Il nome Avezzano deriva forse dal latino “ Ad Vettianum”, stazione sulla via Claudia-Valeria in prossimità di un fondo della gens Vettia, piuttosto che da “Abetianum”, essendo la località fuori della zona dell’abete. Il toponimo Avezano è attestato chiaramente per la prima volta nell’anno 873. Appare, infatti, citato tra i possedimenti confermati dall’imperatore Ludovico II al monastero di Sant’Angelo di Barrea nella seconda metà del IX secolo come riporta Leone Marsicano nella “Chronica monasterii Casinensis”. Il nome ricompare senza dubbio in un diploma di Berengario II d’Ivrea del 953, in cui si riconferma il possesso del monastero di Sant’Angelo di Barregio, delle due chiese di San Salvatore e Santa Maria in Vico. Quest’ultima nominata anche sulla bolla di Clemente III, insieme alle chiese di San Bartolomeo e Sant’Andrea.
Altre tracce hanno evidenziato che Avezzano come vicus esisteva agli inizi del medioevo, mentre da una lapide scoperta in zona si evince chiaramente che nel basso medioevo, nel 1156, Avezzano era cinta di mura e che il signore della città nel 1181 fu Gentile di Palearia, conte di Manoppello. La città della provincia d’Aquila, è situata a 698 m. sul livello del mare, all’angolo Nordovest della conca già occupata dal lago Fucino. Le origini sono da ritrovarsi nella presenza di cacciatori nel Paleolitico superiore e dello stanziamento continuativo delle popolazioni, circa 18-14.000 anni fa lungo le rive orientali e meridionali del Fucino nel periodo italico, a cominciare dall’età del ferro, hanno stanziato i Marsi ,popolo di origine indoeuropea. Dal momento della costituzione il popolo è stato cantato e celebrato in tutte le epoche come uno dei progenitori e al contempo uno dei figli prediletti dell’Italia. Prima in confitto e poi alleati con Roma, in seguito alla guerra sociale hanno ottenuto la cittadinanza romana e che ha accelerato il processo della loro romanizzazione.
Il destino dei Marsi incrocia quello di Roma a cominciare dal 300 a.C., quando Tito Livio scrive di alcune schiere marse alleate con i Sanniti, impegnati a contrastare la spinta espansionistica di Roma. Di tutt’altro avviso, lo storico greco Diodoro Siculo che afferma che i Marsi furono, invece, alleati dei romani guidati dal console Q.Fabius Maximus Rullianus. Solo dopo la sconfitta degli Equi, si hanno notizie non contraddittorie: i Marsi, infatti, firmano un patto di alleanza con Roma. In seguito furono edificate le colonie romane di Alba Fucens (tra il 304 e il 303 a.C.) e di Carseoli (304 a.C.). Benché fedeli alleati di Roma il popolo fu escluso dai diritti di cittadinanza e dall’assegnazione dell’ager publicus, la guerra sociale, detta anche “guerra Italia” o “guerra Marsica”, fu inevitabile.
Ai Marsi, al termine della guerra, fu riconosciuta l’agognata cittadinanza che accelerò il processo di romanizzazione del popolo. Nei decenni successivi essi prenderanno parte alle sanguinose Guerre civili al fianco di Roma. Quando l’imperatore Augusto divise l’Italia in undici regioni furono assegnati alla Samnium Regio. Grazie ai guerrieri marsi, appoggiati in guerra solo da reparti di cavalleria latina, Roma conquistò definitivamente la Gallia Cisalpina e assoggettò alcune popolazioni indoeuropee. . Scarsa la sua importanza nel Medioevo. Per quasi tutto il medioevo le città principali ed amministrativamente rilevanti furono Albe, sostituita in modo definitivo nel suo ruolo egemone da Avezzano alla fine del cinquecento, Celano e Tagliacozzo, mentre al centro delle attività religiose, con la decadenza della chiesa di Santa Sabina in Marruvio, a capo della diocesi dei Marsi fu eletta Pescina. Con i Conti dei Marsi si verificherà una positiva evoluzione nei rapporti con la Chiesa: il clero insedierà stabilmente un Vescovo nel territorio, a capo della nascente Diocesi dei Marsi. Nel basso medioevo la vittoria di Carlo I d’Angiò, invece, determinò la distruzione di Albe. Gli abitanti del borgo parteggiarono in favore di Corradino. Negli stessi giorni e per gli analoghi motivi, Carlo, fece distruggere Pietraquaria, sul monte Salviano. Il borgo antico di Pietraquaria aveva tre chiese: S. Maria di Pietraquaria, San Pietro e San Giovanni. Gli abitanti furono costretti a scendere verso Avezzano che raddoppiò così il numero degli abitanti, arrivando a quota 1.200-1.400.
Qualche anno dopo la vittoria di Carlo D’Angiò su Corradino di Svevia la cittadina venne elevata a centro del contado che, tuttavia, continuò ad essere chiamato in modo inspiegabile “contea di Albe”. Agli inizi del 1300 terminò il processo aggregativo: in località Pantano, corrispondente al centro della città, fu elevata l’importante pieve alla quale fecero capo diversi villaggi e località: San Felice alle Grotte di Claudio nei pressi della grotta di Ciccio Felice; Castelluccio (o San Lorenzo), nelle adiacenze del monte Salviano; Arrio alle pendici del monte Aria; Cerrito (o San Leonardo) sulla via Consolare (la contemporanea via San Francesco); Vico (località in cui fu edificata nel XVI secolo la chiesa di Santa Maria di Vico), nei pressi del vecchio cimitero cittadino; Pescina (o San Nicola), contemporaneo quartiere di San Nicola; Perrate (o Parate) che corrisponde al contemporaneo quartiere di Scalzagallo; San Basilio nei piani Palentini; La Fonte o (San Salvatore), nella contemporanea località di Caruscino; Vicenne (o Sant’Andrea) nell’omonimo quartiere di Sant’Andrea, Gagliano (o San Sebastiano), località posta all’altezza all’incrocio fra via XX Settembre e via Garibaldi; Pennerina (o SS. Trinità) in cima alla località Le Mole; Scimino o (San Simeone), nel contemporaneo quartiere della Pulcina; Le Fratte (o San Paolo), intorno alla distrutta chiesa di Santa Maria di Loreto; San Callisto, oltre via Sant’Andrea e lungo strada Circonfucense, infine Casole (o Santa Maria della Casa), nella parte bassa di Caruscino La città fu feudo dei conti dei Marsi, dei Normanni e per un certo periodo degli Svevi. Nell’area di Pantano confluiranno gli abitanti di Penna, centro sviluppatosi ai bordi occidentali del lago Fucino durante le operazioni di costruzione del’emissario, costretti ad abbandonare la località a causa di una grave inondazione. Questi decisero quindi di stabilirsi nell’area della contemporanea Avezzano. Francesco I del Balzo, duca di Andria, nel 1371 saccheggiò e devastò la cittadina di Avezzano, in quanto i suoi abitanti parteggiarono chiaramente in favore di Filippo, principe diTaranto, genero e al contempo nemico del duca Francesco. Nel XV secolo le contee marsicane sono teatro delle lotte tra gli Orsini e i Colonna, potenti famiglie romane.
Fu feudo degli Orsini, che nel 1490 vi fecero costruire un magnifico castello. In seguito passò ai Colonna, e il vincitore di Lepanto, Marcantonio, abbellì il castello facendovi erigere nel 1573 una magnifica porta monumentale, a ricordo della vittoria. Nei secoli seguenti ebbe modesta importanza (circa 1100 ab. nel 1669, 2543 nel 1795) e aveva fisionomia di piccolo villaggio agricolo (produzione di grano, legumi, e soprattutto di vini assai pregiati e di mandorle); gli abitanti si occupavano peraltro anche della pesca nel Fucino. ); II 4 maggio 1811 verrà anche decretata l’istituzione del distretto di Avezzano, che diverrà il capoluogo della Marsica. Lo sviluppo moderno, per il quale Avezzano ha assunto fisionomia di città, è collegato al prosciugamento e alla bonifica del Fucino, all’apertura delle vie di comunicazione con l’Abruzzo e con il Lazio (carrozzabile per Sulmona 1873, per Tivoli 1881) e alla costruzione della ferrovia Roma-Sulmona (1888 dal 1902 una ferrovia secondaria la collega anche a Sora e al Napoletano.
