Fra gli ordini religiosi cavallereschi del medioevo, uno dei primi e più noti al mondo fu quello dei Templari. Il nome originario era “Poveri compagni d’armi di Cristo e del tempio di Salomone” (dal latino “Pauperes Commilitones Christi Templique Salomonis” ).
Nodo di Salomone nel portale della Chiesa di San Giovanni BAttista ed Evangelista
La nascita dell’ordine avviene in terra santa durante le guerre tra forze cristiane e islamiche esplose a partire dalla prima crociata del 1096. Nei due decenni successivi alcuni cavalieri crociati francesi ed inglesi, in servizio tra la Terra Santa e l’Europa, decisero di seguire l’esempio di altri gruppi di militari crociati: prestare servizio per la difesa dei luoghi e dei pellegrini della terra santa organizzati attraverso la fondazione di un ordine riconosciuto dalla Chiesa, essendo questa la prima promotrice delle crociate. La Chiesa favorì questi ordini, perché con un ruolo di “istituzione patrocinante” poteva mantenere saldi i suoi diritti sulle conquiste delle guerre crociate. Data questa situazione favorevole e data la nobiltà dei cavalieri fondatori e i loro contatti con le corti e il clero, l’ordine riuscì ad ottenere donazioni e ad accrescersi con nuovi adepti già prima del riconoscimento ufficiale, nel Concilio di Troyes del 1129. Questo riconoscimento ecclesiastico non poteva non prevedere una regola monastica, con la quale imporre al guerriero cavaliere la rigida obbedienza del monaco. Un monaco con licenza di uccidere in nome del “malicidio”, un omicidio legittimato dal bene maggiore dell’estirpazione del male. Grazie a questo riconoscimento ecclesiastico arrivarono ancora donazioni alle quali si aggiunsero privilegi ed esenzioni da parte della Chiesa e dei reali del mondo cristiano. Prima della fine del ‘200 i Templari erano già un’istituzione potente e affermata, non solo e non tanto come corpo combattente, ruolo nel quale contarono più sconfitte che vittorie, ma piuttosto come élite armata della Chiesa. Infatti, come ben sappiamo le crociate furono guerre come tutte le altre: si fecero anche con obbiettivi di conquista e imperialismo: i templari si svilupparono come abili banchieri, esperti marinai, sottili diplomatici e, non ultimo, ottimi amministratori di numerose e fiorenti proprietà, di cui molte in Italia. Queste proprietà non erano solo basi strategiche, ma veri e propri investimenti. Così, da “Poveri compagni d’armi di Cristo”, i templari furono nelle condizioni di sviluppare e ramificare questo potere per la Chiesa in maniera esponenziale e divennero uno dei suoi bracci armati più potenti, protagonisti di svariati scenari, non più soltanto nelle battaglie delle crociate ma anche tra i poteri forti in Europa.
La loro organizzazione, ad iniziale vocazione militare e monastica, divenne “lobby” finanziaria e civile stanziata ovunque in Europa e terra santa. Ma fu con il tramontare dei loro obbiettivi originari che iniziò la loro fine. Sul finire del ‘200 le crociate non suscitavano più l’interesse dei potenti e così, dopo circa due secoli, tramontava definitivamente la prerogativa originaria dei Templari come “truppe estere” in terra santa. I templari erano “solo” una potente istituzione militare e civile in Europa. Una tale potenza “transnazionale”, tra l’altro al servizio della Chiesa, naturalmente impauriva le altre potenze del tempo. Il nemico fatale fu il re di Francia Filippo il bello. Egli aveva già ridotto il potere della Chiesa, ottenendo l’elezione di un papa complice, il francese Clemente V, nel 1305, talmente fedele che trasferì la sede papale in Francia. Filippo il bello, indebitato per ingenti somme (anche coi templari), già nel 1306 espropriò tutti i beni degli ebrei francesi e li cacciò. Era venuto quindi il turno dei templari. Nel 1307, con la connivenza della Chiesa asservita, l’unica che poteva sciogliere l’ordine, Filippo avviò una serie di processi sommari contro i templari, con accuse scarsamente fondate. La Chiesa fece sopprimere l’ordine dei Templari nel 1312, e il re di Francia si appropriò di gran parte del loro patrimonio.
Ad oggi, sorvolando le puntualizzazioni sulle ormai smentite accuse che motivarono questa epurazione, e tenendosi distanti da un “templarismo dell’ultim’ora”, possiamo dire che il maggiore apporto dei Templari non fu di tipo militare, ma ricalcò gli obbiettivi di governo della Chiesa di allora: perseguire uno sviluppo culturale e spirituale, ma anche del potere temporale, attraverso la creazione di strumenti economico-finanziari che andavano a favorire tutte le fasce di popolazione.
A riprova della particolarità di questi monaci-militari, abbiamo studiato il rapporto dei Templari, di San Francesco e dei Musulmani.
Infatti Analizzando a fondo la vita del Santo di Assisi, e collegando insieme alcuni dati, vengono fuori alcune cose molto interessanti.
- Frate Elia era un alchimista, consigliere politico dell’imperatore Federico II, in stretto contatto coi Templari. Cosa legava un alchimista, templare, alla spiritualità Francescana?
- I viaggi di San Francesco, Frate Elia, e Federico II in Terrasanta, ebbero come risultato una pace senza spargimento di sangue; il sultano Al Malik, parente del Saladino, dette il permesso ai pellegrini cristiani di andare a Gerusalemme senza pericolo. In altre parole, ottennero come risultato quello che era lo scopo delle Crociate; e lo ottennero senza spargimento di sangue.
- Molti personaggi rosacrociani erano nel cosiddetto Terzo Ordine Francescano: Michelangelo, Dante Alighieri, Raffaello, Giotto. Cosa lega i Rosacroce a San Francesco e ai francescani in generale?
- La madre di Francesco era Catara. E a quel tempo in Umbria e nel Lazio c’erano molte comunità catare. Non a caso la spiritualità Francescana era molto più vicina a quella Catara che alla Chiesa Cattolica, perlomeno negli aspetti esteriori.
- Uno dei primi seguaci di San Francesco, Angelo Tancredi, era un templare. E, data la massiccia presenza templare ad Assisi, ai tempi di San Francesco, si può supporre agevolmente il contatto che doveva esserci tra la spiritualità Templare e quella Francescana. Contatto confermato, tra i tanti indizi dal fatto che nella Basilica di San Francesco, ad Assisi, è tumulato Giovanni di Brienne, templare, che aveva il titolo di Re di Gerusalemme, ed era suocero di Federico II.
- A partire dalla missione che Frate Elia e San Francesco portarono avanti in Terrasanta, ai francescani venne attribuito il titolo di “Custodi della Terra santa” e furono autorizzati dal sultano stesso a soggiornare permanentemente in quei luoghi a partire dal 1229, anno in cui Federico II concluse la sua crociata in modo pacifico, dialogando col sultano Al Kamil (lo stesso incontrato da San Francesco nel 1219 e lo stesso incontrato dal Conte Tommaso di Celano che gli fece firmare il trattato di non belligeranza con Federico II).
