Alessandro Mastroddi, giurista, letterato e cultore delle antichità marsicane

Alessandro Mastroddi 1755-1840
Alessandro Mastroddi 1755-1840

Alessandro Mastroddi (1755-1840) giurista e letterato, nacque a Tagliacozzo intorno al 1755 da Domenicantonio e Cecilia Cisari o Lipari, morì il 18 luglio 1840 all’età di 85 anni. La famiglia di Domenicantonio godeva di possedimenti pari a 50.000 ducati ed era la più ricca di Tagliacozzo. 

Giurista, letterato e sottintendente di Avezzano

Il giovane Alessandro fu inviato all’età di dodici anni presso la scuola dei Padri Gesuiti di Tivoli per seguire gli studi di retorica e filosofia, per continuare dopo tre anni quelli di matematica, latino greco e francese. Passò al ginnasio della Sapienza di Roma per frequentare il corso di giurisprudenza e all’età di diciotto anni si trasferì all’università di Napoli, dove conseguì il dottorato in diritto feudale e del Regno. Ritornato al paese natio, nel 1779 fu eletto Governatore di Tagliacozzo e per circa un decennio ricoprì anche la carica di Assessore, Consultore e Uditore di Guerra. Nel 1782 sposò Maria Giulia Maccafani della nobile famiglia della vicina Pereto e dopo la rivoluzione francese del 1789 aderì alle nuove idee liberali apportate da quest’ultima. Nel 1798 raccolse in breve tempo un battaglione rivoluzionario dei Cacciatori Marsi e nella primavera dell’anno successivo organizzò una grande festa in onore del patrono S. Antonio da Padova, mentre il generale francese Championnet occupava Napoli nel gennaio 1799 e dichiarava la nascita della Repubblica Napoletana, che avrà la durata di soli sei mesi. I francesi tornarono ancora a occupare il Regno di Napoli nel 1806 con Giuseppe Bonaparte fratello di Napoleone che regnò fino a luglio 1808, per lasciare il trono al cognato Gioacchino Murat fino al 1815, quando il congresso di Vienna sancì la fine dell’impero napoleonico. Durante il decennio napoleonico Mastroddi intraprese una rapida carriera all’interno dell’apparato regio murattiano: fu nominato consigliere e poi anche segretario provinciale in due quadrienni 1808-1811 e 1814-1817 e giudice di pace nel 1809 del circondario di Tagliacozzo, appartenente con quelli di Avezzano e di Carsoli al distretto di Cittaducale (il distretto di Avezzano sarà istituito qualche anno più tardi nel 1811). Dopo tre anni di lodevole servizio come giudice di pace fu chiamato a far parte del tribunale civile di Aquila e il 3 agosto 1819 fu nominato una prima volta Presidente del Consiglio Distrettuale di Avezzano insieme a dieci consiglieri e una seconda volta nel 1835 in sostituzione dell’amico Vincenzo Mancini. 

A seguito dei moti rivoluzionari della Carboneria che si stavano verificando in tutto il Regno, il 5 luglio 1820 il generale Guglielmo Pepe organizzò una rivolta a Napoli e, il giorno dopo, il re Ferdinando I fu costretto a concedere una nuova carta costituzionale sul modello di quella spagnola del 1812. Dopo questi eventi, il sottintendente borbonico Valentino Gualtieri fu costretto a lasciare Avezzano e al suo posto s’insediò Alessandro Mastroddi “persona integerrima, uomo dotto, e filantropo”. Come prima azione, il nuovo sottintendente di Avezzano cercò di recuperare le spese che erano state sostenute in luglio durante i moti per la creazione di un Corpo di Guardia completo di tavolato e rastrelliera con fucili per una somma di ducati 11,90. Nel dicembre 1820 Mastroddi chiese e ottenne l’autorizzazione alla spesa di ducati 3,10 per trasformare i locali sotterranei dell’ex convento di S. Francesco a caserma militare allo scopo di alloggiare le truppe stanziali e quelle di passaggio che di volta in volta transitavano in Avezzano. Uno degli ultimi atti eseguiti da Mastroddi prima di abbandonare la Sottintendenza fu la richiesta, accettata dall’intendente, di spesare sui fondi imprevisti per il corrente esercizio finanziario la somma di ducati 81 erogata dal comune di Avezzano in data 11 gennaio 1821, in occasione della consegna della bandiera al battaglione dei militi che aveva partecipato ai moti rivoluzionari. Dopo un breve periodo di euforia i rivoltosi della Carboneria furono sedati e il 9 marzo 1821 furono sconfitti ad Antrodoco dall’esercito austriaco, che con una divisione in sosta a Tivoli si diresse verso Avezzano, costringendo Mastroddi ad abbandonare la Sottintendenza in data 11 marzo.

