Fra tutte le regioni d’Italia l’Abruzzo è certamente quella che conserva un’arte culinaria che si è tramandata dal suo passato quasi intatta, indipendentemente dalle dominazioni subite. Nelle sue ricette e nei prodotti caratteristici custodisce le tradizioni, i riti, i misteri e le magie della sua millenaria cultura. La ragione probabilmente è da ricercare nell’asperità delle catene montuose che da sempre separano la terra di Ovidio dal mondo circostante. Certo oggi, con le autostrade e il miglioramento di tutte le comunicazioni, l’isolamento millenario della regione è finito: ma le consuetudini, le memorie e la cultura degli abruzzesi sono ancora vive e riconoscibili nei piatti della sua cucina. Se ne vede traccia nei riti religiosi o laici dei borghi, nella sopravvivenza dei mille dialetti in uso, nella conservazione delle abitudini alimentari. Molte delle ricette derivano dalle esperienze trasmesse di madre in figlia, mentre la preparazione e la conservazione dei cibi restano fedeli alla tradizione. La cucina abruzzese dall’isolamento ha tratto sicuramente un beneficio che si riscontra nella genuinità degli ingredienti e di tutti i prodotti tipici.
In origine erano ingredienti poveri. Per molti secoli l’economia della regione ha permesso a fatica la sopravvivenza del suo popolo: né l’agricoltura e né la pastorizia davano benessere. Del resto il ceto sociale della popolazione abruzzese è stato per molti secoli modesto, sia a livello economico che culturale. L’abitudine antica del popolo d’Abruzzo di festeggiare le occasioni solenni con quegli interminabili pranzi che si chiamano PANARDE nacque dalla miseria: i contadini abruzzesi si premiavano, con quei pranzi, annullando mesi di digiuni a lungo protratti. Un pranzo di nozze rispettabile non poteva avere meno di venti portate, e ancora oggi se ne mantengono almeno sette; il pranzo tradizionale che si offriva all’ospite importante, poteva arrivare anche a trenta portate.
Le panarde si organizzano ormai solo per folclore. Rimane invece la grande tradizione di una serie di prodotti caratteristici che appartengono alla storia e alla cultura della regione che ha conquistato il gusto del mondo con i sapori piccanti e genuini: il peperoncino, per esempio, usato in tutte le ricette abruzzesi. Le ricette più famose della cucina d’Abruzzo sono tante ma elencarne qualcuna è di dovere. La Pizza con le sfrigole: una pizza bianca con impasto di massa, strutto, sale e appunto le “sfrigole”, ovvero le croccanti scaglie di grasso e tessuti connettivi che restavano nella padella quando un tempo si preparava lo strutto in casa dopo l’uccisione e la preparazione del maiale. Si cuoceva di solito nel fornetto della stufa a legna, fulcro dei tutte le cucine abruzzesi. Di seguito c’è una pastasciutta, ma non una qualsiasi , la regina: I Maccheroni alla Chitarra. Naturalmente fatta in casa, che si prepara con un arnese chiamato chitarra. Il nome ha origine dal fatto che si tratta di un vero e proprio strumento a corde: un telaio rettangolare di legno di faggio forgiato da artigiani che vi tendono, alla distanza di un millimetro l’uno dall’altro, dei sottilissimi fili d’acciaio. L’impasto di uova e farina, lavorato lungamente, viene ridotto in sfoglie e che vengono una alla volta messe sulla chitarra. Passandovi sopra col matterello, i fili della chitarra tagliano la pasta a striscioline dalla tipica sezione quadrata che conservano l’antico nome di «maccheroni alla chitarra», con un sugo di pomodoro assai denso e reso robusto da pancetta o agnello, pecorino piccante grattugiato e dall’immancabile peperoncino.
