IL FUCINO (i primi passi verso la riforma)

Sono trascorsi molti dal prosciugamento del lago e poco meno dalla inclusione del Fucino nella legge di Riforma Agraria. II prosciugamento, opera titanica di ingegneria, sconvolgeva la geografia della zona, trasformava i pescatori in contadini, faceva emergere dal fondo del lago la piattaforma fertilissima dei 14 mila ettari che diventava il centro di una immigrazione crescente dalle circostanti montagne. Scriveva un resocontista nell’anno 1893: « … la popolazione peschereccia che viveva sul Fucino – lago era di 200 e più pescatori; la popolazione che vive sul Fucino – latifondo e di 6.700 agricoltori tra affittuari, mezzadri e coloni. Una vasta zona e appoderata secondo il sistema toscano ed e divisa in 40 poderi di 25 o 50 ettari ognuno… » ’.

I dati demografici, negli anni seguenti, continuarono a salire. al coloni del Teramano e delle Marche ed agli operai affluiti da ogni parte per i lavori della bonifica si sommarono gli immigrati sopraggiunti per la ricostruzione della Marsica dopo il terremoto del 1915 e trasferitisi poi alla coltivazione della terra. Cosicché nel 1950, rispetto al 1861 quando il prosciugamento del lago era appena iniziato, la popolazione del Fucino riSultava aumentata del 150’/o e sul latifondo insistevano ben 11 mila famiglie affittuarie o subaffittuarie, 55 famiglie coloniche e 3 mila famiglie bracciantili. Le affittanze. per la meta, non raggiungevano L’ettaro di ampiezza ed erano spezzonate in tre, quattro, cinque comuni diversi in un mosaico polverizzato e decomposto di circa trentamila particelle. II pesante squilibrio fra la terra e L’uomo si era ripercosso sui problemi dell’insediamento, dell’occupazione, delle malattie ociali, della istruzione pubblica. Alla fine a seconda guerra mondiale, fra cicatrici del terremoto non ancora rimarginate, distruzioni causate dai bombardamenti ed il sovraffollamento post-bellico, la crisi edilizia nei paesi ripuari faceva registrare una carenza di oltre 25 mila vani con circa duemila famiglie ricoverate in grotte, baracche e cantine. Di fronte ad una situazione siffatta, « che fare? ».

Era questo L’interrogativo finale rimasto sospeso su Fontamara », il libro-messaggio di Ignazio Silone, attraverso il quale il Fucino era assurto ad emblema, intemazionalmente noto, della depressione del Sud. « Dopo tante pene e tanti lutti – si chiedeva lo scrittore – dopo tante piaghe e tanto odio, tante ingiustizie e tanta disperazione. che fare? ». Fontamara, con una anticipazione che risaliva all’anno 1933 in cui il romanzo era stato pubblicato, una risposta L’aveva gia data: « … di colpo si accese in noi l’antica speranza. la buona. grassa, fertile terra del Fucino, deve appartenere a c chi la coltiva! ». Fu il preavviso della Riforma Agraria e nell’anno 1950 Fontamara, da « poema epico-drammatico come era stato definito, divento storia. L’ex-alveo appariva abbandonato a se stesso le opere di bonifica ristagnavano, le strade erano iritransitabili, sepolte nel fango.

La disoccupazione cresceva « … la mattina del lunedì 6 febbraio 1950 – ricorda Adriano Pizzuti in Le Affittanze agrarie nel Fucino – i disoccupati imboccarono le strade del comprensorio. badili in spalla, i carri al seguito, la internazionale sulle labbra e le donne a salutare e incitare… La mattina del 7 febbraio dettero inizio, arbitrariamente e contro la volontà del proprietario del latifondo, al lavoro di riattamento delle strade del Fucino, col duplice proposito di porre termine alle deficienze di manutenzione di tali opere di fondamentale e comune attività per i fittavoli e di elevar pretese di remunerazione per L’esecuzione dei lavori stessi… Nella seconda metà di febbraio il movimento si estende al fittavoli… Il 14 febbraio sciopero generale in tutta la Marsica… II 19 marzo il Ministro dell’Agricoltura Segni si recava a visitare la Marsica .. II 31 marzo un decreto ministeriale sanciva L’equo canone per il 1949… Aprile: al lavori di imponibile gli uomini si recavano sempre inquadrati, le assemblee erano frequentatissime e, di pari passo, le riunioni ministeriali.

La sera del 30 aprile 1950, nella piazza del Comune di Celano, la gente era più numerosa del solito e più del solito irrequieta, in concomitanza e in relazione alla irrequietezza delle laboriose trattative che si stavano svolgendo nella stanza del Sindaco, intorno al tavolo della commissione per L’imponibile. Le difficoltà di soluzione e i conseguenti dibattiti infuocarono gli animi: al fuoco degli animi seguì quello delle armi. alcuni braccianti caddero feriti – e due per morirvi – sul lastricato di Celano… ». E la carrellata delle sequenze drammatiche che portarono alla unitaria richiesta delle popolazioni locali al Governo centrale per L’inclusione del Fucino nella legge stralcio. « … si susseguirono riunioni, assemblee, comizi, cortei – scrive Romolo Liberale nella monografia sul movimento contadino del Fucino –: larghe e rappresentative commissioni si recano dalle autorità. Salvo rare eccezioni, le rivendicazioni che stanno al centro della lotta vengono unanimemente condivise persino dai parroci che aderiscono al Comitati locali. Torlonia è sempre più isolato». Si arriva così alla Riforma.

Testi di Gennaro Pinelli

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