Mastroddi amava anche dilettarsi in attività non propriamente giuridiche: compose carmi in latino, una memoria sulla tomba del poeta Albio Tibullo, negli ultimi tre anni della sua vita commentò in verso esametro latino la prima parte del Codice Civile Napoletano che rimase inedita e disegnò il palazzo di famiglia che fu poi costruito tra il 1824 e il 1830, ornato di molte statue.

Palazzo Mastroddi a Tagliacozzo (Lear 1846, tav II-particolare)

Cultore delle antichità marsicane

Mastroddi, uomo colto e amante delle belle arti, fu proposto dal Consiglio Provinciale di Aquila nel 1833, insieme al letterato concittadino Vincenzo Mancini (1760-1841), a ricoprire il ruolo di delegato degli antichi monumenti e belle arti per il distretto di Avezzano.  

Con il real rescritto del 26 aprile 1834 il re Ferdinando II di Borbone approvò la nomina dei due delegati marsicani “onde gli antichi monumenti di belle arti che si trovano in codesta Prov(inci)a non continuino a rimanere negletti ed esposti all’arbitrio dell’ignorante contadino”.  

Matroddi e Mancini ricevettero l’incarico il 20 maggio 1834 ma non poterono iniziare subito il viaggio antiquario poiché uno di loro fu afflitto dalla gotta. I due tagliacozzani iniziarono il viaggio nell’ottobre del 1834 per finire nell’aprile dell’anno seguente; al termine del viaggio i due delegati inviarono una dettagliata relazione alla segreteria generale dell’Intendenza di Aquila in data 30 aprile 1835.

Durante il suo viaggio antiquario nella Marsica, Mastroddi colse l’occasione per portare nella sua casa di Tagliacozzo alcuni monumenti rinvenuti a Luco quali due teste di marmo, una di uomo l’altra di donna, e un’iscrizione romana (CIL IX 3993). Il suo palazzo, che ospitava già due iscrizioni provenienti da Tubione (CIL IX 3996 e 4041), doveva essere un piccolo museo se, mezzo secolo dopo, Mommsen vide “in aedibus Mastroddi” nove iscrizioni, di cui otto romane e una medievale (CIL IX 374*, 3909, 3961, 3993, 3996, 4023, 4033, 4041, 4050).

Nella relazione antiquaria i due autori fornirono interessanti annotazioni archeologiche sui paesi della Marsica da loro visitati, partendo dal loro paese di origine.

Tagliacozzo: si scorgono tracce dell’antica via Valeria e tre lapidi romane, oggi irreperibili. La prima, di cui non è riportato il testo, era presente “in un angolo del pozzo dei Cappuccini”, la seconda, provenite da Tivolaro,  si trovava presso il palazzo Mastroddi (CIL IX 4041) e la terza era inserita con la parte scritta rivolta all’interno di un muro dell’orto di Angelo Guidarelli (CIL IX 3960).

Scurcola: Tracce di una strada romana erano visibili tra Sorbo e Scurcola, mentre in località Conca d’Oro si rinvennero nel 1834 diversi idoletti tra cui una statuina di Marte. Tra i ruderi dell’abbazia di S. Maria della Vittoria, invece, si rinvenne una base di statua in pietra calcarea eretta dal senato albense all’imperatore Caius Vibius Trebonianus Gallus nel 252 d,C., poi trasportata in casa Marimpietri (CIL IX 3916).