Nel 1871 Avezzano aveva 5500 abitanti; nel 1881, 7380; nel 1901, 9442; nel 1911, 11.208; era il terzo centro della provincia di Aquila (dopo Aquila e Sulmona) avendo da tempo superato le vicine Celano e Pescina. Qui i movimenti carbonari saranno più che mai dinamici tanto che nel 1820 Ferdinando I si vide costretto a firmare la Costituzione (che riconosceva la provincia Marsia, in luogo all’Abruzzo ulteriore II), ritirata un anno dopo con la repressione dei moti carbonari. Il real decreto conteneva norme severissime per la repressione del brigantaggio nei territori continentali del Regno di Napoli. Vi furono lunghi anni di devastazioni, saccheggi e stragi di cui furono vittime, in queste terre, soprattutto, le popolazioni della Valle Roveto. I briganti reduci da Magliano de’ Marsi, da Avezzano o da Rocca di Mezzo furono al soldo di improvvisati generali borbonici. Furono le ultime giornate dell’ottobre 1860 per la Marsica le più terribili di quell’anno, carico di avvenimenti.
L’intera Marsica si divise tra proprietari liberali, contadini, braccianti e pastori ancora fedeli alla Chiesa e al Borbone. Mentre l’armata sardo-piemontese varcava il Tronto e i garibaldini combattevano sul Volturno, Avezzano veniva occupata dalle camicie rosse di Pateras e Fanelli (1.400 uomini), che il 6 ottobre 1860, però, furono sconfitti presso Civitella Roveto dalle truppe borboniche condotte dal colonnelloTeodoro Federico Klitsche de La Grange, dall’avvocato Giacomo Giorgi e dall’ex sergente borbonico Luigi Alonzi, detto Chiavone. Per rappresaglia, alcuni giorni dopo il paese di Tagliacozzo fu messo a ferro e fuoco da Pateras che, in “nome della libertà”, incendiò ben 36 abitazioni compreso il teatro civico, mentre la popolazione indignata scagliava addosso ai garibaldini tegole e olio bollente dalle finestre. Tuttavia, la città sede di sotto-intendenza venne occupata il 19 dello stesso mese. Lo stesso graduato borbonico venne accolto trionfalmente dagli avezzanesi ostili ai Savoia.
Il terremoto del 13 gennaio 1915, che ebbe in Avezzano il suo epicentro, si può dire che la rase al suolo; non una sola casa rimase in piedi; del magnifico e solidissimo castello Orsini non è restato che un moncone, anche le chiese andarono distrutte. Alcuni giovani avezzanesi ebbero salva la vita dal terremoto perché all’alba del 13 gennaio si trovarono in stazione in attesa del treno che li avrebbe condotti alla visita di leva militare. I contrari all’intervento militare dell’Italia interpretarono il terremoto di Avezzano come “un avviso salutare che la Provvidenza divina dà agli sconsigliati che vogliono la guerra”. Un’intera generazione di giovani che versò al terremoto un altissimo tributo venne così sottoposta ad un’ulteriore prova. Sfumata la possibilità di essere esonerati i giovani superstiti dovettero partecipare come soldati dell’esercito alla grande guerra. Molti di loro, oltre 2.000, persero la vita sul fronte, lungo l’Isonzo e sul Carso, si disse “per difendere l’onore e i ruderi”.
A causa del vuoto generazionale che si venne a creare il Governo Italiano decise di istituire un campo di lavoro per prigionieri austro-ungarici, romeni e delle forze armate degli imperi centrali ad Avezzano nel quartiere che poi prese il nome di “Concentramento”. Grazie anche al loro continuo lavoro in opere pubbliche la città faticosamente rinacque. Diverse le opere realizzate da questa comunità: la pineta a nord della città, il rimboschimento del monte Salviano, i servizi viari cittadini e vari edifici, tra cui la casa-comando in legno del campo di concentramento, situata alle spalle della contemporanea chiesa della Madonna del Passo. Fin dalla istituzione del campo di concentramento era presente in località “Chiusa Resta” (la contemporanea via Piana) anche il cimitero degli austro-ungarici deceduti durante la prigionia. A seguito dell’espansione edilizia della città oltre questa zona, nel 2007 si è proceduto alla riesumazione dei resti e con una solenne cerimonia alla restituzione delle spoglie alle autorità estere.
Durante la seconda guerra mondiale, la vicina Celano ebbe la ventura di essere dichiarata sede ospedaliera e, come tale, immune da bombardamenti e da azioni di guerra. Senz’altro fu una fortuna la presenza di una città bianca a pochi chilometri di distanza. Dopo l’otto settembre 1943, però, la frazione di Paterno risentì del fatto che nella vicina Massa d’Albe si trovava il Quartier Generale Tedesco per l’Italia del centro-Sud sotto la guida del generale Kesselring. Massa, per questo, fu soggetta a due poderosi bombardamenti aerei da parte degli alleati e fu quasi totalmente distrutta, causando la morte di 43 civili e di circa 200 soldati tedeschi.
