Quando l’Acqua Santa Croce arrivò in Arabia Saudita e cambiò nome per non urtare la sensibilità dei musulmani

Canistro – È un assolato pomeriggio di giugno, l’estate è appena iniziata, guardo il complesso industriale dello stabilimento della Santa Croce, è deserto, un po’ tetro. Ti trasmette una certa inquietudine questo gigante silenzioso di cemento, in mezzo ai boschi della Valle Roveto. Da una parte il Liri che scorre via rumoroso, dall’altra la preziosa acqua che sgorga dalla terra e finisce nel fiume.

Hai l’irrefrenabile sensazione che prima o poi, tutto ciò, possa diventare archeologia industriale, se non fosse per il Tenente Drogo di guardia alla Fortezza.  E già, perché sembra proprio la Fortezza del  Il deserto dei tartari, quella del celebre libro di Dino Buzzati.

Scambio due parole col Tenente Drogo. Dice che il Generale ha fatto smontare l’artiglieria, tanto qui ormai non serviva più. Da cinque anni non si vede nessuno. Così lui, il comandante,  se l’è portata giù a Isernia, dove si combatte col nemico, sul mercato. Intanto l’attesa continua, di tanto in tanto lo sguardo va oltre la cancellata, verso l’orizzonte, sperando ci sia qualche novità.

Dipende tutto dal RUP. Ormai in questo gioco di specchi non si capisce più chi difende cosa, ne chi sia il vero nemico. Il tempo di sicuro, è un galantuomo, in questa assurda guerra dell’acqua.

Le cronache dicono che nel 2012 la Santa Croce avesse un’esposizione debitoria importante nei confronti del comune. IMU, ICI, TARI e compagnia bella. Certe realtà, certi comuni, a volte, vengono letteralmente messi in mezzo al balletto delle transazioni con soggetti economici importanti, che attraverso il contenzioso spuntano forti sconti sulle transazioni. I comuni accettano obtorto collo pur di incassare qualcosa invece di niente.

La guerra dell’acqua a Canistro è una sequela di ricorsi e controricorsi alla giustizia. Questo accade perché nelle maglie delle commissioni tributarie ci sono gli spazi giuridici che lo consentono. I piccoli comuni tentano di recuperare qualcosa, ma anche di tutelarsi, essendo ogni volta esposti al rischio di dissesto e alla  paventata possibilità che gli amministratori, vengano chiamati a risponderne.

Oggi la nuova amministrazione sta riscuotendo i crediti vantati nei confronti della Santa Croce. Pare che in passato, altri amministratori si facessero anticipare da Equitalia le poste dei crediti vantati sull’azienda, ma nel 2011, il comune fu costretto a restituire le somme perché nemmeno Equitalia riusciva a riscuotere.

La vertenza Santa Croce è lunghissima. Il quadro sulla vicenda, per quanto esaustivo, cambia a seconda di chi lo racconta, e il rischio di trarne fuori un resoconto parziale è sempre in agguato. Forse gli unici che possono dire realmente come sono andate le cose, sono i dipendenti. Erano più di 80 nel 2007, poi a dicembre di quell’anno, la proprietà cambiò. Degli oltre 80, una quindicina presero altre strade, una decina usufruì del prepensionamento e gli altri furono licenziati.

Oggi solo 4 persone lavorano con la Santa Croce. Quelli licenziati dovrebbero essere riassorbiti non appena si saprà a chi verrà affidata la concessione della sorgente. Il bando di gara stilato dalla Regione Abruzzo prevede proprio la riassunzione delle persone che hanno dato la disponibilità a tornare nello stabilimento.

Nel 2015 il tavolo saltò perché l’azienda aggiudicataria della concessione, pare non fosse in regola con tutti i requisiti richiesti, inoltre venne fuori che in Regione, fosse stato stipulato un accordo per il quale la Santa Croce, a fronte dell’affidamento per 10/15 anni della concessione, avrebbe riassorbito solo una quindicina di persone.