Avezzano: diverse iscrizioni romane furono viste dai due delegati, ma un paio di esse furono trascritte con particolare interesse. La prima, conservata nella casa della famiglia Pulsone, era stata rinvenuta nel 1803 in località Cerreto ed era un cippo funerario dedicato a Marcus Marcius Iustus veterano dell’imperatore Adriano e cavaliere della settima coorte pretoria (CIL IX 9322), l’altro monumento, non visto dagli autori, era un’ara onoraria, esistente ai tempi di Muzio Febonio, che era stata eretta dal senato romano all’imperatore Traiano che nel 117 d.C. ripristinò il funzionamento dell’emissario claudiano del Fucino, evidentemente in parte ostruito (CIL IX 3915). Recatisi all’emissario romano, i due delegati fecero riferimento a un’iscrizione ex voto, ora smarrita, dedicata al dio Fucino che si trovava a Pescina ma che era proveniente dalla località Petogna, vicino l’antico emissario (CIL IX 3656). 

Luco: alcuni tratti di muro con pietre quadrangolari furono visti lungo la spiaggia del paese, che probabilmente si riferivano a muri reticolati di una domus romana, di cui oggi non sono più visibili i resti. Il sindaco possedeva alcune monete di bronzo di antica fusione che probabilmente erano della serie dell’aes grave emesse in epoca repubblicana e di una specie di vaso in pietra che probabilmente era un thesaurus del santuario della dea Angitia utilizzato per inserire le offerte in denaro dei fedeli. Due iscrizioni furono viste dagli autori, la prima, oggi smarrita, era riferita a due personaggi della famiglia dei Paccii che avevano restaurato il muro del santuario della dea Angitia con denaro pubblico (CIL IX 3885), la seconda fu rinvenuta nell’orto dei cappuccini e trasportata a Tagliacozzo in casa Mastroddi, dove si trova ancora oggi presso la signora Rosanna Angelini in via Argoli 15. L’iscrizione funeraria è una dedica di Marcus Herennius Apelles al suo amico Caius Velonius Victor marinaio della flotta ravennate (CIL IX 3993).

Trasacco: territorio sede dell’antica Supinum ricco di antichità romane, si “scoprirono nel lido, così detto delle Pennerine, un ampio sepolcro con pitture … e vasi lagrimali”. Presso la chiesa di S. Cesidio furono viste tre antiche lapidi sepolcrali: la prima, dedicata a Titecia Ianuaria dal marito Quintus Ninnius Strenuus, si trova ancora all’esterno della chiesa (CIL IX 3858), la seconda, ora smarrita, era una dedica fatta da Aepinicus a Silvina sua compagna di schiavitù (CIL IX 3875), la terza, oggi irreperibile, era dedicata a Caius Trebius Optatus dalla moglie Strabonia Secundilla e dalla figlia Traebia Rufilla (CIL IX 3879).

San Benedetto: sede dell’antica Marruvium “capitale de’ Marsialla prima vista … ci si presentarono sulla spiaggia, due altissimi Mausolei a forma di grandi Piramidi”, oggi conosciuti con il nome di Morroni. Vicino la chiesa di S. Sabina era un’iscrizione funeraria, ora smarrita, con dedica di Tettidia Faventina al figlio Lucius Mindius Primitivus decurione dei Marsi, morto all’età di ventidue anni (CIL IX 3687). “Vicino la detta chiesa doveva essere il Campidoglio che vantava Marrubio, come si raccoglie dalla lapide quivi trovata, e trasportata a Pescina, e collocata all’alto della torre della Cattedrale nella quale si legge: Via trans Capitolium”. L’iscrizione oggi si trova nel muraglione della chiesa di S. Maria delle Grazie a Pescina (CIL IX 3688). 