Anche Paterno, alle porte di Avezzano, fu soggetta ad attacchi miranti a colpire i convogli militari e i depositi di bombe. Per far saltare in aria uno di questi ultimi che si trovava nei pressi della fontana di Pietragrossa, Paterno il 10 novembre 1943, subì un bombardamento violentissimo. Qualche tempo dopo, i monti sovrastanti accolsero diversi prigionieri alleati, fuggiti dal campo di concentramento di Avezzano. Durante il ventennio fascista tuttavia vi fu la risoluzione di problematiche ultradecennali che affliggevano il territorio della Marsica. Fu completata la bonifica del lago del Fucino per volontà di Mussolini dato che in alcuni appezzamenti il terreno era tornato ad essere acquitrinoso. Il duce voleva sfruttare al meglio le potenzialità agricole dell’altopiano abruzzese anche per lo sviluppo dell’area di Avezzano. Benito Mussolini visitò la città di Avezzano l’11 Agosto 1938 proveniente da Carsoli e dalla piana del Cavaliere dove assisté alla fase finale delle manovre che sanzionarono il passaggio dalla divisione trinaria a quella binaria, ovvero il passaggio da tre reggimenti di fanteria e uno di artiglieria a due di fanteria e uno di artiglieria potenziata.
Al centro degli interessi del vescovo dei Marsi, mons. Marcello Pio Bagnoli c’era la ricostruzione della cattedrale di Avezzano, distrutta dal terremoto del 1915. I lavori iniziati da tempo rimasero però sospesi per anni fin quando il vescovo ruppe gli indugi rivolgendosi direttamente al capo del governo fascista, in quel tempo in visita ad un campo di addestramento dei giovani fascisti non lontano da Avezzano. L’incontro avvenuto nel 1938 ad Avezzano tra Mussolini e il prelato, sortì effetti positivi. Furono rapidamente reperiti i fondi, moltiplicate le maestranze, messe in azione diverse ditte appaltatrici. Fu così che il vecchio progetto precedentemente bocciato dal Genio civile venne ripreso con la cattedrale già in fase di costruzione che poté essere ingrandita.
Nel 1942 alla presenza delle autorità e con il capo del governo in testa la nuova cattedrale dei Marsi venne consacrata. Scalfita dai bombardamenti aerei del 22 e 23 marzo 1944 la chiesa venne restaurata nell’immediato secondo dopoguerra. A causa della rappresaglie naziste e dei pesanti bombardamenti aerei effettuati a partire dalla metà di marzo del 1944 dai “Bomber group” della dodicesima e quindicesima forza aerea degli Stati Uniti ad Avezzano fu concessa la Medaglia d’argento al merito civile nel 1961. Appena ricostruita dalla devastazione del sisma la cittadina fu distrutta nuovamente al 70% circa da ben 19 bombardamenti. Appena caduto il fascismo in tutti i comuni della Marsica vi fu una naturale rivalsa da parte di coloro che ostili al regime avevano dovuto subire umiliazioni e persecuzioni.
La nuova città è stata ricostruita in gran parte su area diversa (non essendo possibile ricostruire sulle macerie), in contatto con la stazione ferroviaria, dalla quale invece prima del terremoto il centro distava oltre 1 km. Dal piazzale della stazione si dipartono infatti oggi le due maggiori arterie, larghe e rettilinee; una di esse fa capo a una vasta piazza (il nuovo centro, dove sorgono alcuni edifici pubblici, il monumento ai caduti di Ermenegildo Lupi e la cattedrale) e poi prosegue fino al municipio, che è a un dipresso al limite fra la città nuova e l’antica. A breve distanza è il palazzo Torlonia. Il giardino già annesso al palazzo è oggi un passeggio pubblico. Anche sull’area della vecchia Avezzano – rimosse le macerie – si ricostruì; la nuova città, si estende su una superficie assai maggiore dell’antica. L’investimento nelle strutture scolastiche ha prodotto importanti effetti, la città ospita la sede distaccata della facoltà di giurisprudenza dell’università degli Studi di Teramo e il polo formativo della facoltà di scienze infermieristiche e fisioterapia dell’università degli Studi dell’Aquila. Il comune di Avezzano si fregia del titolo di Medaglia d’argento al merito civile: «Sotto l’infuriare dei bombardamenti e delle rappresaglie nemiche, che causavano gravissime perdite umane e materiali, conserva intatta la sua fede nella libertà e nei destini della Patria.» — Avezzano, 1943-1945.