Patres conscripti, la formula latina con cui venivano indicati i senatori a Roma

Secondo la tradizione leggendaria i primi 100 senatori furono creati da Romolo, che li scelse tra i rappresentanti anziani (patres ’padri’) delle famiglie patrizie.  Ad essi vennero aggiunti (cfr. lat. con-scrib-ere ‘iscrivere, arrolare’), con l’arrivo dei Sabini a Roma, altri 100 membri di quella etnia e, successivamente, altrettanti rappresentanti della classe plebea.   Sicché l’espressione sarebbe da intendere, secondo alcuni, come patres (et) conscripti ‘senatori e aggiunti’; secondo altri quel conscripti varrebbe semplicemente ‘iscritti, arrolati’ con riferimento alla lista in cui venivano registrati i nomi di tutti i senatori.

Queste due motivazioni, specie l’ultima, mi sembrano pretestuose: perché mai, infatti, per designare i membri del più alto consesso consultivo come era il senato romano fin dalle origini, bisognava aggiungere a patres come una postilla che specificasse, con piglio ragionieresco, che i nomi dei senatori erano iscritti in una lista apposita?  Più realistica mi pare l’altra motivazione che distingueva tra patres (in antico appartenenti alle famiglie patrizie di Roma) e conscripti (tutti gli altri, di derivazione straniera o plebea, aggiunti successivamente), perché mi pare che, almeno all’origine, i primi avessero dei privilegi rispetto ai secondi e che, quindi, ci fosse una differenza originaria tra le due categorie. Ma, come cercherò di chiarire, le cose potrebbero essere andate molto diversamente. I due nomi, mantenutisi insieme a formare un’espressione unica cristallizzata (anche se non mancano attestazioni per ‘senatori’ dell’uno o dell’altro singolo componente dell’espressione), potevano essersi equivalsi in età preistorica ed aver indicato, in fasi diverse, sempre i ‘senatori’: il secondo nome si dimostrò molto utile quando, col passare del tempo e con l’accresciuta importanza politica acquisita dai plebei, ai vecchi patres conscripti se ne aggiunsero dei nuovi di estrazione plebea, appunto. Cosicchè il vecchio conscripti, prima doppione per significato rispetto a patres, come spiegherò, si prestò poi  ad indicare alla perfezione i nuovi arrivati, aggiunti ai precedenti, ai quali furono negati però dei privilegi riservati ai primi, privilegi ridotti a mere formalità col trascorrere del tempo.  Addirittura si può supporre che i conscripti fossero stati, sempre in epoca preistorica, i membri di assemblee consultive ristrette, in qualche modo affiancate ai concilia plebis ‘assemblee della plebe’, e poi confluite nel senato patrizio. In base a che cosa faccio una simile supposizione?

Per prima cosa credo ci sia stato un equivoco, anche per quanto riguarda il termine patres ‘senatori’.  Tutta la mia ricerca mi porta a pensare che i referenti di un termine, e quindi anche le cariche e le istituzioni, siano stati indicati in odo diretto dagli uomini che per primi le fondarono, sicchè il termine pater ‘padre’, in questo caso, non dovè essere adoperato come un’estensione  del significato di ‘patrizio’, che esso pure aveva, ma dovè indicare solo il ‘membro di un’assemblea’, indipendentemente dal fatto che questa fosse composta di patrizi e forse anche di età avanzata, donde il termine senatu(m) ‘senato’ dal lat. sen-e(m) ‘vecchio’. Ma vedremo che anche il lat. senat-u(m)  deve avere una spiegazione diversa da quella solita di superficie.  Si veda quanto dico a proposito della radice di padre nell’articolo I termini “matrimonio” e “patrimonio” [] del mio blog (giugno 2015) in cui essa presenta i significati di ‘congiungere, unire (sessualmente)’ che ben si adatterebbero a denotare il concetto di ‘riunione, assemblea’ o di ‘membro (di un’assemblea)’ che fanno al nostro caso e rendono accettabile la supposizione che il lat. patres abbia potuto avere anche il significato di ‘membri del senato, senatori’ in una fase preistorica non meglio identificabile.  Il gr. pátra ‘patria, stirpe, discendenza, razza’ che in dorico equivaleva ad attico phratría ‘fratria’, cioè associazione di famiglie (lat. gentes) è anch’esso sintomo del possibile significato assunto in questo caso dal lat. Patres, cioè quello di  ‘membri dell’assemblea’, senza riferimento al fatto che essi, nel contempo, erano anche capi delle famiglie patrizie e, probabilmente, di una certa età (è incerto se essa, agli inizi, fosse superiore a 46 o a oltre 60 anni).  Da queste condiderazioni deriva, a mio parere, che anche il lat. fratr-e(m) ‘fratello’ deve intendersi come ‘membro’ di un gruppo, quello costituito da tutti i fratelli, appunto.

