Verso una Marsica fascista: l’eccidio di Pietrasecca

Il fallimento dell’invasione del Fucino (agosto 1920) determinò lo sfaldamento delle associazioni marsicane, anche se sui comuni di Pescina, Aielli, Balsorano e Lecce sventolerà ancora la bandiera rossa fino al 10 ottobre 1920, tra le non poche preoccupazioni del sottoprefetto Gennaro Sannini.

Indubbiamente, alcuni fattori decisivi per lo sviluppo del movimento fascista, interessarono in generale la «prova fallimentare dell’occupazione delle fabbriche», che deluse le attese della corrente operaia, spaventando profondamente la borghesia proprietaria; oltretutto, le elezioni amministrative del settembre 1920 e quelle politiche del 1921 (volute entrambe da Giolitti), autorizzarono l’ingresso dei fascisti nelle liste liberali, facendoli così rafforzare. Il sostegno palese dell’esercito e dell’arma dei carabinieri, condussero i più facinorosi del partito verso un evidente terrorismo squadrista. Gli altri termini volontaristici (squadrismo, azione degli agrari, collusione delle forze di polizia con gruppi fascisti), furono poi decisivi per la conquista del potere, caratterizzando il processo di disgregazione socialista e liberale. 

A conferma di queste nostre tesi, citiamo un inquietante dispaccio del sottosegretario Camillo Corradini inviato a Giolitti: «Ufficiali ostentatamente partecipano alle associazioni fasciste medesime, indiscutibilmente agevolandone l’azione e partecipandovi più o meno direttamente, anche quando questa azione si risolva in una serie di atti delittuosi, in una sequela di violenze che si vanno ripetendo da luogo a luogo in questo periodo […] Mi si afferma che l’iscrizione di ufficiali e militari ai Fasci sia stata fatta col consenso del Comando di Corpo d’Armata» (1). Le affermazioni e l’atteggiamento contrario del parlamentare avezzanese, ben inserito nell’ultimo governo Giolitti, avevano attirato ancora di più nella Marsica l’odio dei suoi avversari politici, tra cui: Vincenzo Ludovici, Ermanno Amicucci e Giuseppe Marini (tutti originari di Tagliacozzo) e l’ostilità di ben più potenti personaggi come gli onorevoli Acerbo, Caporali e Mario Trozzi, che lo definirono: «il creatore di combriccole, il maneggione elettorale» (2). 

L’inaugurazione del «Fascio di Combattimento di Avezzano», aprì serie problematiche concernenti l’ordine pubblico che, tuttavia, aumentarono in tutto il territorio. In proposito, nell’ampio salone del «Cinematografo Marsicano», si svolse la solenne cerimonia alla presenza del professor Cornelio Di Marzio (legato oltretutto alla Romana Zuccheri), il quale: «con brevi sintesi ha illustrato le vicende storiche della nostra ultima politica; ha mostrato tutti gli assurdi aspetti di teorie straniere, di tutte le infatuazioni bolsceviche e ha concluso deducendo da questo, il bisogno impellente di un governo forte e di un ritorno al rispetto della legge». L’oratore, applaudito vivamente, dopo aver incoraggiato la platea fascista a una lotta tenace, raccomandò pure di non rispondere a nessuna provocazione delle forze di sinistra (3).

Gruppo di esponenti dei fasci di combattimento insieme alle autorità comunali di Avezzano (1921)

 

