di Antonella Amendola
Giulio Spallone se n’è andato a 94 anni con quella fierezza di combattente per la libertà che era il tratto distintivo della sua personalità. «Fino all’ultimo», ci dice, commossa, la moglie Giuseppina, «voleva sentire le note di Bella ciao impresse sul telefonino e nella sua Lecce nei Marsi tutto il popolo l’ha salutato intonando la canzone dei partigiani». Giulio, che abbiamo apprezzato per lunghi anni alla presidenza dell’Anppia come convinto assertore di una lungimirante politica di raccordo di tutte le associazioni della memoria, era uno dei cinque fratelli Spallone, una leggenda dell’Abruzzo democratico. «Lui era quello che portava i libri proibiti da Roma, ci apriva nuovi orizzonti», ricorda il fratello Dario. «Quando siamo entrati nella cospirazione per motivi di prudenza ogni fratello ignorava che cosa facessero gli altri». Giulio, Mario, Dario, Ascanio e Ilio sono il frutto di un matrimonio ben assortito tra un maestro elementare, Alfredo, e una piccola proprietaria terriera, Gina, una donna temperamentosa che ebbe molta influenza sul destino dei figli. «Nostro padre», ricorda ancora Dario, «la domenica vestiva la divisa della Milizia volontaria sicurezza nazionale, non per adesione ideale al fascismo, ma perché da educatore doveva lealtà allo Stato. Quando Giulio fu arrestato nostra madre gli disse: “Se ti vesti ancora da buffone ti taglio la testa”. Cominciò per papà una trasformazione totale. Prestò più attenzione ai discorsi di noi figli, già tutti comunisti. Si preoccupava di fare economia in famiglia in modo che a Giulio in carcere arrivassero pacchi sufficientemente sostanziosi da poter sfamare altri compagni di detenzione».
Giulio con i suoi fratelli era cresciuto in una famiglia della piccola borghesia dove il primo imperativo era lo studio. Aveva scelto di iscriversi a Fisica e Matematica, facoltà che gli sembrava poco fascistizzata, diversamente dagli altri fratelli tutti medici. All’impegno politico era stato sollecitato osservando la drammatica realtà che circondava la piccola oasi di civiltà intellettuale della famiglia: nel Fucino il fascismo era il braccio armato dei Torlonia che portavano avanti un regime feudale fatto di soperchierie e di sfruttamento abietto della mano d’opera. «Per farsi un’idea», aggiunge Dario, «basti ricordare che vigeva ancora lo ius primae noctis. Proprio così, c’era l’abuso sessuale dei padroni. È chiaro che ragazzi svegli e onesti, come eravamo noi, non potevano che scegliere una strada. Giulio pagò per tutti. Fu arrestato nel ’39 e condannato dal Tribunale speciale a 17 anni di carcere. Mia madre e mio padre lo andavano a trovare nel penitenziario di Civitavecchia, sobbarcandosi lunghissimi, difficili spostamenti e quando lo trasferirono a Teramo un nostro zio paterno, Marco Spallone, fedele al Duce, intervenne, aiutandoci. Quando il treno si fermò ad Avezzano noi tutti salimmo per riabbracciare Giulio che era rapato a zero e vestiva una casacca a strisce contrassegnata col numero 6911».
Giulio Spallone cadde nella rete dei fascisti insieme a compagni di Avezzano e di Roma, intellettuali e semplici lavoratori. Così il Tribunale speciale riassume la vicenda: «Risulta dalla sentenza di rinvio a giudizio che verso la fine del 1939 la Questura di Roma aveva notizia che alcuni giovani intellettuali residenti in Avezzano svolgevano attività comunista, mantenendo in Roma contatti ai fini di collegamento e per propagandare le loro ideologie. Disposte accurate indagini e servizi di osservazione, si giungeva all’identificazione di due degli individui segnalati nelle persone dello studente in matematica, residente in Avezzano, Spallone Giulio e del dottore in giurisprudenza Amiconi Ferdinando, incaricato di storia e filosofia presso il liceo di quella città. Da ulteriori accertamenti si poté stabilire che costoro avevano in Roma contatto con Amendola Pietro, dottore in giurisprudenza, col violinista Giacchetti Pietro e col dottore in matematica Lombardo Radice Lucio, assistente presso la Facoltà di Matematica dell’Università di Roma».
Liberato nel luglio del ’43, alla caduta di Mussolini, Giulio Spallone torna a Lecce nei Marsi e con l’8 settembre entra nella lotta partigiana come commissario politico della formazione partigiana di Popoli. Dopo la liberazione lo ritroviamo a Roma, segretario del Movimento Giovanile. Poi inizia il suo impegno politico sul territorio. Deputato dal ’48 per quattro legislature Spallone è stato un innovatore, proiettato sempre nella costruzione di un domani a misura d’uomo e ha dato il meglio intuendo le potenzialità dello sviluppo del movimento cooperativo. Si recò in Svezia a studiare come il vecchio associazionismo poteva affrontare le sfide dei nuovi mercati e come presidente dell’Associazione nazionale delle cooperative e dell’Eurocoop ha inaugurato una stagione foriera di successi tutta al servizio del consumatore. Noi amici dell’Anppia lo piangiamo e lo salutiamo con le parole del Presidente della Repubblica.
«Apprendo con commozione la triste notizia della scomparsa di Giulio Spallone», scrive Giorgio Napolitano. «Si oppose giovanissimo al regime fascista e combatté in prima fila nel movimento partigiano dell’Abruzzo. Fu a lungo dirigente politico e parlamentare, che ebbi modo di conoscere e di stimare per la serietà e coerenza del suo impegno. Ai familiari, all’Anppia, che degnamente presiedette e a quanti lo hanno conosciuto invio le mie più sentite condoglianze».
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