- La tomba di San Francesco, nascosta da Frate Elia per ragioni che ancora oggi non si riescono a spiegare, viene ritrovata solo nel 1818, ben 600 anni dopo la tumulazione, e, straordinariamente, non contiene alcun simbolo cristiano, ma al contrario, oggetti che, simbolicamente, richiamerebbero altro, come il corno e le bacchette d’avorio che richiamano i Sufi.
Francesco d’Assisi – quello vero – non stimava solo i Càtari. Ha tentato in tutti i modi il contatto con i musulmani, non per convertirli (lui non giudicava nessuno, mostrava il suo esempio di vita), ma per trovare i punti di unione tra le religioni, per raggiungere una pace duratura». Ancora oggi, da allora, i francescani hanno la cura del Santo Sepolcro a Gerusalemme, dono del Sultano a Francesco e Frate Elia.
Sui Templari, la cosa più interessante e rivelatrice, l’ha scritta un principe siriano del pieno XII secolo, Usama ibn Munqidh emiro di Shaizar. La testimonianza che ci ha lasciato è, a concorde parere degli specialisti, davvero attendibile. Ebbene, Usama ci racconta che verso gli anni Sessanta-Settanta del XII secolo, quando gli capitava di recarsi a Gerusalemme allora capitale del regno crociato, usava andare ospite dei «suoi amici Templari» (è lui a chiamarli proprio così), quartier generale dei quali era la moschea al-Aqsa, ancora esistente sulla «Spianata del Tempio». Lì, dice Usama, i pauperes milites Christi et Salomonici Templi che già allora, correntemente, veniva definito «il Tempio» –, avevano approntato un oratorio nel quale i loro ospiti musulmani potevano tranquillamente pregare. Non proprio una moschea, certo: comunque, una piccola “sala di preghiera”.
Ecco questi rapporti particolari ci obbligano a non generalizzare sull’Ordine del Tempio, infatti essi non combattevano direttamente i Musulmani, ma tutti quelli che volevano arrecare danno ai pellegrini in Terrasanta.
Con la costruzione di rocche, chiese e cattedrali e con la gestione delle proprietà e degli investimenti, l’ordine portò sviluppo e lavoro in molte parti dell’Europa medioevale, attraverso un’opera che già era stata di grandi ordini monastici. Molti governi europei (ed italiani in particolare) ricorsero ai loro servizi per ottenere finanziamenti, per gestire le contabilità e le finanze pubbliche ed ancora le proprietà immobiliari, soprattutto agricole, nelle quali si ottenne una buona distribuzione del reddito e la creazione di posti di lavoro. E’ naturale quindi considerare l’Ordine dei Templari costituito da grandi uomini del tempo, fra i quali, primi fra tutti ovviamente, i “direttori generali”, i Gran Maestri. Questi erano tutti nobili non italiani, tranne uno. Vi è un G.M., piuttosto importante in quanto l’ultimo a partecipare a una crociata in terra santa e fra quelli che rimasero in carica per più tempo, di cui si possono supporre origini italiane. Si tratta di Tommaso Berardi, eletto sotto il pontificato di Alessandro IV Gran Maestro del Tempio dal 1252 o 1256 al 1273. E’ riportato nell’elenco dei Gran Maestri come Thomas Bérard, ma nelle cronache del tempo è spesso citato come Tommaso Berardi.
Elenco dei Gran Maestri dell’Ordine Templare:
Tommaso Berardi fu Gran Maestro dei templari in un epoca nella quale le crociate erano già avviate all’epilogo e con esse le stesse premesse alla base dell’esistenza degli ordini cavallereschi crociati. Così si profilava l’esigenza di una “ottimizzazione organizzativa” per la sopravvivenza dell’ordine. Gli atti e le lettere scritte da Tommaso Berardi mostrano chiaramente questa situazione. Egli chiese aiuti al re inglese Enrico III, ma questo, nonostante fosse stato in terra santa nel 1240 e in passato avesse concesso benefici ai templari, in quegli anni aveva più a cuore le faccende di corte e le rivolte dei baroni inglesi che la terra santa, dove quindi, senza fondi e con gli infedeli sempre più potenti, si perdeva terreno e uomini. Il papa Clemente IV ammise che non c’erano più uomini coi quali rinforzare gli ordini. Il principe inglese Edoardo I, giunto in terra santa nel 1269 per la nona crociata, torna in inghilterra per essere incoronato re nel 1272, senza aver concluso molto oltre a una tregua di 10 anni. Il G.M. Tommaso Berardi figura fra i firmatari di tale tregua. Egli inoltre promosse la cooperazione con gli altri due ordini militari maggiori, molto spesso rivali, e questo fu concordato dai rispettivi Gran Maestri, Hugo di Reveldegli Ospitalieri e Nano di Sangershausen dei Cavalieri Teutonici.
Il Gran Maestro Tommaso Berardi oltre a gestire la situazione critica dei tracolli di varie località e castelli cristiani in terra santa, richiedendo aiuti in Europa è presente in atti nei quali viene “riorganizzato” l’assetto patrimoniale dell’ordine in Italia, proprio in funzione di un cambio di rotta dovuto alla situazione catastrofica delle operazioni belliche in terra santa che doveva aver sconvolto anche gli equilibri finanziari.
Secondo “La cronaca del templare di Tiro”, Tommaso Berardi morì il 25 marzo 1273.
Ci interessa particolarmente Tommaso Berardi soprattutto per il cognome. Nello specifico non è affatto da scartare l’ipotesi che l’origine del 20esimo Gran Maestro fosse nella casata di quegli stessi Berardi che nel suo secolo era fra le più potenti d’Italia e governava un territorio molto ampio, ricompreso in quasi tutto l’Abruzzo e il Molise. L’ordine dei templari, come sappiamo, fu purtroppo colpito dalla “damnatio memoriae”, quindi moltissimi documenti sono andati perduti, ma la nostra ipotesi si avvalora quando nelle cronache locali di quel tempo troviamo un personaggio appartenente ad ramo della famiglia Berardi, Frà Pietro D’Ocre, col titolo di “maestro dei Templari”. Questo a testimonianza del fatto che i nobili discendenti della influente casata Berardi sicuramente avevano possibilità di fare carriera nell’Ordine Templare. Sempre nelle cronache troviamo che svariati personaggi citati su varie notizie sui Conti di Ocre, vengono chiamati proprio “Tommaso Berardi”.
* Dissertazioni circa la famiglia Berardi di Ocre e di Barile, famiglia da dove venne Fra Pietro D’Ocre Maestro Templare.
Origine della famiglia di Barile.
