Molti sono i prodotti che rendono l’Abruzzo una terra famosa nel mondo e tra questi c’è lo zafferano di Navelli. Lo zafferano dell’Aquila è un prodotto italiano a denominazione di origine protetta, prodotto esclusivamente in provincia dell’Aquila e in particolare nell’Altopiano di Navelli. Ovidio raccontava che tanti ma tanti anni fa, viveva una ninfa chiamata Smilace che si era innamorata ,ricambiata, di Krocus, un giovane guerriero.
Ma gli Dei contrastavano questa relazione destinata in ogni caso a finir male, dato che lei era immortale e lui no.
Krocus si suicidò per disperazione: Smilace impazzì e gli Dei impietositi, li trasformarono ambedue in piante. Lo zafferano venne introdotto in Italia dalla Spagna nel XIII secolo. La storia dell’Abruzzo è strettamente correlata con la coltivazione dello zafferano.
Nel XIII secolo, quando la città dell’Aquila fu fondata su editto di Federico II, già diverse fonti storiche descrivono la coltivazione e il commercio della preziosa spezia.
Dalla zona dell’Altopiano di Navelli, la coltivazione si estese per tutte le zone interne d’Abruzzo realizzando un florido commercio.
In breve tempo l’Aquila fu in grado di organizzare commerci con le città più importanti: Milano e Venezia, nonché con le città estere: Francoforte, Marsiglia, Vienna, Norimberga ed Augusta. Il Re Roberto D’Angiò, nel 1317, abolì le tasse sullo zafferano per favorirne il commercio.
Jobst Findenken di Norimberga veniva di persona all’Aquila per comperare lo zafferano e poi strada facendo lo sofisticava con altri tipi di zafferano. Fu scoperto e il 27 luglio 1444 venne bruciato vivo con il prodotto che portava.
Lo za’hafaran, come lo chiamano gli arabi , è originario dell’Asia Minore.
Plinio scrive che i Fenici lo usavano non per usi culinari ma esclusivamente per tingere stoffe; le tuniche dello splendido colore giallo vivo piacevano molto alle eleganti signore d’allora, e i Fenici trasportavano le stoffe dal porto di Tiro in tutto il Mediterraneo.
Furono poi gli arabi che fecero conoscere lo zafferano quasi ovunque; dalla Spagna, dove è indispensabile nella paella, all’Indonesia, basilare nel curry.
In Italia era già conosciuto, e importato, ma solo come polvere medicinale; usato tutt’ora a piccole dosi è sedativo, antispastico, eupeptico, mentre a dosi più elevate è invece eccitante: non per nulla i Romani lo utilizzavano come afrodisiaco.
Però già allora era una materia preziosa, tanto che le nostre Repubbliche fondarono i Banchi dello Zafferano,una specie di borse commerciali dove venivano contrattate le partite destinate alle grandi corti di Firenze, Venezia, Milano e Genova.
Forse non tutti sanno che fu solo alla fine del 1300 che il fiore venne ufficialmente introdotto in Italia come coltivazione da un padre domenicano chiamato Domenico Santucci.
Egli era nato a Navelli, in provincia dell’Aquila, e visse a lungo in Spagna, al servizio del Tribunale dell’Inquisizione.
Tornato in Abruzzo, provò a piantare in un terreno di sua proprietà alcuni bulbi di croco spagnolo che attecchirono meravigliosamente e da quel momento divennero una delle maggiori coltivazioni della zona, tanto che la storia d’Abruzzo è quasi inscindibile da quella dello zafferano.
A Civitaretenga, ad esempio, esiste la Chiesa della Madonna dell’Arco che, secondo la leggenda, fu costruita nel luogo dove sorgeva la stalla di una taverna: là dove oggi c’è l’altare, allora c’era la mangiatoia.
Nella taverna venne a soggiornare un pittore il quale però, non avendo una lira, fu dal taverniere messo a dormire nella mangiatoia della stalla.
Quella notte al pittore apparve in sogno la Madonna che gli chiese un ritratto; era così bella che l’uomo avrebbe voluto ritrarla immediatamente, ma non aveva colori.
Così usò dello zafferano trovato nella cucina della taverna, e la dipinse sul muro contro cui era poggiata la mangiatoia; così che nacque il culto della Vergine dello Zafferano, immagine miracolosa attorno alla quale gli abitanti del paese eressero la chiesa.
Lo zafferano è sempre stato usato come colore per la pittura, aggiunto in abbondanza alle paste di vetro delle vetrofanie o ai colori usati negli affreschi; e proprio attorno a due pittori ruotano le due leggende che spiegano la presenza dello zafferano a Milano, patria del risotto giallo.
