Tagliacozzo – “Sono stupito dal clamore sollevato dalla notizia di un dipinto di Pietro Testa nella chiesa di S. Erasmo. È un’ipotesi improbabile”, così esordisce il prof. Daniele Di Cola, storico dell’arte, ricercatore qualificato, docente alla Sapienza, autore di libri e saggi scientifici, legato per origini al paese di San Donato di Tagliacozzo dove il controverso dipinto è conservato.
La tela, un Martirio di Sant’Erasmo, patrono della piccola frazione di Tagliacozzo, collocata sull’altare maggiore della chiesa del paese, è stata attribuita alcuni giorni fa al pittore seicentesco Pietro Testa dallo studioso d’arte Mario Mei, notizia che in poco tempo si è diffusa sui diversi social e testate giornalistiche.
“L’attribuzione si baserebbe sul confronto con un’incisione realizzata da Testa nel 1630. Il rapporto tra il dipinto e l’incisione d’identico soggetto non era un mistero. Nel 2014 ho collaborato in prima persona al catalogo di Pietro Testa a cura di Giulia Fusconi e Angiola Canevari dove abbiamo incluso il dipinto di San Donato tra le copie tratte da Testa, indicazione poi ripresa più recentemente da altri specialisti. Avevo inoltre presentato il confronto in una visita guidata (pubblica e gratuita) nel 2016 proprio nella chiesa di San Donato; quindi la filiazione era già stata notata ma senza grossa risonanza mediatica”.
Il prof. Di Cola chiarisce che il dipinto assomiglia all’incisione di Testa per il semplice fatto di esserne una derivazione realizzata però da un altro artista. Era infatti assai comune copiare o prendere a modello incisioni o opere celebri, come probabilmente fece anche l’anonimo pittore di S. Donato: “Abbiamo altri casi del genere nella chiesa di S.Donato come, per esempio, la Pietà (terzo altare a sinistra), che deriva da un’opera di Annibale Carracci. Quando feci notare il confronto nel 2016, alcuni partecipanti alla visita guidata – presi dall’entusiasmo – arrivarono a ipotizzare che fosse stato lo stesso Carracci ad aver realizzato l’opera di San Donato. È comune lasciarsi trasportare da questi raffronti e sperare nella scoperta di un qualche capolavoro dimenticato”.
“Il dipinto, pur essendo di buona qualità, avrebbe ben poco dello stile pittorico ‘tenebroso’ di Testa. A confronto con le opere autografe, la tela di San Donato è cromaticamente ‘più morbida e tonale’, secondo una tendenza più prossima alla pittura del Settecento: periodo al quale l’opera potrebbe essere ricondotta assieme a tutto l’altare. Si tratterebbe dunque di un dipinto assai successivo all’epoca di Pietro Testa. Sono rari i casi in cui il pittore in questione realizzò un dipinto e un’incisione a partire da uno stesso disegno.
Quando ciò avvenne, come nel caso del suo Venere e Adone, egli cercò sempre d’introdurre qualche differenza in grado di mettere in mostra la sua capacità inventiva”, continua il dottor Di Cola, portando alla luce tutte quelle che sono le discrepanze con l’affermazione del signor Mei.
“Ma, fatto ancor più rilevante, l’incisione, a causa del suo procedimento tecnico, è sempre in controparte rispetto al disegno. Se il dipinto di San Donato derivasse dallo stesso disegno usato per l’incisione o l’incisione dal dipinto, uno dei due dovrebbe presentarsi con destra e sinistra rovesciate. Quello che per molti potrebbe sembrare una prova (“Ma sono uguali!”) conferma che l’esecutore doveva essere un copista che aveva sotto gli occhi l’incisione di Testa. Quest’ultimo non avrebbe avuto invece ragioni per copiare a posteriori una sua stessa incisione per farne un dipinto”.
“Il pittore di San Donato aveva comunque un suo gusto e ciò lo si nota dalla distanza che a volte prende dall’incisione di Testa: è questo il caso dei due angioletti volanti, dove la posizione delle gambe di quello di sinistra è più aggraziata, mentre le anatomie di entrambi (si guardi le teste) sono molto più proporzionate rispetto all’incisione originale”.
Attualmente non ci sono dati certi sull’opera e anche i documenti conservati presso l’Archivio diocesano dei Marsi ad Avezzano non permettono di chiarire il nome dell’autore di questo controverso dipinto: “Testa non sembra comunque essersi mai recato da queste parti e le fonti non parlano di un’opera inviata nel territorio di Tagliacozzo. Bisogna spiegare allora come l’opera arrivò a San Donato, se fu commissionata e nel caso da chi. Solo così si potrebbe avvalorare un’attribuzione di Testa al dipinto esposto nella chiesa di San Donato, ipotesi attualmente ingiustificata. Affermare, come fa Mei, che Testa potrebbe aver “trovato un ambiente più favorevole alla sua indole saturnina” a San Donato è suggestivo ma totalmente astorico.
È un’idea romantica che non tiene però conto del reale contesto del borgo e dei rapporti intrattenuti dall’artista”.
“Il sig. Mei ha sicuramente richiamato l’attenzione su una chiesa di grande interesse, fin troppo spesso dimenticata. Ma attribuire il dipinto a Testa non ci aiuta a comprendere veramente la storia della chiesa di Sant’Erasmo e della sua comunità. L’artista che realizzò il dipinto s’ispirò sicuramente all’incisione di Testa affinché i fedeli potessero avere sotto i loro occhi un’immagine riconoscibile.
L’incisione di Testa, che circolava ormai da decenni, doveva essere apparsa all’anonimo pittore il perfetto modello da trasformare in una pala. Partendo da ciò, si possono comprendere meglio le dinamiche sociali che hanno prodotto l’opera”, conclude il professor Daniele Di Cola, considerazioni che non andranno a porre fine alla diatriba sul misterioso dipinto di Sant’Erasmo ma che certamente invitano a procedere con cautela quando si parla di arte.
Foto di Manuel Conti