Per quanto riguarda la situazione politica creatasi nella Marsica subito dopo l’Unità d’Italia (giá fin dagli ultimi mesi del 1860) e che ben presto – come d’altra parte in tutto il Meridione – aveva assunto la fisionomia dapprima della reazione popolare contro i Piemontesi e, successivamente, del brigantaggio vero e proprio, la bibliografia è sterminata. Non è possibile, in questa sede, elencare tutti gli autori e tutti gli scritti concernenti l’argomento.
Ci limiteremo, pertanto, a fornire alcuni dati ed alcune riflessioni, che ci derivano non solo dalla lettura delle opere già edite, ma anche e soprattutto da documenti d’archivio, e che, se integrati dai risultati di altre ricerche e dalle notizie ricavate da altre fonti, potrebbero contribuire ad una piú esatta conoscenza di un periodo e di un fenomeno troppo importanti, per essere trattati superficialmente o per essere trasformati in semplice racconto romanzato. In sintesi, la bibliografia sul brigantaggio post-unitario nella Marsica potrebbe essere ripartita in tre sezioni: 1) storie generali sul brigantaggio; 2) «memorie» e «relazioni» dei diretti protagonisti; 3) cronache e storie locali.
1) STORIE GENERALI:
sono abbastanza numerose, da quelle ottocentesche del Bartolini, del Capomazza, del Cardinali, del Cava, del Cerri, del De Witt, del Monnier, dell’Oddo, ecc., a quelle novecentesche del Battaglini, del Cesari, del Cianciulli, del Costantini, del De Jaco, del Gelli, del Molfese, del Monti, del Perrone, del Pierantoni, del Sarego, del Topa (1). Ma solo poche di queste si staccano dall’ambito di una letteratura di tipo cronachistico o, quel ch’è peggio, dalla tentazione di cedere al romanzesco e all’avventuroso. Tra le opere degne di attenzione, vi sono certamente quelle recenti del Molfese (che abbraccia tutto il Meridione) e del Sarego (geograficamente limitata al solo Cicolano): ma né l’una, né l’altra si soffermano, se non di riflesso, sul brigantaggio nella Marsica. Unico episodio, che sembra aver attratto l’attenzione di tutti gli storici, è quello del Borjes, che unicamente nella sua tragica conclusione riguarda l’Abruzzo e la Marsica. Prettamente marsicane, invece, sono le «storie» del Cerri (già da noi ricordato) e del Bianco di Saint Jorioz (2), che potrebbero essere annoverate anche tra le opere del secondo gruppo, quello dei protagonisti, essendo stati entrambi gli autori impegnati in prirna persona nell’opera di repressione del brigantaggio nel Sud d’Italia. Comunque, la prima (quella di Angelo Cerri) tende talvolta al romanzesco e allo spettacolare; la seconda (quella di Alessandro Bianco di Saint Jorioz) risente troppo dei pregiudizi, prettamente settentrionali, dell’autore nei confronti di un Meridione, da lui poco conosciuto e poco capito, e pur giudicato con acrimonia e disprezzo.
2) – TESTIMONIANZE DEI PROTAGONISTI:
sono, in genere, o «memorie» degli stessi «briganti» (come De Christen o Klitsche de La Grange) (3); o «diari» dei comandanti italiani e dei funzionari incaricati della repressione (come il Cerri e il Saint Jorioz, già ricordati, ma anche il De Giorgio, il Franchini, il Pateras, il Tofani) (4); o, nella migliore delle ipotesi, «relazioni» politiche e parlamentari, quali quelle del Botero, del Calà Ulloa, del Massari e di numerosi altri (5). Gli scritti dei diretti protagonisti («briganti» e militari), pur risultando ricchi di informazioni e di aneddoti, peccano spesso di faziosità (inevitabile e comprensibile) e di un certo trionfalismo; le relazioni parlamentari o quelle delle commissioni d’inchiesta sono certamente piú attendibili, ma spesso generiche e astratte, talvolta incapaci perfino di cogliere le ragioni piú evidenti della rivolta popolare nel Mezzogiorno.