I Morroni a San Benedetto dei Marsi

Venere: “Dall’iscrizione che qui sottoponiamo riportata dal Febonio, e da altri istorici del paese si rileva che anche Silvano abbia avuto in quel luogo il suo culto”. L’ara, oggi smarrita, era dedicata al dio Silvano da Tiberius Taledius Privatus che sciolse il suo voto soddisfatto per la grazia ricevuta (CIL IX, 3659).

Pescina: “dove fu trasferita la sede vescovile, dopo decaduto Marrubio” … “Il monumento più ragguardevole, che ci ha presentato Pescina è una statua di marmo colossale di Ercole di ottimo scarpello … Fu dissotterrata q(ues)ta statua molti anni sono nella Villa, che si chiama D’oro, ma senza testa, e quindi trasportata al cortile del fu Barone Tomassetti, dove con dispiacere l’avemo veduta non solo senza testa, ma anche senza gambe, e piedi, rovesciata al suolo per negligenza del detentore”. Oggi, purtroppo, non vi è traccia di questa preziosa statua. “Un altro monumento di molto considerazione, è una cassa di pietra sepolcrale lunga una canna nel cortile della casa de’ fratelli Iacone”. Il sarcofago di pietra calcarea, privo di coperchio, si trova attualmente presso il cortile del palazzo Sgobbo-Sipari. 

Pescina – Sarcofago presso il palazzo Sgobbo-Sipari

Molte sono le lapidi, e quasi tutte sepolcrali, che si leggono in Pescina, appartenenti tutte a Marrubio”. Se ne trascrivono solo quattro: la prima è una stele dedicata a Felicitas Sanbuce da parte del marito Publius Avius Felicissimus e di un parente Publius Allius Felix e oggi si trova nel cortile del palazzo di Pierlorenzo D’Amore (CIL IX 3720), la seconda stele è dedicata a Ostilia Parthenope dal marito Marcus Aufidius Euplus con il quale visse 25 anni ed è conservata nel museo del Fucino di Avezzano (CIL IX 3738), la terza, oggi smarrita, era una dedica a Publius Paccius Romanus da parte degli amici (CIL IX 3740), la quarta è una epigrafe dedicata a Quintus Petiedius Geminus dal fratello liberto Marcus Aemilius Mercator e dalla liberta Petiedia Fortunata ed è conservata nel deposito della Galleria Lapidaria del Museo Capitolino di Roma (CIL IX 3743).

Cerfennia oggi Collarmele: “dove passava la strada Valeria, e quindi vergeva a Statule, oggi Curiano, e poi a Corfinio”. Gli autori riportano solo due iscrizioni, irreperibili, riprese da Pietrantonio Corsignani: la prima era una lapide sepolcrale dedicata a Titus Fidius (CIL IX 3653), la seconda una colonna miliaria recante il numerale XLIII (CIL IX 5973) relativa alla via Claudia Valeria costruita dall’imperatore Claudio tra il 48 e 49 d.C. per unire Cerfennia (Collarmele) con Ostia Aterni (Pescara). 

Alba: “Il piantato di Alba Fucense, occupava tre diverse colline, e in ognuna v’era la piazza, oltre quelle nel vallo intermedio, oggi detto piano della Civita. Avea il senato, una legione fortissima, e torri e terme, e muri, che la circondavano, di cui restano in molti punti meravigliose vestigia di costruzione ciclopica. Avea un anfiteatro di lunghezza, secondo la misura, che ne avemo fatta di can. 30 e 20 di larghezza colli rispettivi ordini che si distinguono benissimo per li spettatori. Più due teatri, de’ quali uno ch’è in migliore tenuta verso levante presenta di fronte la diagonale di canne 30, e di canne 20 di latitudine”. Gli scavi archeologici iniziati in Alba Fucens nel 1949/1950 dall’Università belga di Lovanio, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica d’Abruzzo, ci hanno restituito la misura esatta dell’anfiteatro che è di m. 101 nel diametro maggiore e m. 79 in quello minore, mentre la sola arena misura m. 64×37. Il teatro, invece, è posto alla base del colle di Pettorino e ha un’ampiezza massima di m. 77.