La signoria dei Barile, secondo quanto si apprende dal Catalogus Baronum, avrebbe origine nella seconda metà del XII secolo da un ramo dei signori di Collimento (de Colimento), a loro volta discendenti dei Conti Berardi dei Marsi, e avrebbero acquisito il nome del casato da quello della terra in cui si infeudarono, secondo la tradizione del cognomen toponomasticum. Il Catalogus Baronum (anni 1161-1168), riferisce infatti che Berardo di Collimento, figlio di Odorisio di Collimento e consanguineo anche di Todino, era feudatario «in capite de domino Rege» di Stiffe, Terranera, Barile e della metà di Turris, nella Diocesi di Forcona, oltre che di di Staffoli (oggi frazione del comune di Petrella Salto) in Collina Reatina e nel Comitato Reatino, tassato per 9 militi e rispettivi inservienti. Nello specifico Barile è riportato come feudo per 1 milite. Sempre dal Catalogus Baronum risulta che la discendenza di Berardo (cugino di Todinus de Colimento) «abbandonò il cognomen avito de Colimento, e si incominciò a distinguere con quello di Barile, dal feudo Barile di cui era in possesso». L’Antinori riporta invece che nel 1170, Tommaso, figlio di Berardo, era già signore di Barile e aggiunge che l’uso della cognominazione toponomastica sarebbe stata una consuetudine prevista dalle «leggi dei Longobardi»; tuttavia, secondo più recenti studi, il casato dei Barile, in quanto derivazione indiretta dei Conti dei Marsi, ascenderebbe a origini franche.
Beatrice, anch’essa figlia di Berardo, sposò Malierius, figlio di Roberto di Palena; si fa menzione di un figlio dei due, Altomonte, in un atto di donazione del 15 dicembre 1190 con il quale Malerius dona le chiese di San Venanzio in territorio «de Turricella» e di Santa Giusta «de Capra[t]ell[o]» al monastero di Santa Maria «de Lucto» nelle mani dell’abate Odorisio.
Secondo le fonti, la cognominazione del casato cambiò in de Barile nel 1180, per iniziativa dello stesso Tommaso, figlio di Berardo «primogenito di Odorisio di Collimento».
Dopo il cambio di cognominazione, nello stesso 1180 Tommaso donò alla «Religione di San Giovanni Gerosolimitano la chiesa di San Nicola, vicino al castello di Rocca di Mezzo, poi detta di Terranegra, con tutti i tenitori, vassalli, e possessioni a quella spettanti»; questa donazione includeva probabilmente la stessa Terranera. L’Antinori riferisce di aver appreso tali notizie da quanto scrive il Beltrano il quale, nel 1690, riferisce che ancora alla sua epoca la «Religione Gerosolimitana» percepiva la rendita della chiesa di San Nicola e che erano passati circa 450 anni da quando la famiglia dei Barile era «uscita» da quella di Collimento prendendo il nome appunto, di Barile. Riguardo al possesso del castello, Antinori riporta la notizia per cui Tommaso, signore di Barile, «teneva quel luogo dal Conte Pietro di Celano», forse sempre in virtù dell’originaria discendenza dei signori di Collimento dai Conti dei Marsi.
Sempre Tommaso, intorno all’anno 1196, insieme alla moglie Mabilia di C[e]ccanodona alla chiesa di Santa Maria della Carità un terreno in località «pa[s]casale» (o «pa[go]casale») «a pie’» delle mura del castello di Barile, «della misura di un moggio di semina, per redenzione delle anime loro e dei loro genitori, e consanguinei». Ricevette le donazioni «frate Bartolomeo» rettore della stessa chiesa di Santa Maria della Carità, «ch’era dei monaci Cisterciensi, nella Diocesi di Penne»……….
Secondo l’Antinori, invece, al Tommaso che nel 1180 aveva adottato la cognominazione «de Barile», succedette l’unico figlio Berardo, signore di Barile, «Collenir[c]o», Stiffe, Rocca Cedica negli Abruzzi, e di Staffile e Collalto nel Contado di Rieti.
Intorno al 1222 si ha notizia di un Rainaldo «de Barrili», probabilmente il figlio di Berardo, che compare, in qualità di testimone, tra i firmatari dell’atto di donazione della località ‘Pratola’, dove sarebbe sorto il monastero cistercense di Santo Spirito d’Ocre. Rainaldo ebbe due figli, Enrico e Bartolomeo.
(Da:Mauro Rosati – Le terre dei Barili. Ricerca storico-archivistica)
Disquisizione circa la famiglia Berardi
La possibilità che il Gran Maestro Templare Tommaso Berardi possa essere discendente di questa famiglia è rintracciabile nel saggio “BREVE DESCRITTIONE DI ABRVZZO VLTRA – DECIMA PROVINCIA DEL REGNO DI NAPOLI – Hiſtoria Chronologica de’ Conti di Marſi “ di Enrico Bacco, 1609. In essa leggiamo:
- Vedeſi chiaramente queſto Tomaſo eſſere ſtato huomo aſſai pio, e religioſo, imperoche nel 1180 dona alla Religione Geroſolimitana la Chieſa di S. Nicola vicina il Caſtello di Rocca di mezzo con tutte le rendite, territorij, vaſſalli,e poſſeſſioni a detta Chieſa ſpettanti, che ſino al preſente la detta Chieſa,e Religione ne partecipa groſſe rendite. (…)
- Hebbe Tomaſo vn figlio vinico, che ſi chiamò Berardo, che fu Signore di Barile, Colle Inirco, Sciſſa, Rocca Celica, tutte Terre nell’Abruzzo, e nel Contado di Rieti, fu Signore di Scaſsilla e Collara.
- A tutte queſte Terre li ſucceſſe Rainaldo ſuo figliuolo, il quale generò Errigo, e Bartolomeo. Bartolomeo fu Capitano di Gente d’Arme, e Vicerè nell’Abruzzo per Carlo I. Nel 1269, hebbe per figlioli Matteo, Errigo Signori di Cellina, il quale fece Tomaſo, padre di vn’altro Errico, che ſi maritò con Roſa dell’Aquila,e le linee d’ambidue queſti fratelli s’eſtinſero. (…)
- Vn rampollo de’ Conti di Marſi fu la caſa d’Ocra, e diſceſe da Rinaldo, che hebbe per moglie Sichilgaida Ducheſſa di Gaeta, come habbiamo detto di ſopra, hebbe tra l’altri figlioli, oltra Teodino Cardinale, Cdoriſio, dalla cui linea diſceſe Berardo Signor d’Ocra, & Alue, e Tomaſo Signor d’Ocra.
- Hebbe Berardo più figliuoli, tra’quali ne fu
– Tomaſo, che ſpinto dall’eſempio della ſanta vita di San Pietro da Morone, Fondatore de’Celeſtini, che a aſſunto al Pontificato chiamoſſi Pietro Celeſtino V. s’aſcriſſe egli a quella Religione, oue portandoſi religioſamente, meritò dall’iſteſſo Papa , Celeſtino eſſere aſſunto alla Dignità Cardinalitia, il quale morendo in Napoli fu ſepellito nel Domo.
– Fra Pietro d’Ocra, che fu Maeſtro della Religione de Templari in Puglia.