Il 13 maggio del 1921, lo stesso segretario politico del fascio di Avezzano fu costretto a smentire accuse di violenza squadrista indirizzate contro i comunisti di Tagliacozzo, alla vigilia di un presunto «veglione rosso da tenersi al Teatro Talia». Il fatto era stato segnalato da una corrispondenza apparsa su Il Messaggero del 3 maggio, che aveva denunciato la presenza di ben trenta fascisti armati di pugnali pronti a minacciare chiunque avesse osato prendere parte alla manifestazione. Tra l’altro, secondo le dichiarazioni del Di Marzio, l’azione dimostrativa riguardava solo «conti privati» e non fu per niente indirizzata contro l’intera cittadinanza, che doveva impegnarsi a stanare i veri: «sobillatori ed i vili, nascosti dietro l’anonimo provocatore». Queste e altre saranno le provocazioni di una lotta senza quartiere tra fazioni politiche avverse, che andrà sempre più aggravandosi in tutta la zona (4). Così, la sera del 17 maggio «in Pietrasecca, frazione del comune di Carsoli, sede di sezione elettorale anche per gli elettori del Tufo (altra frazione di Carsoli), accadde un efferato e vergognoso eccidio per futili rancori elettorali fra partiti politici avversi». Dopo la straripante vittoria elettorale riportata dal «Blocco democratico» capeggiato dall’onorevole Corradini, risultato superiore al «partito d’opposizione Avanguardia», i democratici di Pietrasecca cominciarono a festeggiare sulla piazza gridando: «Evviva il Blocco, Evviva Corradini». Di contro, i sostenitori del Ludovici, iscritti alla sezione combattenti che lo stesso aveva costituito precedentemente a Tufo e Pietrasecca, cominciarono a esternare «manifesti segni di bile da sfogare», gettandosi sugli elettori del campo contrario con randelli e altri corpi contundenti. La zuffa iniziò verso le 15,30: il gruppo fascista dei ludoviciani, comandato da un certo Ascenzo Giuliani, prese di mira Luigi Leggeri e Francesco Burelli (seguaci del Corradini). I due pur fuggendo, ben presto si ritrovarono addossati a un muro «facendo fronte alla folla», mentre, allo stesso momento, un colpo di roncola colpì «uno di coloro che si difendevano. La ferita fu spaventosa», dando il via al linciaggio. All’improvviso partì «un colpo dall’esiguo gruppo degli addossati al muro. Un uomo cadde». L’uccisione di un seguace dei fasci combattenti, scatenò la rivolta generale: «Si fece squillare la tromba che i fascisti avevano per le adunate col segnale d’allarme» e dopo suonarono persino le campane a stormo, mentre le case degli odiati avversari erano state subito assediate. Occorrevano, però, aumenti di forze per abbattere le porte e per compiere la rappresaglia, perciò fu inviato il: «nefasto trombettiere al Tufo, vicino 4 chilometri a chiamare a raccolta quei combattenti più agguerriti […] Vi furono anche banditori lanciati per il paese avvertendo dalle vie che tutti fossero accorsi a Pietrasecca per vendicare il combattente caduto». Difatti, molti abitanti del vicino paese accolsero con entusiasmo l’invito dei fascisti, specialmente quelli già ubriachi che gironzolavano per il borgo con foschi propositi. Così, i cosiddetti ludoviciani, raggiunti dai rinforzi, dettero l’assalto alle abitazioni dove si erano asserragliati i loro odiati nemici: «ed a colpi di pietra e di scuri atterrarono gli usci e le finestre, riuscendo ad avere tra le mani l’odiato Burelli. Il Leggeri riuscì a fuggire, ma presero un bravo giovane, tale Luigi Lucantonio, questo meno complice nel primo delitto e padre di numerosi figli che imploravano unitamente alla moglie misericordia per il loro congiunto; ma le belve sanguinarie alla presenza della moglie e dei figli, a colpi di pugnale e scure li ridussero informi cadaveri, tagliuzzandoli minutamente e crivellandoli in modo veramente orribile». Un tenente dei reali carabinieri, presente al fatto, dichiarò in seguito che in tutta la sua carriera non aveva mai visto un simile scempio. Altri antagonisti dei fasci di combattimento si erano sottratti alla carneficina salendo sui tetti delle case. Il giornalista Angelo Macchia, terminò la drammatica cronaca di quel giorno, augurandosi che l’onorevole Corradini e gli altri del Blocco, facessero istituire al più presto a Tufo una stazione permanente di carabinieri, per evitare nuovi incresciosi episodi nella zona (5).