I conscripti, stando ai significati del latino storico, sono effettivamente gli ‘iscritti, arruolati’, in genere in un gruppo, in un esercito, tanto è vero che il termine è arrivato fino a noi col significato di ‘soldato di leva appena arruolato’.  Ora, se ci fermiamo a questi dati di fatto, non riusciremo mai a scoprire altri possibili scorci di significato per la radice di lat. con-scrib-ere ‘iscrivere, arruolare’.  Eppure potremmo già riflettere che l’arruolarsi da parte di qualcuno in un esercito si configura più propriamente come un ‘aggregarsi’ o un ‘associarsi, accompagnarsi’ all’insieme costituito dall’esercito, piuttosto che come un essere iscritto nei ruoli dell’esercito, operazione che ufficialmente attesta, mediante la scrittura, l’avvenuta aggregazione e che, perciò, finì con lo spingere ai margini quest’ultima nozione, contenuta nel verbo, che pure era quella fondamentale.   Siccome poi è certo che le parole vengono da molto lontano e che nessuno può garantirci, come succede quasi sempre, che il verbo con-scrib-ere  sia nato apposta per indicare l’atto di iscrizione e non invece l’altro concetto di aggregazione, è prudente cercare qualche indizio che possa confermare l’ipotesi.  E infatti nel dialetto abruzzese si incontra la voce scrìp-elë ‘madrevite dl torchio’[1] che ci offre la possibilità di qualche proficua considerazione.  La radice SKRIP– è simile a quella del verbo lat. scrib-ĕre ‘scrivere’ la quale ha, in area indoeuropea, il valore di ‘incidere, grattare’, significato che a mio avviso presuppone anche quello di ‘premere, spingere’ che è alla base dell’altro di ‘aggregare, collegare, ecc.’ di cui si è già accennato a proposito del lat. con-scrib-ĕre ‘arruolare, iscrivere’.  I concetti di “vite” e “madrevite” rientrano in quelli di “unione, congiunzione, incastro, ecc.”[2].  Nei dialetti italiani ricorrono le voci scrof-a, scrof-ula, scrof-ella, scrof-ëlë col significato di ‘madrevite del torchio’. Queste voci hanno tutta l’aria di essere varianti della precedente scrìp-elë ‘madrevite del torchio’ e male fanno i linguisti a collegarle con il lat. scrof-a(m) ‘scrofa’, con la motivazione che la scrofa è la femmina del maiale come la madrevite è una vite femmina: metafora, dicono, di natura sessuale usata in diversi casi in cui un elemento maschio va ad inserirsi in un elemento femmina. Come se gli uomini preistorici non avessero già sviluppato quei concetti generici di “unione, congiunzione, incastro”, entro i quali si sarebbero sistemate le successive specializzazioni di vite e madre-vite.  Per il significato di ‘unione, congiunzione, ecc.’, anche dei termini madre (componente di madre-vite) e mamma, rimando all’articolo Matrimonio e patrimonio […] del mio blog (giugno 2015).  Ma non è escluso, naturalmente, che ci possano essere stati incroci e sovrapposizioni di concetti e di parole che hanno finito con l’intorbidare le acque.  Importante è, a mio parere, constatare e rendersi conto che il ventaglio dei significati che un termine poteva assumere nella fase primordiale del linguaggio era molto ampio, fino a includere significati addirittura contrastanti.

Anche l’ingl. screw ’vite’ (ted. Schraube ‘vite’, fr. écrou ‘madrevite’) viene messo erroneamente in rapporto col lat. scrof-a(m) ma il significato di ‘copulare’ che questa voce, usata come verbo, popolarmente assume in inglese, ci rafforza nella nostra idea che il significato di fondo della radice dovesse essere sempre quello di ‘unione, congiungimento’. In dialetti del teramano si incontra l’espressione fa’ hunë cuscrittë che significa ‘fare uno fesso’ o ‘prendere in giro, raggirare qlc.’, significato che coincide con quello del ted. schraub-en ‘avvitare’ ma anche ‘motteggiare, canzonare qlc.’ e anche con l’ingl. screw ‘ingannare, imbrogliare’.  Queste corrispondenze fanno supporre che la radice circolasse, almeno nell’area italo-germanica sin dalla preistoria e che avesse sviluppato diversi significati, come questi legati al ‘girare’ della vite.   Naturalmente non è affatto credibile la spiegazione che si dà dell’espressione citata del teramano, secondo cui essa trarrebbe origine dal fatto che ‘i coscritti, le reclute’ sono in genere prese in giro dai soldati ‘anziani’.   Ma quando arriverà il giorno in cui ogni linguista scarterà inesorabilmente come illusorio questo genere di spiegazioni in quanto esso cerca la verità sul suo significato non all’interno della parola stessa ma altrove?

Anche il termine lat. sen-at-u(m) ‘senato’ mal si digerisce se si intende come ‘assemblea di anziani’ partendo dal lat. sen-e(m). Anche in questo caso la definizione è piuttosto eccentrica, perché si basa su un aggettivo che non indica il referente nudo e crudo, cioè l’assembea!  E’ come se oggi noi volessimo indicarla con un termine simile a vecchi-ezza, vecchi-ume, vet-ustà, ecc.            Il termine non coglierebbe il centro del significato del referente, ma il suo margine.  Andrebbe a pennello, invece, porre alla base di senat-u(m) il sscr. sena ‘esercito’, un altro insieme.   Il lat. sena-cul-u(m) indicava inizialmente il luogo di riunione del senato, fuori della Curia Hostilia, successivamente la ‘sala di riunione’: è molto probabile che il valore d’origine  di questo termine fosse solo quello di ‘riunione’, non importa di chi o di che cosa.  Esiste in greco anche la glossa di Esichio bai-sḗn-os, bai-sḗn-ēs col significato di ‘esercito’[3].  Secondo un principio della mia linguistica il primo elemento bai-, di origine dubbia, dovrebbe comunque avere lo stesso significato del secondo, cioè ‘esercito’.  Esso mi pare che possa intendersi come variante del primo elemento voj- del serbo-croato voj-voda ‘duca’, letteralmente ‘condottiero, duce (-voda) dell’esercito (voj-)’.                                 

 

[1]Cfr. sito web:  www.riccicurbasto.it/oggetti storici/torchio-a-vite-in-legno.pdf.
[2] Cfr. il mio articolo Il flauto di Pan nel mio blog (febbraio 2015).
[3] Cfr. sito web: https://books.google.com/books

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