– Rainado signor d’Ocra, & Alue,padre di Gualtieri di Ocra, che fu Cancelliero nel Regno nel 1210.
– Offiedutio figlio del ſopradetto Odoriſio, hebbe dalla ſua donna vn’altro Udoriſio, il quale fu auo di Pietro Conte di Celano, e per non hauer laſciato figliuoli paſsò la Contea di Celano ad Andrea ſuo fratello, che fe Ruggiero, il quale hauendo vna figliola vnica, la diede per iſpoſa àRuggerone, e portò il Contado di Celano a quella caſa, indi peruenne alli Accrocciamuri; poſcia alliAcuti,tutti famiglie eſtinte.
Dopo questa voluminosa descrizione occorre soffermarci un attimo su chi erano i Conti D’Ocre.
Gualtieri D’Ocre.
Era egli uno de’ nobili rampolli della famiglia nobilissima de’Gran Conti de’ Marsi. Berardo suo avo usciva dallo stipite de’ Conti di Albe; e dal contado di Ocre, al suo dominio soggetto, dato avea il cognome al nostro Gualtieri, che ne ottenne poi la Baronia da Corrado. Percorsa avendo questi un’onorata e lunga carriera nella Corte imperiale di Federico; distinto per talenti, per vaste conoscenze, e per abilità nel maneggio del pubblici affari;
Tommaso firmamus, et praesentis scripti patrocinio communimus. Nel documento poc’anzi citato, si evidenzia che Tommaso de Fossa Abbate di S. Eusanio era nipote del Gran-Cancelliere, ed
indubbiamente rilevando da questi due Diplomi la parentela tra la famiglia de Ocra, e quella de Fossa, che non era, se non un ramo di essa. Con ciò si evidenza il primo fondamento del nostro assunto, provando la discendenza di entrambe dal ceppo de’ Conti di Marsi, come Ughelli già scriveva.
- (UGHELLI Italia Sacra. Venetiis, 1717. vol. I. in Serie Episcop. Aquilan.col. 384. lit. B.)
“…….. ToMMAso Abate di S. Eusanio non dee confondersi col Cardinale Tommaso, che appartenne contemporaneamente alla stessa famiglia de Fossa. Erano entrambi congiunti alla famiglia de Signori de Ocra, come osservava l’ Ughelli nella Serie de Vescovi Aprutini ( num. 27 col. 365,) parlando del Vescovo Rainaldo nel 1272, e dicendo: eadem enim est familia de Ocra, de Fossa, de Barilibus, ac de Albe , a Berardo Marsorum Comite Rainaldi filio, qui ante annum M. nostrae salutis vixit, propagata. Haec deinceps a variis feudis ,quae in Aprutina Provincia, aliisve locis possidebat, varios in ramos distincta, alia de Ocra, altera de Barilibus, aliaque de Fossa denominationem suscepit. Lo stesso ripeteva il lodato scrittore nella Serie de Vescovi Aquilani (nella cit. col. 385, lettera B. ), prima di trascrivere la Bolla sopra mentovata di S. Celestino V, conchiudendo, che non rimaneva alcun dubbio sopra ciò, che aveva egli, e dopo di lui il P. Oldoino nelle sue Addizioni al Ciacconio su tal proposito asserito; has nobiles familias ( de Ocra, de Fossa, de Alba, et Barilibus) ab una radice prodiisse, scilicet e Comitibus Marsorum.
Dell’origine di Ocre, di cui accennata abbiamo la rimotissima etimologia, seguendo la guida additataci dal Ch. GIOVENAZZI (pag. 42. not. 1o. ); nulla può dirsi di certo, mancandone affatto i documenti. Certo è, che dovea essere uno de luoghi più cospicui del Contado Amiternino, e perciò ne secoli XII
e XIII lo troviam celebrato per quel ramo della illustre Casa del Gran Conti de’ Marsi, sotto il cui dominio “, come rilevasi da monumenti testè riportati era allora una Baronia, soggetta a Bernardo ed a Berardo, Conti di Albe, e quindi al di costui figlio GUALTIERI. Comprendevasi sotto la medesima la vicina Terra detta Barile, quella di Fossa, e di Rocca di Cambio, come abbiamo rilevato da monumenti citati da Ughelli (pag. 52 ). E quantunque in tempo di Carlo II la Famiglia, che signoreggiava Ocre, si fosse in più rami divisa, come “da Diplomi (pag. 48, e 55-56); pure questi diversi rampolli, che le diverse Terre di Fossa, Barile, Casentino, San-Martino, ec. dominavano, alla principale Famiglia, detta con general nome de Ocra, si appartenevano : e perciò dopo essere stati tutti enumerati negli anzidetti diplomi ; con nome generale son indicati tutti nel fine di esso, il privilegio dell’esenzioni estendendosi ad omnes haeredes de Ocra.”
(MEMORIALE D I NoTIZIE sTo RIco-cRITICHE SPETTANTI A GUARNIERI DA ouRE
GRAN CANCELLIERE DE REGNI DI SICILIA E GERUSALEMME S o TT o FEDERICO II. CORRADO, E MANFREDI R AC CO LTE ba biversi Scrittori e Gipſomi, e cronologicamente bispºste. N A P O LI, DALLA STAMPERIA FRANCESE, 1 8 2 9.)
CONCLUSIONI
- I Berardi, Conti di Celano, Conti dei Marsi, erano parenti dei Conti di Ocre (Mammarella, Abbazie e monasteri cistercensi in Abruzzo, Cerchio 1995, 2ª ediz., pag. 101).
- Gualtieri di Ocre fu Gran Cancelliere del Regno e Fra’ Pietro d’ocra nel 1284 fu Gran Maestro dei Cavalieri Templari. Ad Ocre infatti c’è ancora il Monastero Fortezza con chiarissime attestazioni templari quindi non è avventato affermare che il Maestro dell’Ordine avrebbe potuto avere dei legami con i propri parenti di Celano;
- Il Conte Tommaso di Celano, persa la sua contea dopo lo scontro con Federico II, partecipò con questi alla spedizione in Terra Santa nel 1228 per conto del Papa (con lo scopo di sorvegliare le azioni di Federico II). Fu proprio lui insieme ad un Templare a trattare con il Sultano d’Egitto al-Kamil l’accordo della cessione di Gerusalemme. Sicuramente l’esperienza in Terra Santa significò molto per il Conte Tommaso e nulla ci vieta di pensare che i tangibili segni templari nell’unico luogo rimasto in piedi dopo la distruzione da parte di Federico II, ossia dalla Chiesa di San Giovanni Evangelista (attuale Madonna delle Grazie) provengano da questa esperienza e che Tommaso dette e ricevette aiuti Templari;
- Il Papa Gregorio IX nella stipula del trattato di pace con Federico II riuscì a strappare all’Imperatore il salvacondotto per consentire al Conte Tommaso di rientrare in possesso delle proprie terre. Papa Gregorio IX secondo alcuni, fu il mandante dell’attentato a Federico II perpetrato dai templari in terra Santa e non è detto che il Conte Tommaso ne fosse all’oscuro poiché Gregorio IX era il cugino di Tommaso di Celano.