San Pelino: “Finalmente avea questa colonia al mezzogiorno della Marsica le sue ville deliziose, e forse una era S. Pelino, dove si scorgono molti resti di vecchi edifici, e di terme. Si dice che fosse il pretorio di Alba, ma attesa la distanza di più di tre miglia, che passa tra l’uno, e l’altro luogo non è credibile”. Quindi, gli autori passano alla descrizione di due epigrafi albensi: la prima non è riferita ai gladiatori come sostengono Mastroddi e Mancini (sono rare simili iscrizioni de’ gladiatori), ma rappresenta l’insegna di una bottega di fabbricanti di gladi, cioè spade romane, tenuta dal liberto Marcleius Phirargurus (CIL IX 3962) ed è conservata nel museo del Fucino di Avezzano, la seconda è una stele dedicata da Cameria Hilaritas al marito Quintus Naevius Ianuarius con il quale visse dodici anni e venti giorni (CIL IX 3980) ed è conservata nel deposito del Castello Piccolomini di Celano. 

Civita d’Antina: “altre volte viste le sue antichità tra le quali XII lapidi, e molti avanzi di opere reticolate, non che le porte di grosso quadrato sasso col nome di Campanile ci siamo astenuti di prendere quella direzione nella fiducia, che tutte le opere maravigliose, che esistono degli Antinati, sarebbero ben conservate, e affidate al Consigliere Provinciale D. Antonio Ferrante, il quale conoscitore dei rami tutti dell’archeologia farà ben custodire li monumenti della sua Patria” … “Delle dodici lapidi che avremo detto di Civita d’Antino ne trascriviamo solo tre per servire alla brevità”: la prima è un’iscrizione funeraria, oggi irreperibile, posta dai genitori Quintus Novius Secundinus e Aelia Rufina al figlio Quintus Novius Secundinus della tribù Sergia, vissuto ventitre anni, il quale aveva ricoperto le principali cariche pubbliche cittadine (CIL IX 3839), la seconda è una base onoraria eretta a Quintus Novius Iucundus, figlio di Quinto, della tribù Sergia, patrono del municipio, è conservata nel museo archeologico Ferrante di Civita d’Antino (CIL IX 3838), la terza è una base onoraria posta a Quintus Novius Felix, patrono del municipio di Antinum, da parte della corporazione dei dendrophori (falegnami) e dei centonarii (fabbricanti e commercianti tra l’altro di coperte, centones) è conservata nel museo archeologico Ferrante di Civita d’Antino (CIL IX 3837).

Balsorano: “Era in quell’oppido di Balsorano, e propriamente nel locale detto S. Angiolo un’ara antica più di uno scoglio, dedicata secondo la tradizione al dio Pane con molti bassorilievi di marmo. Era ancora un antro capace di 2000 uomini, cosidetto de’ Pagani, e dentro ammiravasi un fabricato con varie pitture”. Gli autori riportarono le narrazioni su alcune antichità presenti in zona che non riuscirono a vedere: un’ara di marmo con bassorilievi dedicata al dio Pan che si trovava in località S. Angelo e un’area di culto con pareti affrescate, detta dei Pagani, che avrebbe potuto ospitare un certo numero di fedeli, ma non 2000 come indicato dagli autori, che sembra un numero palesemente esagerato.

Opi: “Alle iscrizioni degli Antinati aggiugnamo quella che ha eccitato la curiosità di tanti letterati vicino a Opi al confine de’ Marsi incisa in dorso di una rupe chiamata pietra mara laddove tra lo stretto di due monti corre mormorando a imboccarsi il Sangro”. Gli autori giunsero a Opi nei confini sud-orientali della Marsica e segnalarono un’iscrizione rupestre dedicata a Giove da Lucius Accius Tarentus sotto il consolato di Lucio Lolliano Avito nel 144 d.C. (CIL X 5142).

Compito il giro delle città, e castelli marsici, dirigessimo il cammino verso la frontiera delli Equicoli, ch’erano finitimi delli Marsi, oggi Cicoli. Ma pochi sono li oppidi d’importanza che appartenevano a quella bellicosa nazione”. 