Tra gli esempi piú vistosi dell’assoluta incapacità, da parte della nuova classe dirigente liberale ed illuminata, di comprendere sentimenti e «cultura» delle popolazioni del Meridione, possiamo citare proprio l’opera di un marsicano, Carmine Letta (6), il quale cosí scriveva, nella sua Inchiesta agraria, a proposito dei contadini della Marsica: «(…) il contadino visita volentieri alla domenica le osterie, ed ivi avviene non di rado che, un bicchiere chiamando l’altro, egli finisca per spendere piú di quello che le sue risorse economiche lo permettano (…). L’impero che ha sempre avuto il prete sulla sua coscienza fa sí che esso lo creda ciecamente ed in tutto (…). È in questo modo che i preti e tutta la corte degli ambiziosi consorti, i quali, grazie alle indulgenze del Governo, possono continuare la loro propaganda retrograda nelle campagne, è in questo modo che i fautori della reazione e dell’oscurantismo, profittando della crassa ignoranza dei contadini, cercano di sollevarli contro il progresso». (7)
Un giudizio, questo di Carmine Letta, che, coinvolgendo nella sua condanna clero e contadini della Marsica, riecheggiava quanto già era stato scritto dal Bianco di Saint Jorioz negli anni immediatamente successivi all’Unità:
«La massa del popolo (nella Marsica) non distingue Iddio dalla chiesa e da’ suoi riti; non distingue il prete o il monaco dalla religione; non distingue le mostre commemorative della Pasqua, del Natale, del santo A o B: non distingue il culto interno dall’esterno, l’amore e la fede dagli atti genuflessorij, ecc.ecc. Crede, e ciecamente crede, che un convento di frati è la religione; che la ricorrenza di un santo è religione; che la confessione è religione; che la parola di un prete è religione; che il sacerdote non si confonde co’ suoi vizi». (8)
3) – STORIE LOCALI:
tutte trattano, quale piú quale meno, del brigantaggio. Ma è raro che, in qualcuna di esse, ci si soffermi sulle cause del fenomeno, limitandosi ciascuna a dare semplici cenni su episodi o personaggi che siano legati, in qualche modo, alle vicende dei rispettivi paesi o, tutt’al piú, dei rispettivi comprensori. In genere, si ripetono sempre le medesime storie (o, talvolta, «storielle»); manca una visione d’insieme del problema e, soprattutto, è scarsa o inesistente la documentazione archivistica.Tra le eccezioni (a parte gli scritti di Raffaele Colapietra, di cui parleremo in seguito), degno di rilievo è il volume di Guido Jetti, Cronache della Marsica (1799-1915), la miglior sintesi finora pubblicata delle vicende marsicane del secolo XIX. (9)
Altri lavori, pur eccellenti sotto diversi aspetti, sul tema del brigantaggio non offrono contributi originali. Ne citiamo alcuni (tra quelli che riteniamo i migliori), senza presunzione di completezza da parte nostra e senza intenti polemici o critici: Paesi e paesani di Sante Marie, di A.N.Aresti (Avezzano 1947); Linee per una storia dell’altipiano di Rocca di Mezzo, di M.Arpea (Teramo 1964); La Marsica nella storia moderna, di P.Bontempi (Casamari 1974: un buon quadro storico complessivo); La storia ottocentesca di Avezzano, di G.B.Brogi (Roma 1959); Guida storico-turistica di Scurcola Marsicana, di E.Colucci (Roma 1976); Oricola e contrada carseolana nella storia di nostra gente, di A.Laurenti (Tivoli 1933); Memorie storiche della regione equicola ora Cicolano, di D.Lugini (Rieti 1907); Civita d’Antino: storia, arte, leggenda, di S.Maciocia (Roma 1956); Avezzano e la sua storia, di G.Pagani (Casamari 1968).
Una certa originalitá presentano Storia di Tagliacozzo di Giuseppe Gattinara (Città di Castello 1894) e Valle Roveto nella geografia e nella storia di Gaetano Squilla (Casamari 1966), ma l’una e l’altra limitate nei riferimenti geografici ed esclusivamente cronachistiche (10). Si tratta, dunque, di un campo ancora «vergine». Un primo modesto tentativo di indagine archivistica è stato effettuato da un gruppo di giovanissimi studenti avezzanesi, i quali nel 1983 hanno pubblicato a proprie spese un breve saggio intitolato La diocesi dei Marsi dal 1860 al 1876, (11) il cui terzo capitolo tratta specificamente della reazione nella Marsica e dei rapporti tra clero e brigantaggio. In poche pagine, i giovani autori dell’opuscolo hanno tentato di evidenziare i legami (inevitabili e, spesso, giustificabili) tra chiesa locale e reazione antiliberale, fornendo una traccia per ricerche di piú ampio respiro, che dovrebbero essere fatte per tutto il Meridione (sulla scia di una metodologia tipo «Annales», che Gabriele De Rosa ha introdotto in Italia per la conoscenza di alcune zone periferiche della Campania, della Puglia e della Basilicata) e che potrebbe aiutarci a meglio comprendere una delle cause piú vere del brigantaggio meridionale: e cioè lo sconvolgimento (che fu soprattutto economico e sociale) provocato dai Piemontesi nel Sud, dove, colpendo l’organizzazione e i beni della Chiesa, si veniva a distruggere, improvvisamente e drammaticamente, un’intera società agricolo-pastorale, il cui perno strutturale e morale era rappresentato appunto dalla Chiesa. (12)
NOTE