Morto dopo un calvario per trasfusione di sangue infetto. Ministero condannato

Al giovane era stata praticata una trasfusione prima di un intervento

Avezzano – Anni e anni di sofferenze e ricoveri ospedalieri, la negazione di una vita normale. Questa è stata la drammatica eredità, per un ragazzo al tempo diciassettenne, di un intervento subito in un ospedale campano. Prima dell’intervento al giovane era stata praticata una trasfusione.

La normativa del tempo non prevedeva un monitoraggio efficace del sangue e degli emoderivati per trasfusione. Per il ragazzo e i suoi familiari era iniziato un lungo calvario di sofferenze, conclusosi tragicamente nel 2007, con la morte del paziente, ormai quarantasettenne, in un ospedale torinese. I genitori, provati da anni di sofferenze e dalla perdita dopo una devastante via Crucis, si sono battuti perché l’evidenza dei fatti e i nessi di causalità fossero riconosciuti e le responsabilità accertate e sanzionate. Una battaglia condotta da tante famiglie vittime, come i loro congiunti, di una gestione di questo aspetto specifico dell’ambito sanitario che, nei decenni addietro, ha falcidiato centinaia di persone.

I fatti sono stati ripercorsi nel contenzioso celebrato dinanzi al giudice del Tribunale di Avezzano, Giuseppe Giordano, che ha accolto la domanda dei ricorrenti, F.G. e I.A., assistiti dagli avvocati Paolo Di Gravio e Maria Grazia Spina, condannando il Ministero della Salute a risarcire, con una somma di cinquecentomila euro circa, gli anziani genitori.

“Un riconoscimento dovuto, ma che non potrà mai colmare una grave e assurda perdita” ha commentato l’avv. Di Gravio.

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