Tivolaro, oggi Tubione: “ci conducessimo al Tivolaro, dove il Febonio suppose che l’immortale Tibullo avesse avuto i suoi Lari”. Gli autori riferiscono di due iscrizioni rinvenute a Tivolaro, poi trasportate in casa Mastroddi e oggi smarrite: la prima era un’urna cineraria dedicata da Lucius Vibius Stabilio, quando era ancora in vita, a se stesso e alla liberta Ofillia Epistolio (CIL IX 4041), la seconda era un fregio, visto dall’epigrafista Brunn, che portava incisa la parola Hilaro indicante il cognomen di un personaggio (CIL IX 3996). 

Carseoli: “Continuando il giro della frontiera equicola verso ponente ci portassimo all’antica Carseoli, la quale apparteneva ancora agli Equi col confine delli Sabini, presso la strada Valeria, di cui si vedono moltissime traccie in più parti” … “Carseoli tanto famosa presso gl’istorici, e poeti non esiste più. Chiamasi comunemente Macchia di Sesara”. Il viaggio degli autori continuò con la descrizione della chiesa di S. Maria in Cellis posta alla periferia occidentale della moderna Carsoli.

È probabile che la Chiesa di S. Maria una volta de’ Benedettini, fuori Carsoli sia stata fabricata colli materiali di Carseoli, come l’abbadia che avemo sopra cennata de’ Cistersiensi fuori la Scurcola, fu edificata colli materiali di Alba. In fatti nella sommità delle pareti esterne del campanile della detta chiesa di S. Maria, si veggono incastrate molte lapidi antiche appartenenti a Carseoli, ma non si sono potute leggere per l’altezza in cui sono poste”. 

Carsoli – Chiesa di S. Maria in Cellis (foto S. Maialetti)

“Ne trascriviamo una che si legge in una gran pietra all’albergo del Cavaliere prossima alla cennata Macchia di Sesare”. L’epigrafe è una base onoraria eretta con delibera decurionale a Marcus Metilius Successus figlio di Marcus Metilius Repentinus patrono della colonia di Carsioli, che oggi si trova nell’orto del castello Massimo in Arsoli (CIL IX 4067).

Gli autori conclusero la relazione augurandosi per le località di Carsioli, Alba Fucens, Marruvium e Angitia, una programmazione di scavi archeologici a spese del governo e chiesero al Consiglio Provinciale di dare alle stampe la loro relazione “onde non si perda la memoria delli monumenti, che sono stati rintracciati, e meglio si conservino le antichità, e non restino nell’oscurità sepolte”.

Purtroppo, avvenne proprio ciò che Mancini e Mastroddi temevano: la loro relazione non fu mai pubblicata e rimase sconosciuta fino 1999 quando Simonetta Segenni la scoprì presso l’Archivio di Stato di L’Aquila.