Dopo i segni storiografici, passiamo a segni “su pietra” del passaggio dei templari nelle Contee dei Berardi. I riscontri si hanno, fra gli altri luoghi, anche nelle chiese della Madonna delle Grazie e di San Giovanni Battista a Celano.
CHIESA DI SAN GIOVANNI BATTISTA
Secondo la versione accreditata dalla storio-grafia locale, la fondazione dell’edificio andrebbe ricondotta entro la metà del Duecento quando Celano venne ricostruita nel sito attua-le dopo che il precedente insediamento sul monte Tino, circa un chilometro a Nord, era stato distrutto nel 1223 da Federico II che aveva risparmiato solo l’antica parrocchiale di San Giovanni Evangelista, nota anche comeSan Giovanni Vecchio, oggi intitolata a Santa Maria delle Grazie
Nonostante l’assenza di elementi macroscopici che possano avvalorare una datazione così precoce, in effetti l’abitato sembra essersi distri-buito intorno al piccolo pianoro sottostante il castello, assumendo come baricentro del retico-lo viario proprio la collegiata, che si apre sull’u-nica piazza antica leggibile in un tessuto urbano comunque stravolto da numerose modernizzazioni. La chiesa attuale si presenta tuttavia come un organismo architettonico eterogeneo scaturito da un cantiere dipanatosi in varie fasi che si scalano presumibilmente tra la fine del XIII secolo e gli inizi del XV, la cui leggibilità è fortemente inquinata da due eventi sismici significativi e dalle loro conseguenze, esiziali in termini di rifacimenti e ripristini.
– Chi intorno alla metà del Quattrocento fosse entrato nella collegiata celanese, avventurandosi nella navatella di destra avrebbe potuto ammirare una specie di mostra antologica della pittura tardogotica abruzzese, essendo state riconosciute nelle prime quattro campate le mani e soprattutto le botteghe degli anonimi maestri del trittico di Beffi e della cappella Caldora, nonché gli esordi di Andrea De Litio.(Andrea De Litio (o anche Delitio o Delisio; Lecce nei Marsi, 1420 circa – Atri, 1495 circa) è stato un pittore italiano del Rinascimento. Tra i massimi esponenti della pittura centro-meridionale dell’epoca, fu artista di rilievo del Quattrocento italiano, assieme agli scultori Nicola da Guardiagrele e Silvestro dell’Aquila; il suo stile rimase comunque legato anche al tardogotico, anche se conosceva bene l’arte dei suoi più noti contemporanei).
La fondazione dell’edificio andrebbe ricondotta entro la metà del Duecento quando Celano venne ricostruita nel sito attuale dopo che il precedente insediamento sul monte Tino, circa un chilometro a Nord, era stato distrutto nel 1223 da Federico II che aveva risparmiato solo l’antica parrocchiale di
San Giovanni Evangelista, nota anche come San Giovanni Vecchio, oggi intitolata a Santa Maria delle Grazie. Nella prima campata, fra le altre cose si riproducono con modalità inconsueta la serie degli Evangelisti. Questi, impegnati a redigere la propria testimonianza e affiancati dai rispettivi simboli, sono infatti riprodotti come figure monumentali, innaturalmente inginocchiate, tanto da apparire quasi prive di corpo nella parte inferiore e soprattutto dotate di vistose ali dal piumaggio variopinto secondo un’iconografia che propone una contaminazione tra il personaggio e il suo simbolo, fornendo una versione spuria del Tetramorfo, che trova qualche riscontro in area marchigiana8, così come nella Santa Croce di Genazzano. Inoltre si nota una figura “mutilata” forse il Creatore dentro una mandorla.
La seconda campata ripropone nella volta i quattro Evangelisti alati con simbolo e codice, inquadrati però da un apparato ornamentale assai più ricco ed elegante del precedente.
Di estremo interesse è poi la sequenza impaginata sulla porzione corrispondente del muro d’ambito, che culmina nel Cristo giudice affiancato dal lacerto di una figura panneggiata, forse un arcangelo, e da un riquadro più ampio, solitamente ritenuto un Giudizio universale nonostante rappresenti palesemente la Resurrezione della carne. E’ possibile riconoscere nella scena di puerperio il primo miracolo di San Nicola che, durante il bagnetto cui viene tradizionalmente sottoposto il neonato, tra lo sconcerto delle levatrici, si levò in piedi manifestando una precocità prodigiosa. L’identificazione è corroborata dal pannello sottostante che illustra un altro episodio ricorrente nell’agiografia del santo come il precedente citato nella Legenda aurea in cui il vescovo di Mira salva tre strateliti ingiustamente condannati a morte. La rappresentazione dell’intervento del protagonista entro una mandorla iridata ad interrompere l’esecuzione attesta d’altronde che si tratti proprio di questo episodio e non, come spesso ritenuto, della decapitazione, avvenuta al tempo di Antonino Pio e tradizionalmente localizzata proprio nei pressi di Celano, dei martiri Simplicio, Costanzo e Vittoriano, i cui corpi riposano sotto l’altare maggiore della nostra collegiata14, nella quale vennero traslati nel 1406 da San Giovanni Vecchio.
Altri affreschi ritraggono san Nicola seduto in cattedra con angeli che gli posano la mitra. Infine al centro, in asse con la finestra e il Cristo giudice è un riquadro con la Crocifissione.
Nelle vele della volta successiva sono invece raffigurate la Madonna con il Bambino, Santa Caterina d’Alessandria e due sante martiri già riconosciute con Vittoria e Anatolia, il cui culto è piuttosto diffuso tra Lazio, Abruzzo e Marche, anche se una è sicuramente Lucia per la presenza nella mano sinistra di una lampada a olio, mentre l’altra è di difficile identificazione per la genericità degli attributi, palma e codice, che potrebbero comunque appartenere, tra le molte, anche ad Anatolia.
La quarta campata infine contiene nuovamente una Madonna con il Bambino, cui fa da contrappunto un Cristo benedicente, mentre le figure laterali, ritenute due sante, sono in realtà i due Giovanni titolari dell’edificio, come rivela chiaramente la figura del Battista .
Nei sottarchi sono invece raffigurati, con un’unica eccezione, alcune serie di otto figure a mezzobusto entro oculi polilobati che riproducono nella prima campata gli apostoli, i protomartiri Stefano e Lorenzo e due diaconi, nella seconda i sedici profeti, nella terza i quattro Dottori della Chiesa nell’ arco longitudinale e otto santi nella navatella, e nell’ultima otto martiri assai ben conservati nell’intercolumnio e un gruppo lacunosissimo di sante a segnare il passaggio alla volticina successiva .
Infine, il primo pilastro ottagono, sotto una cornice fogliata che simula il capitello, è orlato da un motivo araldico che alterna l’arma dei conti di Celano d’azzurro alla banda d’argento con quella dei Colonna, di rosso alla colonna d’argento con base e capitello d’oro coronata del medesimo.
