Amarena non c’è più. Amarena, per tutti i marsicani e per tutti coloro che amano la natura, non era semplicemente un’orsa o una mamma orsa. Amarena, proprio come il suo figlio più famoso, Juan Carrito, era il simbolo di un mondo che non siamo più abituati a vedere o anche solo a immaginare. Per i suoi comportamenti anomali era stata definita, ragionevolmente, confidente e problematica. Eppure, dopo la morte di Juan Carrito, lo scorso gennaio, l’orsa aveva restituito a tutti la speranza che una vicinanza possibile tra il mondo selvatico e quello umano fosse fattibile. Seppur costellato di sbadataggini, confusioni e incomprensioni varie, soprattutto da parte nostra, questo legame sembrava esistere.
Abbiamo ammirato Amarena, solo pochi giorni fa, mentre si muoveva curiosa e attenta, come sempre, in mezzo a gruppetti di persone tra le stradine di un piccolo borgo marsicano. Ha atteso i suoi due ultimi cuccioli, li ha scortati fino alla stradina successiva e si è dileguata nel suo mondo che, però, per questioni storiche, è da tanti secoli anche il nostro mondo.
Amarena ci ha abituato a sorprese continue: apparizioni improvvise, nuovi cuccioli e camminate tra le case. Aveva scelto che il suo spazio vitale poteva essere anche a pochi metri da quei bipedi che l’hanno sempre osservata, filmata, fotografata e raccontata a sua insaputa. Poi ha trovato la morte. All’improvviso. Senza esitazioni: un uomo ha imbracciato un fucile e le ha sparato. Una morte violenta, inspiegabile e, forse, persino imperdonabile.
Un orso può spaventare, questo si può capire. Ma siamo comunque in tanti a non riuscire a comprendere la ferocia di un gesto irreversibile, di uno sparo che non lascia scampo, di un atto che è l’opposto estremo di migliaia di azioni volte a salvare l’orso bruno marsicano dall’estinzione. La fine di Juan Carrito ha commosso e inquietato tutti. La morte di sua madre è un ulteriore motivo di sconforto per chiunque capisca il valore ambientale, emotivo e umano dell’esistenza e della sopravvivenza di queste creature.
Anche per questo, alla fine, viene da chiedersi se sia effettivamente possibile creare un legame sano, pulito e leale tra l’uomo e l’animale selvatico. Possiamo davvero convivere? Siamo, noi umani, davvero all’altezza di gestire un rapporto tanto prezioso e complesso e delicato come quello che ci lega agli orsi? Potremo difenderli da noi? Dalle nostre paure, dai nostri scellerati egoismi, dalle nostre inettitudini?