Quando l’amministrazione venne a conoscenza dell’accordo convocò un consiglio comunale straordinario. L’azienda invece schierò i suoi avvocati e dallo scontro scaturì il ricorso che il comune vinse. Fra le altre osservazioni, il comune oppose anche quella sul deflusso minimo vitale della sorgente, messo seriamente a rischio, secondo il comune.

Poi ci fu un nuovo bando che vide il coinvolgimento della Norda, ma anche quello saltò, e così si arrivò a quello odierno, dal quale scaturirà l’assegnatario della concessione. Chiunque sarà, la priorità dichiarata da tutti, è riuscire a riportare al lavoro i dipendenti.

In realtà molti speravano che se il bando l’avesse vinto qualcun altro, al posto dell’attuale proprietario dello stabilimento, quest’ultimo avrebbe potuto venderselo, ma così non è stato, e certamente non si può mettere una proprietà privata dentro un bando. Per quello, nella gara pubblica, era prevista un’apposita area per un nuovo insediamento produttivo.

La cosa sorprendente è scoprire che a fine 2006 lo stabilimento produceva 350 milioni di bottiglie mentre oggi arriva a soli 60/70 milioni. Eppure la portata della sorgente è sempre quella. Tale ridimensionamento potrebbe non essere una scelta, ma una necessità.

Oggi la grande distribuzione fa valere il proprio potere contrattuale con tempi di pagamento lunghissimi. Qualsiasi azienda, per far fronte a queste tempistiche, dev’essere finanziariamente ben strutturata.  In caso contrario, è costretta a ridimensionare il suo mercato rivolgendosi a una platea di clienti minori che pagano in tempi più stretti, consentendo maggiori flussi di cassa.

La cessione della  Santa Croce avvenne proprio perché, secondo la precedente proprietà, non garantiva adeguati margini rispetto alle ingenti somme movimentate.  I costi per il packaging pesavano moltissimo sul conto economico e la grande distribuzione dilazionava esageratamente i pagamenti.

A questo si aggiunga che per entrare nella distribuzione di colossi come Pam, Auchan, Leclerc, ecc… è necessario pagare una fee d’ingresso, un leasting. Una specie di biglietto per salire a bordo. Per entrare con Auchan, la Santa Croce pagò un milione e mezzo di euro. Infatti fu proprio Auchan il primo gruppo della grande distribuzione a essere abbandonato, quando cambiò la proprietà.

Anche sulle royalties si è discusso molto, ma la questione è molto semplice. Le royalties sono una sorta di clausola di salvaguardia che un piccolo comune cerca di far valere sul piano contrattuale con l’azienda che opera sul suo territorio sfruttando una concessione. Le trattative sulle royalties servono per concordare assunzioni a beneficio del territorio e in tal senso vengono riviste al ribasso, esattamente come fece il comune di Canistro.

La Santa Croce, nel frattempo, era diventata troppo grande per continuare a lavorare con i piccoli. Quando produci 350 milioni di bottiglie, non puoi più lavorare con i piccoli supermercati, devi virare per forza sulla grande distribuzione, altrimenti rischi di morire di crescita, è la dura legge del mercato, la nuova proprietà però, decise di ridimensionare.

Inoltre il contenzioso col fisco, di cui le cronache hanno ampiamente parlato negli scorsi anni, avrebbe limitato la nuova governance in maniera decisiva rispetto al sistema bancario, e quindi, dopo il ridimensionamento industriale, non potevano che arrivare i tagli del personale. Gli ex amministratori del comune sostengono che se si fossero voluti tenere almeno 30/35 dipendenti, sui circa sessanta rimasti, una soluzione si sarebbe trovata, ma si sono seguite altre strade.