In un’altra figura nonostante la lacuna impedisca di verificare la presenza di attributi specifici,sembra si riconosca Santa Caterina d’Alessandria, un culto familiare ai conti di Celano che avevano fatto erigere a Napoli una chiesetta ad essa dedicata, nota come Santa Caterina dei Celanesi,ubicata nei pressi del sedile di Nido, nel cuore della città durazzesca.
In accordo a questa ricostruzione nel 1418,alla morte di Nicola, il maestro Caldora sarebbe stato incaricato di decorare la navata, iniziando dalla seconda campata che fungeva da cappella funeraria del conte. Il motivo di tale scelta possiamo anche immaginarlo, si trattava di un’artista che aveva dato la sua prima prova a Subiaco, nel sottotetto di Santa Scolastica tra 1408 e 1413, su incarico dell’abate Tommaso da Celano, secondo alcuni autori membro della famiglia comitale.
Nell’ultima campata sembra ci siano gli esordi di Andrea Delitio ,cui è stata riferita da Ferdinando Bologna, la vela con la Madonna con il Bambino.
Nella quarta campata, che mostra sensibili differenze anche rispetto a quella immediatamente precedente, c’è il San Giovanni Battista che nel l’impianto e nella fisionomia richiama la serie degli Evangelisti della prima campata, quella che presentava riflessi della maniera del maestro Caldora, un tratto che sembra rintracciabile, ma si tratta di testi pittorici alterati da ridipinture, anche nel San Giovanni Evangelista e nel Cristo Redentore .
Il caso della chiesa di Santa Caterina dei Celanesi, patrocinata proprio dal conte Nicola e di Bernardo, suo fratello, che aveva fatto erigere, sempre nella capitale, la tribuna della chiesa di San Girolamo delle Monache, come pure le ricche cappelle possedute dai Cantelmo a Sant’ Agostino e in altre chiese napoletane.
Si apre così un’ulteriore prospettiva di ricerca. L’esordio del maestro Caldora, l’abbiamo ripetuto
più volte, è a Subiaco dove lavora per Tommaso da Celano, in un cenobio affollato di presenze straniere e in particolare spagnole.
(Da “IL CANTIERE PITTORICO DELLA CHIESA DEI SANTI GIOVANNI BATTISTA ED EVANGELISTA A CELANO: CONVERGENZE E TANGENZE” di Gaetano Curzi.———-)
LA CHIESA DELLA MADONNA DELLE GRAZIE.
Originariamente chiamata San Giovanni Caput Acquae, fu edificata dal vescovo Celanese Pandolfo che nel 1059 vi tumulò le ossa dei Santi Martiri, da allora protettori di Celano.
Nel XII secolo la Chiesa di San Giovanni caput Acquae diventò una delle piu importanti chiese feudali della Diocesi della Marsica. Essa era posta a contatto del grande incastellamento di Celanum dei Conti dei Marsi e della vicino Fons Aurea. La chiesa nel Duecento si salva dalla distruzione di Federico II del 1223.
Con la nascita della nuova Celano sulla sommità del Colle San Flaviano, l’importanza della chiesa di San Giovanni Caput Acquae viene offuscata dalla nuova Chiesa di San Giovanni Battista costruita all’ interno del centro abitato.
I primi interventi architettonici di ripristino si ebbero nel 1200, per volonta’ dei Conti Berardi, che fecero ricostruire l’impianto in stile romanico, ampliandone la pianta a tre navate.
Gia’ nel secolo successivo, la chiesa subì notevoli danni causati dalle infiltrazioni d’acqua delle vicine sorgenti e dal terremoto del 1348. Dopo di ciò, per volere del Conte Ruggero, fu ricostruita interamente, con l’inserimento di nuovi portali al lato sud ovest che cambiarono la via di accesso alla stessa. Con questa ricostruzione venne rinominata ed intitolata a San Giovanni Evangelista.
Dopo i terremoti del 1456 e 1461, per ordine dei Piccolomini si eseguirono nuovi interventi. In quell’epoca in seguito alla diffusione del culto della Madonna delle Grazie la Chiesa di San Giovanni Evangelista cambia nome in Chiesa della Madonna delle Grazie.
Con le pestilenze del 1500, la chiesa venne convertita in chiesa sepolcrale con l’apertura nel sottosuolo di vani per ospitare i defunti.
Con il terremoto del 1706, la navata sinistra dovette essere totalmente ricostruita mentre la destra rimase pressochè integra. Sino al 1932 la chiesa continuò ad essere utilizzata per la tumulazione dei morti.
Dopo gli interventi a causa del terremoto del 1915, la chiesa fu ricostruita e riacquistò così la pianta a tre navate e conservò gran parte delle opere marmoree e pittoriche.
Gran parte delle opere pittoriche di epoca antica si trovano nella navata di destra contenente il dipinto dell’Annunciazione. In questa navata si notano passaggi a più riprese di vari e valenti pittori dell’epoca con dipinti più che altro devozionali. C’è da dire che delle opere del trecento raffiguranti San Paolo, San Michele e Sant’Antonio Abate sono rimaste solo piccole testimonianze a causa degli interventi succedutisi e dall’incuria del tempo.
L’altare, del tardo ottocento, circoscrive il dipinto in affresco della Madonna del fine seicento. Nella prima colonna a destra dell’abside appare l’affresco della fine del 1300 della Madonna del Carmelo contenete la scritta “Petrei Celani Comes”, che riguarda Pietro II Figlio del Conte Ruggero II.
Importante dipinto è quello sulla navata di destra, vicino l’ingresso, raffigurante le nozze mistiche di Santa Caterina.
Di seguito sono descritte alcune opere pittoriche presenti nella chiesa
Dipinto raffigurante la Madonna delle Grazie.
L’iconografia della Madonna delle Grazie si diffuse in occidente verso il XIII secolo, fino alla sua decadenza intorno al XVII secolo.
Gli uomini colpiti da pestilenze, malattie, sventure sempre più adottarono delle figure autorevoli a protezione; tra queste quelle della Vergine. I pittori tardo medioevali, spesso raffiguravano la Madonna in piedi ed isolata con le braccia aperte a mo’ di misericordia, di accoglienza e protezione.
Molte testimonianze fanno credere che il dipinto dell’altare appartenga ad una chiesetta di campagna o meglio di fuori abitato. Una volta staccato fu riposizionato nella Chiesa della Madonna delle Grazie. Per verificare ciò occorrerebbero approfonditi studi sul muro dell’affresco nella parte retrostante, in quanto ad occhio, si vede la differenza di livello fra le pitture presenti raffiguranti altri santi e quella della Madonna.
Il dipinto è stato ulteriormente rovinato dall’inserimento di materiali ferrosi come gli ex voto.
Ciclo del trecento.