Ancora i Tajulini : pasta da accompagnare ad esempio con zuppa di fagioli. E le Sagne e fagioli (fasciul’). Pasta fatta con acqua, sale e farina, dalla caratteristica forma a strisciolina, accompagnata da un sugo di pomodoro e fagioli molto umidi. La Polenta all’Abruzzese: con sugo di salsicce e pancetta. Rigorosamente rovesciata sulla spianatoia e livellata con un mestolo di legno, quindi condita con il sugo e abbondante pecorino grattugiato. La Lasagna: strati e strati di pasta all’uovo condita con sugo, carne macinata, parmigiano e mozzarella, cotta al forno dalla crosticina dorata in superficie.
Tra i piatti di carne, oltre alla porchetta, vanno almeno citate le semplici ricette dei pastori. Antiche, addirittura millenarie, si basano sui prodotti della pastorizia, che ha retto, con l’agricoltura, l’economia della regione fino a non moltissimi decenni fa. Ci sono gli Arrosticini: una cucina povera tradizionale abruzzese con carne di agnello, di pecora e di castrato, tagliata a tocchetti ed infilata in spiedini, la cui cottura avviene su di un braciere dalla caratteristica forma allungata definito canala (in dialetto furnacell) per la sua somiglianza ad un canale di gronda. E la Pecora alla Cottora: tipica di tutta l’area montana e in particolar modo della conca aquilana e della Marsica. E’ un’antica ricetta risalente ai tempi della transumanza quando, le pecore vecchie, azzoppate o morte nel lungo cammino dagli Abruzzi al Tavoliere delle Puglie, venivano di solito lasciate ai custodi del gregge. Per ammorbidire la dura carne di pecora si sottoponeva ad una lunghissima cottura, con gli aromi e le spezie trovate per strada, in un paiolo: la cottora o callara appunto, mentre a turno i pastori badavano al fuoco e schiumavano il sugo.
Molto apprezzati fra i prodotti offerti dalla terra d’Abruzzo sono quelli della pastorizia, soprattutto i formaggi: scamorze, caciocavalli, pecorini, ricotte. Il pasto abruzzese si chiude sempre con i dolci che sono spesso a base di mandorle e noci: i Cagionetti, calgionetti, caggiunitt’, caggionetti, caviciunette, Dolce natalizio simile ad un raviolo, con impasto di farina, olio e vino bianco. Il ripieno è composto da ceci, cacao, mosto cotto, cannella e bucce di arancio che viene fritto; il ripieno è composto da pasta di castagne, mandorle tritate, cioccolata fondente, buccia di limone, rum, miele, cannella, oppure composto da un impasto di marmellata di uva nera di Montepulciano, mandorle e noci tostate e macinate, cannella e cacao. I famosi Confetti di Sulmona, simbolo dolciario tipico della regione, in particolare della città di Sulmona. Di solito sono raggruppati in fiorellini: i confetti fanno da petali.
Il, o meglio La Croccante di mandorle. Si presenta come una tavoletta sottile, dura e croccante di colore bruno ambrato, realizzata con mandorle amalgamate con lo zucchero fuso e rappreso. Poi ci sono le Ferratelle: (o pizzella o cancella o neola) è un dolce tipico creato con pasta da biscotto cotto tramite una doppia piastra arroventata sul fuoco, che stringendo la pasta sopra e sotto, dà al dolce la forma caratteristica di cialda percorsa da nervature. Tra le varie varianti di disegno, la trama a rombi, o cancello, dà origine al nome ferratelle. Preferibilmente di forma rettangolare, ma alla festa di San Valentino vengono preparate anche a forma di cuore. In alcune province abruzzesi viene chiamato anche nuvola o neola. In alcuni casi questo dolce viene arrotolato come un cannolo con ripieno di marmellata, tradizionalmente d’uva, ma anche con crema pasticcera o cioccolata.