La prima narra di un cuoco abruzzese lì emigrato in periodo di carestia; aveva aperto una piccola osteria, ma poiché non aveva burro, carne, verdura, uova, nulla insomma, era costretto a servire ai suoi clienti solo grandi piatti d’insipido e triste riso lesso.
Un bel giorno ebbe l’idea di aggiungervi un po’ di polvere di zafferano, ricevuto in pagamento da un pittore squattrinato che era venuto a mangiare da lui; i clienti ne furono entusiasti, e il cuoco divenne ricco e famoso.
L’altra leggenda, più conosciuta, racconta di un garzone vetraio che lavorava alla vetrata di Sant’Elena nella Fabbrica del Duomo.
Era bravissimo nel mescolare i colori, rendendoli dorati con l’aggiunta di zafferano: e proprio Zafferano l’aveva soprannominato il suo capo, Valerio di Fiandra.
Un giorno la figlia di Valerio si sposò e il povero ragazzo cadde in crisi perché avrebbe voluto farle un dono bellissimo, ma non aveva una lira; così, durante il banchetto, si presentò reggendo due grandi marmitte di risotto color dell’oro e profumatissimo: aveva inventato anche lui il risotto allo zafferano.
Raggiunto il massimo di produzione nei primi anni del novecento, la coltivazione dello zafferano ha subito un costante declino, ma, forte di una antica tradizione mai persa, è continuata per merito della tenacia di alcuni agricoltori. Negli ultimi anni, grazie alla crescente attenzione verso le colture tradizionali, c’è stata una ripresa della coltivazione, che tuttora avviene nella maniera tradizionale.
Nel 2005 questa tenacia è stata ricompensata dall’Unione Europea con il riconoscimento della Denominazione di Origine Protetta “Zafferano dell’Aquila”. Mantenendo le antiche tradizioni si è ottenuto il massimo: la rotazione annuale della coltura, il divieto di concimazioni e trattamenti chimici, l’essiccazione degli stimmi su brace di nocciolo o roverella.
Lo Zafferano dell’Aquila si rivela delicatamente al gusto e all’olfatto, con profumi armonici e particolarmente equilibrati, mai aggressivo.
Altre interessanti esperienze di coltivazione, con risultati di qualità eccellente, sono in corso nella Marsica, in Val di Sangro e in altre aree pedemontane d’Abruzzo, dove lo zafferano viene riscoperto come una valida alternativa all’abbandono di terreni altrimenti marginali. La produzione nella Piana di Navelli è favorita dalla carsicità del terreno, che evita i ristagni d’acqua sfavorevoli alla crescita della pianta. Il terreno viene preparato in primavera con un’aratura ad una profondità di 30 cm, con la contemporanea fertilizzazione tramite circa 300 ql/ha di letame, essendo poi vietato l’utilizzo di qualsiasi fertilizzante durante il ciclo vegetativo. La superficie viene successivamente affinata e livellata e vendono predisposti 2 o 4 solchi alla distanza di circa 20 cm per ospitare i bulbi.
Dopo una successiva fresatura del terreno, nel mese di agosto vengono trapiantati i bulbi, con una densità di circa 100 ql/ha, corrispondenti a circa 600 000 bulbi. Il terreno non viene irrigato ed i bulbi vengono interrati sulla fila a contatto e ad una profondità di circa 10 cm. Le prime foglie filiformi spuntano con le prime piogge di settembre, con uno sviluppo fino anche ai 40 cm. I fiori hanno sei petali di colore roseo-violaceo, con tre filamenti rosso scarlatto che rappresentano la parte femminile e tre antere gialle che rappresentano la parte maschile. La raccolta dei fiori avviene attorno alla seconda quindicina di ottobre prima della loro schiusa all’alba. Alla loro sfioritura una volta portati al coperto, vengono asportati gli stimmi che, sistemati su un setaccio, sono messi sulla brace di legna di mandorlo o quercia per la tostatura. Dopo la tostatura il peso degli stimmi si riduce ad un sesto del peso iniziale, con il 5-10% di umidità residua, e da questi si prepara la polvere tramite macinatura. La produzione di un kg di zafferano richiede circa 200.000 fiori.
Allo zafferano dell’Aquila, il 26 luglio 2008, è stato dedicato un francobollo, policromo e dentellato, emesso dalla Repubblica Italiana. Un altro motivo d’orgoglio per l’Abruzzo che troverà sempre un modo per emergere tra le stelle del firmamento mondiale.