«Insomma, non ci si può comprare la Ferrari delle acque oligominerali, così come all’epoca venne descritta la Santa Croce, e poi tenerla in garage perché consuma troppo.» Questa l’obiezione di chi se ne era andato. Quando l’azienda fu rilevata, aveva ancora due poli produttivi. In quello del Gotardo si sarebbe dovuto sviluppare un progetto per la produzione di sciroppi.

In effetti il piano industriale, prima della vendita, era di implementare l’acqua con altri tipi di bibite, fra cui la birra, dove si sarebbe potuto estrarre maggior  valore. Inoltre era stato progettato uno scalo ferroviario all’interno del nuovo stabilimento che avrebbe consentito un trasporto più agevole dell’acqua, che avrebbe viaggiato all’interno dei container, su carrozze ferroviarie piuttosto che su gomma. C’erano i contributi già pronti. Ma con l’ingresso della nuova proprietà il piano fu legittimamente rivisto.

Ma perché mai un imprenditore deciderebbe di fare un’operazione di questo genere sapendo in partenza di voler ridimensionare il mercato che quella azienda ha sviluppato? Non si capisce. Di certo a Canistro si presentarono tutti i grandi gruppi, dalla Nestlé alla Coca Cola, ma senza alcun seguito. L’operazione da un punto di vista squisitamente imprenditoriale, sembrerebbe illogica sia per chi ha venduto, sia per chi ha comprato. Normalmente, un imprenditore che vende punta a massimizzare il guadagno mentre chi compra, lo fa per crescere, in questo caso sembrerebbe non essere accaduta nessuna delle due cose.

Comunque oggi, tutti si augurano che vinca il migliore, chiunque esso sia. La speranza è che restituisca dignità ai lavoratori, perché prima di essere lavoratori sono persone, padri di famiglia. Il bando in effetti,  prevede il reimpiego di coloro che hanno perso il lavoro, nei tempi e nei modi stabiliti in sede di trattativa sindacale.

Dopo l’operazione di compravendita della Santa Croce, una delle prime decisioni adottate dalla nuova proprietà fu quella di ridimensionare gli uffici amministrativi perché l’azienda acquirente aveva la sua struttura a Monteroduni in provincia di Isernia, dov’è la sede della Castellina. Secondo le loro intenzioni sarebbero bastati un paio di impiegati per la gestione delle pratiche amministrative inerenti la bollettazione delle merci in uscita dallo stabilimento.

A Canistro però, c’era un apparato amministrativo importante. C’era un ufficio marketing e uno per l’export perché la Santa Croce esportava in tutto il mondo. Da Città del Capo a Tokio, l’acqua Santa Croce finiva sulle tavole del Sud Africa e in Giappone, in Canada e per mezza Europa.  Su 9 formati di bottiglia si realizzavano 48 diverse etichette, più di quelle che realizza la cantina Tollo.

Etichetta bilingue e trilingue, addirittura l’etichetta in arabo. Quando l’acqua arrivò in Arabia Saudita fu messa in piedi un’efficace azione di marketing che portò l’azienda a cambiare il nome all’acqua per entrare in quel mercato. Non ci si sarebbe potuti presentare col marchio Santa Croce in un paese musulmano, e così fu adottato il marchio, Deliziosa, registrato a Canistro, senza simboli cristiani.

Ai molti che hanno vissuto quegli anni, viene ancora la pelle d’oca a ricordarlo. Erano anni in cui non ci si tirava indietro nemmeno se c’era da caricare interi containers a mano, perché l’acqua di Canistro, la volevano anche sulle navi di Costa Crociere.

Tutto era cominciato dall’intuizione di due fratelli, i fratelli Francesco e Vincenzo Coco, che tornati da Roma, dove avevano fatto fortuna nell’edilizia, decisero di mettersi a imbottigliare acqua. Ciò che resta di quei tempi, sono i ricordi di chi ha vissuto quell’epopea, e una piccola azienda immersa nel verde della Valle Roveto, dove ancora oggi, sgorga come tanti anni fa, una delle sorgenti  d’acqua, più rinomate al mondo.

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