Abruzzo – Amare(na) gli orsi significa non dimenticare, ma anche impegnarsi responsabilmente per conoscere la complessità del mondo naturale. È indelebile nel cuore e nella mente di tutti noi quella fatidica notte del 31 agosto 2023, quando la vita dell’orsa Amarena venne spezzata per sempre da un colpo di fucile. È passato un anno e come tutti abbiamo letto dalla stampa si sono chiuse le indagini e ora aspettiamo il processo a carico di chi ha deciso di compiere un atto così terribile.
Da allora, 7 mesi dopo la morte anche di Juan Carrito per investimento stradale, il destino degli orsi marsicani ha finito per interessare molto di più l’opinione pubblica. Non che prima non lo fosse, assolutamente, ma le vicende di questi due orsi molto particolari e “famosi”, proprio per i loro comportamenti confidenti, ha appassionato migliaia di persone, facendole avvicinare alla vita di questi splendidi animali.
Ma quanto questo amore ha fatto interessare le persone alla complessità della conservazione e di conseguenza alle azioni gestionali necessarie per assicurare un futuro a lungo termine ad una specie come l’orso marsicano? Quanti si sono posti dubbi e quanti invece hanno solo certezze? Chi lavora per la Natura si interroga costantemente, si confronta continuamente con il mondo scientifico e poi decide il dà farsi con senso di responsabilità, tenendo bene a mente la complessità da affrontare.
Spesso, anche senza volerlo, si tende a ragionare di sistemi naturali, di specie e di habitat come se fossimo allo stadio, mentre sarebbe opportuno evitarlo. Ogni vicenda, negativa o positiva, che riguarda gli orsi non può essere approcciata come nelle tifoserie: bravi se fate gol, incompetenti se non lo fate. Magari fosse così semplice!
Ed è proprio sulla complessità che vogliamo tornare ancora una volta perché, come spesso diciamo, le operazioni di semplificazione non aiutano la comprensione dei fenomeni naturali intorno a noi. A volte usiamo parole a cui siamo sicuri di dare il giusto significato, mentre non ci accorgiamo che nascondono molto altro e tutti noi, che ormai viviamo costantemente di corsa, rischiamo di non fare sufficientemente attenzione. Partiamo proprio dalla definizione di “complessità”, che non è affatto banale.
L’etimologia del termine preso dal dizionario recita: complessità deriva dal verbo latino plectere, che vuol dire intrecciare, unito alla preposizione cum. Potremmo dunque dire che complesso è qualcosa di intrecciato più volte. Complessità, quindi, evoca una pluralità di componenti, ma anche un’idea di unità. Curioso! Di base si tratta di capire di quante parti è fatta una “cosa”, come queste parti interagiscono tra loro, come questa “cosa”, nella sua unità, interagisce con le altre “cose,” composte a loro volta di parti, all’interno di specifici contesti, e in una dinamica temporale.
Questa definizione dovrebbe darci una prima idea della complessità della conservazione, a maggior ragione di una specie come l’orso. Quando ci avventuriamo, imprudentemente, su percorsi verbali che portano ad affermazioni come “sono pochi”, “è meglio che restino nel Parco”, “hanno fame e per questo scendono nei Paesi”, “dategli da mangiare”, “togliete i radiocollari perché impediscono la riproduzione”, ecc. ecc., non ci si rende conto di quanto le opinioni tralascino i fatti oggettivi, perché ignorano le diverse parti in causa (tantissime), e quanto le soluzioni immediate difettano esattamente della mancanza di prospettiva sulle interazioni e sulle relazioni in campo.
Negli ultimi 10 anni (2014-2023) sono nati 105 orsi (fonte Rapporto Orso), non sappiamo quanti ne sono sopravvissuti, però sappiamo che nello stesso intervallo di tempo sono morti 25 orsi, 7 dei quali rinvenuti come resti e quindi non è stato possibile accertare le cause di morte. Questo territorio da oltre 3000 anni supporta gli orsi, e da circa 100 li protegge, nonostante tutto quello che, come genere umano, siamo riusciti a fare nel corso della storia. In un territorio con carenze alimentari o di altro tipo non sarebbero potuti nascere 105 orsi e questo, se si conosce la biologia stessa di questo splendido animale, è facile da comprendere.
Il prossimo anno, grazie alla stima di popolazione su base genetica, avremo un quadro sicuramente più preciso di quanti orsi ci sono nell’areale dell’Appennino centrale, in cui i dati raccolti dalle Reti di Monitoraggio ci parlano dell’espansione che sta avvenendo e che rappresenta un punto di forza per evitare l’estinzione. Allora, dati alla mano, sarà più facile fare considerazioni pertinenti, non basate sull’opinionismo dilagante, e decidere cambi di gestione, se necessari.
La conservazione dell’orso marsicano è una grande sfida, forse la più difficile nell’ambito della conservazione della biodiversità in Italia, e possiamo farcela. Sicuramente la potremo vincere se iniziamo a sfatare le false credenze, e soprattutto, l’idea che intorno alla conservazione dell’orso marsicano nulla cambia.
La vicenda dei cuccioli di Amarena, i tanti orsi nati in questi anni, i tanti genotipi raccolti dalle Reti di Monitoraggio, anche fuori dal Parco e dall’Area Contigua, i comportamenti adottati da tanti cittadini, supportati da amministratori più informati e più consapevoli di scelte non sempre popolari ma necessarie per la conservazione della specie, ci raccontano un’altra storia, che per ansia, per paure, o per strumentalizzazione decidiamo di “non vedere”.
Non esistono scorciatoie alla complessità della conservazione e tutti coloro che lavorano giorno e notte per la Natura lo sanno bene. Margaret Atwood, che vive in Canada e ha esperienza di orsi, ha scritto “Il modo migliore per essere gentili con gli orsi è non essere molto vicino a loro.” ed Amarena, purtroppo è sempre lì a ricordarcelo.
Fonte: Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise