Avezzano – L’episodio ha lasciato sbigottiti non solo i presenti ma anche coloro che, attraverso i social, hanno letto le parole sconfortate di don Claide Berardi. Mentre il sacerdote stava celebrando la messa nella Cattedrale di Avezzano, un bambino di circa dieci anni è entrato in chiesa e ha urlato a piena voce una bestemmia. “Era troppo piccolo per stare in piazza; forse un genitore o comunque un adulto, dopo averlo accompagnato, prendeva il meritato riposo sulle panchine” scrive il sacerdote in un doloroso e amareggiato post sul proprio profilo Facebook. Le riflessioni che don Claide compie a margine di un avvenimento così assurdo sono quelle che, probabilmente, dovremmo compiere tutti, genitori e non, insegnanti e non, adulti e non. Un bambino che bestemmia non sta facendo altro che emulare un adulto che bestemmia, questo è scontato.
I dettami educativi, evidentemente, stanno scontando un degrado e un abbruttimento che, forse, non siamo capaci di riconoscere né, tanto meno, di ammettere onestamente a noi stessi. Don Claide, tra le sue considerazioni, compie un accostamento che pare azzardato ma che, in realtà, è molto più profondo di quanto si riesca a percepire a primo impatto: “Sempre ieri ho letto la notizia, spero non sia vera, dell’orrore provato dagli ormai tristemente noti fratelli Bianchi, quelli che hanno pestato e ucciso quel povero ragazzo, per la prospettiva di dover bere in carcere acqua dal rubinetto. Sarà una forzatura, ma nella mia mente i due fatti mi sono apparsi collegati“.
La connessione tra il gesto di un bambino che entra in chiesa e urla una bestemmia per poi scappare via e la richiesta di due presunti assassini che vorrebbero acqua minerale in bottiglia e non acqua del rubinetto è riconducibile a un’unica radice: “il fallimento di un modello educativo che mostra sempre più i suoi limiti“, ammette don Claide. Un fallimento che andrebbe ricercato nelle responsabilità umane, educative, genitoriali di ognuno. Nella semplice, onesta e limpida ammissione di essere inadeguati, imperfetti, fallibili, frangibili.
“Educatori che scaricano ogni responsabilità dietro l’ipocrisia indulgente del ‘sono ragazzi!’. Una generazione resa sempre più inconsapevole delle conseguenze delle proprie azioni, incapace di vedere la linea che divide il bene dal male“. Così chiude la sua riflessione don Claide. La distinzione tra bene e male è ciò che consideriamo, in senso stretto, la morale. Senza retorica e senza sprofondare nei soliti luoghi comuni: la morale è quella serie di principi che consente a un individuo di capire cosa si può fare cosa non si può fare, è il sostegno imprescindibile, intellettivo, culturale, civile e spirituale, che rende un individuo degno di essere considerato umano e di poter vivere serenamente e correttamente all’interno di una società complessa come la nostra.
Il fallimento degli adulti, quello di cui scrive don Claide, è esattamente qui, nell’evidente incapacità di saper trasmettere e spiegare (anche con l’esempio) a un bambino, o ai giovani, il valore del male e il valore del bene. In una parola, e senza generalizzare, stiamo tirando su una generazione costituita spesso da soggetti privi del senso di responsabilità e del principio di rispetto, sotto molti punti di vista, e quanto avvenuto in Cattedrale, durante la messa, non è che un “assaggio” di ciò che lo stesso don Claide ha messo in luce.