Note
1 – L’Omnibus Pittoresco. Enciclopedia letteraria ed artistica con figure incise in rame, Napoli, a. III, 22 ottobre 1840, nr. 32, p. 249, riporta la notizia della morte di A. Mastroddi in data 18 luglio 1840 all’età di 83 anni, mentre l’atto di morte in www.antenati.san.beniculturali.it attribuisce la morte sotto la stessa data, ma all’età di 85 anni.
2 –  F. Amiconi, Viaggio antiquario nella Marsica. Relazione dei monumenti di antichità eseguita da Alessandro Mastroddi e Vincenzo Mancini il 30 aprile 1835, con ampia biografia degli autori a cura di Fiorenzo Amiconi, ed. Kirke 2018, p. 10
3 –  L’Omnibus Pittoresco, Napoli, a. III, 22 ottobre 1840, nr. 32, p. 249.
4 –  P. Nardecchia, Le suore, le scuole femminili e i Mastroddi, il Palazzo ducale di Tagliacozzo tra XVIII e XX secolo, in Il foglio di Lumen, Misc. 57 agosto 2020, pp. 27-28.
5 – F. Amiconi, Viaggio antiquario nella Marsica, ed. Kirke 2018, pp. 9-11.  
6 –  G. Jetti, Cronache della Marsica (1799-1915), Napoli 1978, p. 69.
7 –  B. Jatosti, La storia di Avezzano, p. 114.
8 – ASAq, Intendenza, s. II, Affari dei Comuni, b. 476B, lettere del 25 e 27 agosto 1820.
9 –  Ivi, lettera del 4 dicembre 1820.
10 –  Ivi, lettera del 22 febbraio 1821.
11 –  P. Pieri, Storia militare del Risorgimento. Guerre e insurrezioni, Torino 1962, ristampa 2010, p
12 –  P. Muzi, La presenza borghese nei consigli generali e distrettuali di Abruzzo Ulteriore II (1808-1830), in Mezzogiorno preunitario. Economia, società, e istituzioni, a cura di A. Massafra, Bari 1988, pp. 411-427: a p. 422.
13 –  T. Bonanni, La poesia nella disciplina del giure e la ragione penale dantesca, Aquila 1890, p. 9.
14 –  L’Omnibus Pittoresco, Napoli, a. III, 22 ottobre 1840, nr. 32, p. 250.
15 –  E. Lear, Viaggio illustrato nei tre Abruzzi (1843-1844), Sulmona 1974, versione italiana a cura di Mario Marcone con traduzione di Barbara Di Benedetto Avallone su testo originale dell’Illustrated excursions in Italy, London 1846.
16 –  La relazione, dal titolo “Viaggio Antiquario dei Deputati Sig. D. Vincenzo Mancini, e Sig. D. Alessandro Mastroddi” è datata 30 aprile 1835 ed è conservata presso l’Archivio di Stato di L’Aquila, Intendenze, I serie, cat. XIX b. 4590. Il documento integrale è stato presentato da Simonetta Segenni al II Convegno di Archeologia sul Fucino tenutosi ad Avezzano nel 1999. Il “Viaggio antiquario” è stato nuovamente pubblicato da Fiorenzo Amiconi nel 2018 con l’editore Kirke e commentato da C. Castellani, Ispettori ai monumenti e scavi nella Marsica, ed. Kirke 2021.
17 –  La maggior parte delle segnalazioni archeologiche riguardano le iscrizioni romane pubblicate in T. Mommsen, Corpus Inscriptionum Latinarum, vol. IX, Berolini 1883.

Bibliografia di Alessandro Mastroddi

L’unico documento che ci è pervenuto di Alessandro Mastroddi è la relazione, appena descritta, del “Viaggio Antiquario” fatto con Vincenzo Mancini. Non sono reperibili, invece, le opere manoscritte indicate nella rivista napoletana L’Omnibus Pittoresco del 1840, quali i carmi in latino, la memoria sulla tomba del poeta Albio Tibullo e il commento in versi esametri del Codice Civile del Regno di Napoli.

  • Viaggio Antiquario dei Deputati Sig. D. Vincenzo Mancini, e Sig. D. Alessandro Mastroddi, relazione datata 30 aprile 1835, conservata presso ASAq, Intendenze, I serie, cat. XIX b. 4590.

Per ulteriori approfondimenti su Alessandro Mastroddi

  • C. Castellani, Ispettori ai monumenti e scavi nella Marsica, ed. Kirke 2021 (Alessandro Mastroddi da p. 59 a p. 84).
  • P. Nardecchia, Le suore, le scuole femminili e i Mastroddi, il Palazzo ducale di Tagliacozzo tra XVIII e XX secolo, in Il foglio di Lumen, Misc. 57 agosto 2020 (Alessandro Mastroddi da p. 27 a p. 28).

F. Amiconi, Viaggio antiquario nella Marsica. Relazione dei monumenti di antichità eseguita da Alessandro Mastroddi e Vincenzo Mancini il 30 aprile 1835, ed. Kirke 2018, (Alessandro Mastroddi da p. 9 a p. 14).

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