Nel mese di giugno dello stesso anno, i fascisti di Avezzano, che ormai cominciavano ad affermarsi in tutto il comprensorio sostenuti dall’onorevole Giacomo Acerbo, imposero: «un argine al dilagare delle camorre e delle speculazioni ingorde dei negozianti della città», per il problema del «caro viveri», ordinando alle autorità comunali una riduzione forzosa dei prezzi di generi alimentari. Evidentemente, in quei frangenti, la popolazione riconobbe nel partito fascista, la sola fazione politica capace di difendere con una certa autorevolezza la classe indigente (6).

In questa e in altre fasi intimidatorie i «Fasci combattenti», si fecero spazio nel bel mezzo di una confusa politica giolittiana durante la crisi del dopoguerra, prendendo sempre più il sopravvento con sistemi violenti e brutali per raggiungere i loro scopi. Tanto è vero che, alcuni autorevoli storici, accusarono Giolitti di aver: «indebolito la sana resistenza della borghesia liberista e di aver provocato in questa un sentimento di sfiducia nel sistema democratico parlamentare», lasciando campo aperto alle forze reazionarie. Vedremo come in tutta la Marsica, il declino dei vecchi movimenti di sinistra (già divisi politicamente), permetterà ancor più la diffusione di «squadracce» composte di: figli giovani dei signorotti locali (vedi la famiglia del conte Resta di Avezzano, Ciro Cicchetti, Enrico Panfili e Marcellitti di Trasacco), di ex ufficiali di complemento e sottoproletari che si avvicinarono al fascismo con la speranza di riceverne favori, rimediare denaro o magari avere qualche posto fisso nelle amministrazioni comunali e provinciali. Inoltre, i Torlonia, sullo sfondo di eventi tumultuosi, tornarono prepotentemente a rinforzare il loro potere nel latifondo fucense: la direzione di Pio Berti allo zuccherificio completò il fosco quadro della situazione, facendo prevedere prossimi eccessi. In un contesto di tal genere, occorre evidenziare che prima di giungere a questa importante carica, il Berti era stato un noto sovversivo in Emilia Romagna (7).

Note

 

  1. Archivio Centrale dello Stato, Fondi del Ministero dell’Interno (direzione della Pubblica Sicurezza) dal 1919 al 1926, copie delle circolari inviate da Giolitti e dal sottosegretario Camillo Corradini, in G. De Rosa, Giolitti e il Fascismo in alcune sue lettere inedite. In appendice: Venti anni di politica nelle carte di Camillo Corradini, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1957, pp.41-79.
  2. Il Risorgimento d’Abruzzo, Bisettimanale di Battaglia, Anno III, Num.113, Roma, 19 maggio 1921; Id, Num.125, Roma, 30 Giugno 1921.
  3. Ivi, Anno III, Num.105, Roma, 24 Aprile 1921, p.2.
  4. Ivi, Anno III, Num.111, Roma, 13 Maggio 1921, p. 4.
  5. Ivi, Anno III, Num.115, Roma, 26 Maggio 1921, p.2.
  6. Ivi, Anno III, Num. 123, Roma, 23 Giugno 1921. Come sempre, per altre notizie inedite, si veda: Il Risorgimento d’Abruzzo (numeri, 134,135,136, luglio-agosto 1921), zeppo di informazioni riguardanti tutto quel fermento ideologico che rese possibile l’espandersi del fascismo ma anche degli errori commessi dai partiti antagonisti che ne favorirono il gioco. 
  7. E.Saracini, I crepuscoli della polizia. Compendio storico della genesi e delle vicende dell’amministrazione di pubblica sicurezza, Siem, Napoli 1922, pp.245 sgg.

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