Avezzano. Tutto ebbe inizio nel settembre 2013, quando il giovane avezzanese, Antonio Rico, venuto a conoscenza della reintroduzione a Cuba del professionismo sportivo, abiurato dalla rivoluzione nel 1961, decise di analizzare quello scenario, per arrivare alla conclusione che quell’ epocale cambiamento sarebbe stato la punta di un iceberg colossale che covava sotto il pelo dell’acqua, portando con sé un radicale riassetto delle relazioni diplomatiche con gli Usa, viste le implicazioni fiscali, tributarie e di status giuridico degli sportivi esuli che la riforma portava con sé.
Frutto di questo studio è oggi il libro “Cuba e Sport. Evoluzione di una Rivoluzione”, all’interno del quale l’autore, classe 1986, ha indagato le vicende dello sport cubano, dall’inizio della rivoluzione fino al 2013.
Per citare la prefazione della professoressa Luciana Pasquini, “si fa menzione specifica dello sport, perché questa dimensione atletica è legata nell’isola al concetto nobile e ideale della valorizzazione della patria”. L’esordio letterale di Rico è avvenuto nelle stanze della sala conferenze del Palazzo Torlonia di Avezzano, alla presenza del sindaco, Giovanni Di Pangrazio, di alcuni rappresentanti della cultura e dello sport, e della professoressa Luciana Pasquini, docente all’Università “G. D’Annunzio” di Chieti- Pescara, che ha svolto un ruolo fondamentale per la stesura del testo, che da prodotto accademico, approvato dal dipartimento della Facoltà, si è trasformato in un prodotto editoriale, con il placet della casa editrice Carabba.
“Pur appartenendo a tutt’altra ‘parrocchia’, questo percorso mi ha convinto sempre più come le buone idee non abbiano bandiera, come una giusta ambizione, anche con tratti vagamente utopici, possa soltanto essere viatico per una rinascita, come un gesto di coraggio possa pagare lauti dividendi se guidato da lungimiranza e capacità”, commenta Rico, “come in ogni regime, anche a Cuba lo sport ebbe sin dal primo istante un ruolo preminente. Ma qui finiscono le similitudini. Parliamo infatti di un paese del III mondo, che non avrebbe mai potuto utilizzare il volano di un grande evento per inoculare nel tessuto globale il proprio coacervo di valori, capacità e potenzialità, come ad esempio fece la Germania hitleriana con i Giochi del 1936 oppure la Cina iperproduttivista con Pechino 2008”.
“Davvero non posso dire se questo libro è stato qualcosa di estemporaneo oppure si rivelerà per essere l’incipit di un percorso quantomeno destinato ad avere altre tappe”, conclude il giovane, “di certo non posso negare come questa sia una speranza, soprattutto per poter rivivere momenti di condivisione e di affetto come quello che la mia comunità mi ha tributato sabato scorso facendomi vivere un pomeriggio che non potrò mai dimenticare e che mi rende eternamente riconoscente nei confronti di tutti i presenti”.