Prendo spunto da un articolo “culto dei morti in Abruzzo”, per riproporre alcune osservazioni che vanno oltre la storia di un recente passato, parliamo di archeologia.
Nella descrizione del culto dei morti in Abruzzo, si riporta tutto a determinate pratiche religiose derivanti dalla cultura celtica. Qui, nasce la mia disquisizione per affermare che il rito prospettato come appartenente alla cultura celtica, sembra invece derivare da molto più lontano, affondando le radici nel periodo italico, che coinvolgeva tutte le popolazioni dell’italia centro meridionale e forse anche di più.
Infatti a conferma della mia tesi, riporto il rito della “parentalia”. Rito appartenuto anche ai romani, ma soprattutto nei popoli italici aveva la sua maggiore esplosione.
E vero; fino a pochissimi anni fa, nella zona Peligna ancora venivano svolti dei banchetti nei cimiteri per onorare i propri morti, per pranzare insieme a loro, ma questo non significa secondo il mio parere, che il rito delle feste dei morti derivi dal rito di Samhain.
Infatti a confortare la mia tesi ci sono prove archeologiche che testimoniano come il culto dei morti, espletato in questo modo, appartenga ad un passato molto lontano. Appartiene ai riti funebri della Parentalia. Un esempio inequivocabile lo abbiamo ad Aielli con le tombe rupestri (I sec. a.c.).
Intorno ad esse, venivano svolte conviviali insieme ai defunti. Addirittura sopra una di queste tombe, quella denominata delle “cannelle”, esiste una vasca con annessa cannella dove fuoriuscivano i liquidi, con sedili e sporgenze da permettere ai parenti di rimanere nel luogo dove c’era il defunto.
Nelle altre tombe, veniva praticato lo stesso culto, culto che portava i parenti a riunirsi presso la tomba del defunto. In quei giorni il sottile limite che separa il giorno dalla notte, la vita dalla morte in vista dell’inverno, veniva accolto in modo scaramantico onorando i propri defunti per lenire i patimenti ed assicurarsi un intervento benevolo.
I festeggiamenti peligni nel cimitero, i festeggiamenti Marsi nelle tombe rupestri, altro non fanno che confermare la volontà, e la necessità degli uomini di festeggiare gli spiriti dei loro antenati per lenire le loro sofferenze. Questi riti volevano propiziare la fertilità del suolo, del raccolto, e del buon andamento della vita agricola.
Durante la notte fra il 1 ed il 2 Novembre era abitudine non sparecchiare la tavola, lasciando viveri ed un pò di vino. Essa era considerata la notte del ritorno, la notte in cui gli spiriti tornavano e giravano anche nelle case dei propri cari. Queste usanze sono presenti in tutto il meridione, con delle varianti abbastanza significative. Ad esempio in Sicilia dopo il calar del sole non si può sparecchiare buttando fuori le briciole o il resto della cena, perchè gli spiriti se vengono nella casa non trovando nulla si indignano.
Il contrario avveniva da noi in Abruzzo: non bisognava lasciare rimanenze di cibo negli altri giorni normali, diversi da ogni santi, perchè si sarebbero attirati gli spiriti facendoli innervosire.
Ecco che quindi Halloween ha delle somiglianze molto marcate con i nostri riti funebri, o meglio con il culto dei morti, somiglianze poi occupate dalla chiesa cattolica variandone il culto e dando una identità diversa, ma con lo stesso scopo, quello di onorare i defunti.