieno”, trovo la gentilezza del gestore e di alcuni clienti che mi cedono una stanza con relativa doccia. Mi rinfrango, con la doccia mi scaldo dal freddo del bagnato, che ormai aveva consumato tutto il calore del sudore e cerco di rilassarmi e di raccogliere le forze. A stento dormo qualche ora, la notte piena di pensieri, la stanchezza che non mi lascia riposare, qualsiasi posizione non è quella giusta, il silenzio diventa assordante, mi dà fastidio, per quanto non sono padrone del mio corpo che si comporta in modo anomalo. So che è solo stanchezza, disidratazione e reazione alle scariche di adrenalina avute per superare tutte le situazioni del pomeriggio, ma non riesco ugualmente a dormire. La mattina ai movimenti dei mandriani che si svegliano, io già lo ero ed alle ore 4, la transumanza riparte. Io non posso seguirla, debbo cercare di recuperare la moto. Il gestore del B&B mi avrebbe accompagnato verso le nove nel luogo più vicino alla moto, ma non ce la faccio ad aspettare le nove ed alle sette chiamo un taxi da Campobasso. Il Taxi mi accompagna a Campolieto, un paese vicino al luogo fatidico. Avevo trovato dei contatti la sera prima con persone della transumanza, e mi avevano dato dei nominativi di persone che abitavano nei dintorni del luogo dove si trovava la moto.

Entro in contatto con un “degna” persona , Enzo di Campolieto.  Enzo va a prender il suo trattore e raggiunta la moto la agganciamo con una corda e riusciamo dopo alcune peripezie, a tirarla fuori. Grazie Enzo, non finirò mai di dirtelo. Riparto e raggiungo la strada asfaltata, ci salutiamo con Enzo e parto direzione Campobasso. Nel frattempo la transumanza era passata per i paesi Santo Stefano, Castropignano, Torella del Sannio per raggiugere Frosolone luogo di arrivo.

I paesi che sono stati attraversati dalla mandria dei Colantuono, (che fra l’altro incentiva la candidatura dei Tratturi a diventare patrimonio culturale immateriale dell’umanità Unesco), hanno preparato dei ristori lungo i tratturi con prelibatezze locali rurali. Fra le tante pietanze c’erano anche i piatti più poveri della tradizione pastorale. Piatti come: il “PAN COTTO” (ricetta tipica della cucina centro meridionale, un piatto tra i più poveri in assoluto, che generalmente costituiva anche piatto unico. Come molti piatti poveri, anche il pane cotto prevede diverse varianti, per esempio l’aggiunta di legumi, oppure uova, rape, porri, peperoni, patate, pancetta, aglio e cipolle);

lo “SCATTONE” (Piatto povero della cucina molisana, lo scattone più che una ricetta è un’usanza di antica tradizione popolare. Dopo faticose giornate di lavoro nei campi, nell’attesa che la cene venisse servita, durante la cottura della pasta, generalmente sagnette o crioli, si usava versare in una tazza dell’acqua di cottura della pasta, con un piccolo assaggio di pasta, nel quale si aggiungeva qualche goccia di vino rosso e a piacere zucchero, pepe, peperoncino sbriciolato oppure olio piccante. Chiamato anche antipasto, aperitivo o scalda stomaco, lo scattone è una minestra ricorrente nella gastronomia molisana ancora oggi, tanto che ogni anno, nel mese di agosto, si celebra a Torella del Sannio in provincia di Campobasso una sagra dove si lo si può degustare in tutte le sue varianti unitamente ad altre specialità e prodotti tipici molisani);

la ZUPPA DI VINO (Pane raffermo, vino rosso, zucchero (originale mostocotto), aglio , ed acqua).

Questi piatti tipici,  hanno riportato tutti indietro negli anni con l’immaginazione, anni nei quali questi pasti costituivano l’unico alimento da poter consumare. Tutto bello e caratteristico, ma i segni dello sforzo e dell’adrenalina del giorno prima non mi fanno gustare a pieno tutte le meraviglie e decido di tornare a casa. Durante il ritorno non posso però non passare in alcuni luoghi a me cari, luoghi che più di altri mi danno il vero senso di quello che poteva essere la pratica della transumanza. Pratica spesso dimenticata, ma per molti paesi UNICA forma di sopravvivenza.

A mente riposata, in relazione ai ragazzi che non mi hanno dato una mano, mi torna in mente un episodio della mattinata ad un campo ristoro. Ebbene in questo “ristoro”, un altro ragazzo, chiaramente diverso dai due di prima che non mi hanno aiutato, trova un cane abbandonato e si prodiga per portarlo in un luogo dove lo salvino dal suo deperimento. Arriva a dare “fastidio” a tutti: ASL, Carabinieri, Forestale; insomma riesce a salvare il cane affidandolo ad un canile di Campobasso. Ebbene tutto questo per dire che alcune volte è meglio essere un cane che almeno se hai fortuna qualcuno che ti salva lo trovi, ma se sei un uomo, rischi seriamente…

INFO: www.giancarlosociali.it

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