La variante con due cialde sovrapposte farcite prende il nome di coperchiola, dalla copertura della prima cialda con la seconda, il coperchio. Non meno apprezzati i Fiadoni tipici di Pasqua. Hanno la forma di un raviolo, la sfoglia esterna viene preparata con un impasto di uova, olio, vino bianco, farina, mentre il ripieno può variare, ma è a base di formaggio con prodotti a pasta dura come il Rigatino e Pecorino, uova e spezie diverse (noce moscata e/o pepe macinato, e nell’aquilano, anche lo zafferano). E ancora il Pan dell’Orso, il Pan Ducale, il Pan d’Amore, tutte varianti del famoso Parrozzo. Fatto con semolino o, in alternativa, la farina gialla o farina bianca con fecola, zucchero, mandorle tritate, essenza di mandorla amara, buccia di arancia o buccia di limone ed è ricoperto di cioccolato fondente. Il dolce è ottenuto impastando la farina gialla, con uova e mandorle tritate e la buccia di arancia o limone. Si versa l’impasto in uno stampo semisferico preferibilmente di alluminio e lo si cuoce nel forno. A cottura ultimata, quando il dolce è ormai freddo, lo si ricopre con il cioccolato fondente fuso.
Di seguito c’è il Torrone tenero al cioccolato aquilano, tenero al cioccolato è una varietà di torrone nocciolato morbido prodotto in città fin dall’inizio del XIX secolo e caratterizzato dalla presenza di cacao nell’impasto. Questa varietà di torrone è prodotto in forma di stecca ed e costituita da un impasto morbido, spugnoso, di colore marrone con nocciole tostate. Ciò che lo differenzia dal torrone classico di Cremona è la presenza nell’impasto, oltre ad albume d’uovo, miele e zucchero, anche del cacao e la consistenza molto morbida della pasta. Non meno prelibate sono le Zeppole. Ne esistono due varianti: sulla costa e nel teramano la zeppola è una specie di bignè con la crema, fritto o cotto al forno, con una piccola amarena al centro. All’Aquila invece la zeppola è una specie di ciambella lievitata, fritta e cosparsa di zucchero. Come per molte altre zone d’Italia, sono tipiche della festa di San Giuseppe (19 marzo). E ancora La Sfogliatella di Lama dei Peligni, che sono sfoglie ovali ripiene di marmellata d’uva di amarena e mosto cotto. E per finire, La Pizza di Pasqua dolce, un pane levitato al quale si possono aggiungere canditi e uvetta, centro della colazione di Pasqua, assieme alle uova sode ed ai primi salami della stagione.
L’antica tradizione gastronomica avezzanese, in principio, era legata al pescato del lago Fucino. Venivano cucinati i “piisci sott’aje coppe”, ovvero pesci di lago (tinche, carpe, trote, anguille) puliti e riempiti di foglie di salvia, cotti sotto la brace del camino, protetti da un coppo (tegola in cotto). Dopo il prosciugamento del lago, mancando la materia prima, la cucina avezzanese si è radicalmente trasformata, legandosi ai prodotti delle coltivazioni del Fucino e seguendo la tradizione culinaria del resto della regione.
Una menzione a parte merita il mosto cotto, bevanda servita calda dopo bollitura in una pentola di rame. Il mosto è ottenuto in genere da uva dei vitigni di Montepulciano. E il sanguinaccio, una specie di marmellata ottenuta con una piccola percentuale di sangue di maiale e tanta, tanta cioccolata ed altri ingredienti prelibati. Non ci sono dubbi che la storia dell’Abruzzo e della Marsica in particolare, sia passata per la tavola e sia giunta fino a noi portando sapori antichi e ricordi indelebili.
Non potrò scordare mai mia nonna che, con la santa pazienza,quando avevo ancora bisogno di salire su di una sedia per arrivare alla “spianatoia”, mi ha messo in mano un matterello e mi ha fatto tagliare i miei primi spaghetti alla chitarra o il sapore fragrante delle patate sotto il coppo e lo sfrigolio delle salsicce sullo spiedo del camino. Tempi andati che ritornano ogni qualvolta assaggiamo i nostri piatti tipici e che, in maniera diversa dai nostri avi, cerchiamo di trasmettere ai nostri figli per non perdere le nostre radici che, fortemente più di altre, passano attraverso il cibo.