Il ciclo appartiene ad un unico periodo del XIV secolo raffiguranti San Paolo, San Michele Arcangelo e Sant’Antonio Abate. Da un primo impatto sembrerebbe appartenere iconograficamente ad un ciclo raffigurante la morte della Vergine molto diffuso nelle pitture del Trecento. Occorrerebbero studi più approfonditi per accertare questa ipotesi.
Madonna del Carmelo
L’iconografia della Madonna del Carmelo si propagò in occidente con il diffondersi dell’arte bizantina. Il dipinto raffigura la Madonna con in braccio il Bambin Gesù sorregge degli oggetti simbolici quale un uccello, probabilmente un cardellino, che rappresenta l’anima che vola via. C’è qui da notare come un significato simbolico pagano sia rimasto nella cultura Cristiana. La legganda narra che la macchia rossa sul capo del cardellino si sia formata quando l’uccellino sfiorò il viso di Cristo sulla Croce nel tentativo di togliere una spina, macchiandosi così con una goccia di sangue.
Fu la devozione di Pietro di Celano, figlio del Conte Ruggero II, a commissionare il dipinto, di fattura semplice ma di buona scuola pittorica. Questo dipinto con la scritta incisa ha destato la curiosità di numerosi studiosi.
Matrimonio mistico di Santa Caterina
L’ episodio è tratto dalla Legenda Aurea, e racconta di un eremita che donò a Caterina l’immagine della Madonna col Bambino. Il bambin Gesù rivolge lo sguardo alla Santa e le infila l’anello al dito sugellando così il sacro matrimonio, metafora della promessa spirituale di sé a Dio. Intorno alle figure principali troviamo dei Santi adorati localmente e la figura di Papa Bonifacio IV.
In passato il dipinto era attribuito erroneamente a Santa Lucia, in quanto gli occhi sul piatto (simbolo del martirio della Santa) sono risultati non originali, fatti in un recente passato.
Vista la fine e particolare fattura, l’opera fu sicuramente commissionata da persone ricche e di potere (quasi certamente i Piccolomini).
La chiesa della Madonna delle Grazie sarà ricordata anche nella bolla papale di Pasquale II. In questa chiesa è stato costudito per secoli l’exultet di Celano.
E’ qui che quando si ammalò San Berardo i canonici auspicarono per la morte del santo, “ut corporis eius honore fruerentur celanenses saltem in morte”, allo scopo di avere un ulteriore oggetto di culto da affiancare ai Santi Martiri che potesse richiamare pellegrini e accrescere il prestigio della chiesa con la speranza di farne una sede vescovile. Infatti i chierici celanesi avevano sempre voluto l’autonomia dalla curia tanto, che fino alla prima metà del cinquecento, avevano autonomamente insignito un prevosto con mitra e bacolo.
Sotto la pavimentazione della Chiesa, esistono dei vani utilizzati in un passato recente come cimitero. Ritengo che potesse esistere una cripta in cui il Vescovo Pandolfo tumulò le ossa dei santi Martiri.
LE CHIESE E I TEMPLARI
Tra il 1200 ed il 1300 le Chiese furono frequentate probabilmente dai templari. Studi a lungo termine e più approfonditi sarebbero da supporto ad evidenziare se i Templari in un determinato periodo storico fossero insediati stabilmente oppure occasionalmente.
Ci sono tuttavia numerose evidenze storiche che fanno pensare ad una possibile presenza templare:
- I Berardi, Conti di Celano, Conti dei Marsi, erano parenti dei Conti di Ocre (Mammarella, Abbazie e monasteri cistercensi in Abruzzo, Cerchio 1995, 2ª ediz., pag. 101).
- Gualtieri di Ocre fu Gran Cancelliere del Regno e Fra’ Pietro d’ocra nel 1284 fu Gran Maestro dei Cavalieri Templari. Ad Ocre infatti c’è ancora il Monastero Fortezza con chiarissime attestazioni templari quindi non è avventato affermare che il Maestro dell’Ordine avrebbe potuto avere dei legami con i propri parenti di Celano;
- Il Conte Tommaso di Celano, persa la sua contea dopo lo scontro con Federico II, partecipò con questi alla spedizione in Terra Santa nel 1228 per conto del Papa (con lo scopo di sorvegliare le azioni di Federico II). Fu proprio lui insieme ad un Templare a trattare con il Sultano d’Egitto al-Kamil l’accordo della cessione di Gerusalemme. Sicuramente l’esperienza in Terra Santa significò molto per il Conte Tommaso e nulla ci vieta di pensare che i tangibili segni templari nell’unico luogo rimasto in piedi dopo la distruzione da parte di Federico II, ossia dalla Chiesa di San Giovanni Evangelista (attuale Madonna delle Grazie) provengano da questa esperienza e che Tommaso dette e ricevette aiuti Templari;
- Il Papa Gregorio IX nella stipula del trattato di pace con Federico II riuscì a strappare all’Imperatore il salvacondotto per consentire al Conte Tommaso di rientrare in possesso delle proprie terre. Papa Gregorio IX secondo alcuni, fu il mandante dell’attentato a Federico II perpetrato dai templari in terra Santa e non è detto che il Conte Tommaso ne fosse all’oscuro poiché Gregorio IX era il cugino di Tommaso di Celano.
Le evidenze storiche non sono le sole ad indicare la presenza templare nelle chiese. Di seguito sono elencate le altre.
CHIESA DELLA MADONNA DELLE GRAZIE
Sappiamo che la chiesa fu restaurata, ampliata e trasformata nel 1200 dopo alcuni crolli. Dopo i restauri furono inseriti alcuni simboli che evidenziano un probabile insediamento dei templari. Uno dei simboli più evidenti è il rosone principale che rappresenta una stella ad otto punte uno dei simboli usati dai templari. La sua caratteristica fondamentale è che essa si raddoppia in una croce interna più piccola formata da quattro triangoli isosceli identici, opposti al vertice, che assumono la forma di una croce patente. La croce ad otto punte costruisce anche l’ “asterisco” riconducibile al simbolo del “Centro Sacro”.
Altro segno emblematico e particolare, richiamante i Cavalieri del Tempio è la croce orbicolare patente inclinata, che denota la conoscenza dei cavalieri templari dell’inclinazione dell’asse terrestre. Detta croce si trova ora nell’ingresso usato principalmente.
Su ambo i portali dell’ingresso della Chiesa vi sono raffigurate incisioni di numerose croci templari o “patenti”. Una stella ad otto raggi ed i “Segno del Golgota”, tutti attribuiti con certezza ai Templari, incisi nella pietra. Il segno del Golgota viene chiamato anche “Segno della Commanderia” e si ritiene che indicasse la presenza di una “Commanderia” (o “Commenda”) dell’Ordine dei Templari. Questi segni sono stati ritrovati anche nella bastide di Domme in Francia costruita nel XIII secolo che venne utilizzata, nel 1307, come carcere per alcuni Templari.
All’interno della Chiesa c’è la scultura “dell’Agnello crucifero”, che nella iconografia medioevale cavalleresca della Paupera Militia Christi occupa un posto centrale. L’Agnello è rappresentato con il capo rivolto all’indietro e con lo zoccolo destro che trattiene il vessillo della croce, simbolo di martirio ed al tempo stesso di Risurrezione.
Esso non ha necessità di guardare innanzi giacché conosce bene la strada che porta nei cieli; guarda invece in modo amorevole e caritatevole il gregge che lo segue.
Oltre al segno del “Golgota” ci sono altri segni che potrebbero indicare la presenza di un capo o “maestro”, ossia le croci Patriarcali in rosso presenti sull’entrata principale.
Nel Capitolo generale dell’Ordine, celebrato a Parigi nel 1147, Papa Eugenio III ribadì che i templari dovevano portare una croce color vermiglio sulla spalla sinistra del mantello bianco. La Croce Patriarcale scomparve dalla simbologia ufficiale dell’Ordine del Tempio, anche se alcuni ricercatori sostengono che, per un periodo imprecisato, venne mantenuta dal Gran Maestro e dai vertici dell’organizzazione. In proposito, così scriveva, intorno alla metà del secolo scorso, lo scrittore John Charpentier: “la croce rossa [patente] è stata comune a tutti i membri, ad eccezione, tuttavia, dei grandi dignitari che adottarono la croce a doppia traversa ineguale, la più corta in alto.”
CHIESA SAN GIOVANNI BATTISTA
Il portale di ingresso della Chiesa presenta numerosi simboli Templari, ed oltre alle Croci presenti anche nella precedente Chiesa della Madonna delle Grazie, in questa se ne rinvengono di altri anch’essi di indubbio uso dei Templari, ma addirittura rari ed usati in particolari Chiese Templari come quella di san Giovanni a Sepolcro di Brindisi, certificata come Chiesa costruita proprio dall’Ordine Templare.
Ebbene, in questo portale numerose sono le Croci Patenti scolpite nella pietra in maniera anche di artistica fattura. Oltre ad esse ho notato il graffito di una “Triplice Cinta”. Nel Medioevo si trova in varie versioni nelle cattedrali gotiche (come Amiens e Somme) e venne adottato dai Templari che lo usavano per contrassegnare dei luoghi di particolare sacralità tellurica. Come ampiamente documentato, la si ritrova spesso incisa sia in orizzontale, sia in verticale, sui muretti e sulle soglie dei gradini delle chiese medievali fino al XIII-XIV secolo.
Scrive lo studioso italiano Aldo Tavolaro che la presenza di una:
Triplice Cinta: indica «che ci si trova in un luogo che rappresenta l’omphalos della zona, ossia il centro di energie fisiche (correnti telluriche, magnetiche e cosmiche) che possono venire esaltate da un raggruppamento di persone legate da alta spiritualità. Di contro il luogo contrassegnato da quel simbolo è l’ombelico, il punto centrale di un territorio in cui esistono le premesse fisiche perché possano moltiplicarsi le energie psichiche emesse, per esempio, da uomini in preghiera. D’altronde anche il disegno è chiaro. La Terra, nel simbolismo sacro, è rappresentata da un quadrato che, nel caso in esame, racchiude un quadrato più piccolo e poi ancora un terzo ancora più piccolo quasi a concentrare l’attenzione, come una messa a fuoco, in uno spazio minimo centrale del disegno: l’omphalos, l’ombelico. I tratti mediani convergono anch’essi verso il centro.»
Oltre la triplice cinta ci sono due “Nodi di Salomone”.
Il Nodo di Salomone: tanto per restare in tema, simboleggia nella sua valenza originaria proprio l’unione profonda dell’Uomo con la sfera del divino. Questo tipo di simbologia è molto arcaica, risale all’epoca preistorica ed è riscontrabile nelle tradizioni dei popoli asiatici, africani, delle Americhe ed europei. Gli studiosi pensano che sia giunto fino a noi attraverso la cultura dei Celti basata su una simbologia rappresentante nodi ed intrecci. Il Nodo è formato da due serie di anelli che si incrociano tra loro formando una sorta di croce. Il suo intreccio chiuso rappresenta la ciclicità e l’eternità e le sue forme ondulate alludono alla Forza creatrice ed energetica della Madre Terra, associate all’elemento dell’acqua. Il Nodo è detto di Salomone, figlio di Davide e saggio re di Israele, è una delle figure fondamentali nella Bibbia e nella storia degli Ebrei, perché ricevette da Dio la capacità di discernere il Bene dal Male. Salomone è anche celebre per aver costruito il Grande Tempio di Gerusalemme dove era custodita l’Arca dell’Alleanza, simbolo del Patto tra Dio e gli uomini. Quindi il Nodo di Salomone può rappresentare la Soglia, simbolo del passaggio ad un’altra vita, la vera vita. Nell’epoca gotica si compie una rivoluzione nell’ambito architettonico, religioso e culturale. In particolare, sul piano architettonico si cerca di diffondere silenziosamente un’antichissima conoscenza attraverso la modalità di costruzione delle cattedrali ben compresa dai nuovi ordini cavallereschi nascenti quali i Templari, ad esempio. Questi luoghi di culto erano caratterizzati da molti simboli di antica saggezza; in particolare il Nodo di Salomone, per i Templari, simboleggiava la Croce, segno dell’alleanza sacra ed indissolubile che sostiene il crociato. Quindi se il Nodo di Salomone rappresenta la Croce, esso è la prefigurazione simbolica del Sacrificio di Cristo avvenuto per l’umanità e ricordato nelle epoche grazie a questi antichi simboli, cosicché il ricordo perduri nel tempo nel cuore degli uomini.
DETTO QUESTO, una conferma dell’esistenza a Celano dei Cavalieri del Tempio ce la da Hubert Houben nel suo lavoro “Normanni tra Nord e Sud. Immigrazione e acculturazione nel Medioevo” del 2003. Hubert cerca di sconfessare la tesi più consolidata degli storici circa l’ostilità dell’Imperatore Federico II verso i templari, e a tal proposito ci fa capire la presenza dei Templari a Celano, citando un atto con il quale l’Imperatore, ridona le proprietà sottratte ai Templari di Celano, e addirittura ci fa scoprire il nome del “Massaro”, Frate Giovanni da Celano, probabilmente il Fra’ Giovanni contemporaneo a Fra’ Tommaso. Infatti dice che nel 1240 e ancora nel 1249, i fratres Ademarius e Johannes, forse appartenenti al Tempio o all’Ospedale, ricoprirono rispettivamente il ruolo di massari nelle località di Versentino (Foggia) e di Celano (L’Aquila).
Questo studio non ha la presunzione di attestare la presenza dei Templari a Celano. Infatti si vuole con esso stimolare la ricerca e lo studio su quallo che potrebbe essere stato un fenomeno importantissimo nella storia del Mondo. Fenomeno che avrebbe attraversato la nostra Città di CELANO. La “damnatio memoriae” sta mollando la presa…
Giancarlo Sociali e Pasqualino Di Renzo