IL FUCINO (il Fucino tra età Tardo-Antica e medioevo)

Come accadde per il resto d’Italia, anche per la regione abruzzese e quindi per l’area fucense, nel III secolo d.C. l’ordinamento territoriale instaurato da Roma comincio a manifestare i primi segni di crisi e si avviarono quei processi di trasformazione che portarono all’assetto insediativo della Tardo-antichità’. Determinanti in questo processo furono, oltre alla crisi economica e politica che investi l’Impero, alcuni gravi eventi naturali che incisero profondamente sulle strutture insediative, quali terremoti (di particolare gravita quello del 346) ed inondazioni che cominciarono ad essere frequenti, contribuendo al riformarsi del lago Fucino, causato dalla mancata manutenzione dell’emissario claudiano. Nel IV secolo furono realizzati alcuni restauri alla rete viaria, in particolare lungo la via Tiburtina-Valeria, che, insieme alla Claudia-Valeria, aveva assunto nuova importanza, grazie al ruolo di collegamento svolto tra Roma e l’Illirico che in quegli anni era divenuto un nodo importante dello scacchiere politico e sede imperiale (Spalato).

Allo stesso periodo risalgono gli ultimi consistenti interventi di ristrutturazione e restauro dei centri urbani, molti dei quali da attribuirsi alle conseguenze del sisma del 346. Esemplare in tal senso e il caso di Alba Fucens, dove gli scavi di questi ultimi venti anni hanno evidenziato con chiarezza le distruzioni causate dal terremoto e i successivi restauri. L’estensione e la capillarita di questi interventi, sebbene in un’ottica ormai diversa da quella della città imperiale, farebbe pensare ad un generale riassetto urbano, che non deve aver alterato sostanzialmente la vitalità e l’uso della città romana. Tra gli interventi edilizi successivi al terremoto il più interessante e quello relativo ad un piccolo edificio absidato mononave, nei pressi del foro, interpretato dagli scavatori come edificio di culto, che si colloca al di sopra degli strati di crollo causati dal sisma, obliterando uno dei tracciati viari della città romana. Anche a Marruvium gli scavi recenti hanno evidenziato ristrutturazioni e cambiamenti di uso in alcune aree della città, attestando una continuità di frequentazione per tutto il IV secolo. Solo successivamente si e probabilmente attuato un processo di restringimento dell’abitato lungo l’asse centrale della viabilità antica, su cui si andò ad attestare la chiesa di S. Sabina, la cui intitolazione e nota dalle fonti fin dal secolo XI, in relazione alla sede della diocesi dei Marsi .

Per quanto riguarda il territorio i dati sono più scarsi, anche per la limitatezza delle indagini relative a questo periodo. Dai pochi dati oggi in possesso sembra delinearsi un quadro di sostanziale continuità, se non di ripresa di vigore, dell’assetto vicano di tradizione italica. Sono infatti abbastanza numerosi i vici per i quali e attestata una fase di frequentazione tarda, sebbene attestata dalla sola presenza di materiali ceramici e numismatici e quasi mai confermata da elementi strutturali . Anche il sistema delle ville conosce alcuni casi di continuità insediativa fino al IV secolo, ma molti siti sembrano essere stati abbandonati già alla fine del II, inizi III secolo, segno evidente che questi impianti furono quelli maggiormente colpiti dalla crisi economica e dalle mutate condizioni ambientali . Resta da chiarire il rapporto tra queste strutture, che appaiono precocemente in crisi, e gli edifici di culto, con le relative aree funerarie che in alcuni casi vi si sovrappongono, con apparente soluzione di continuità, come attestano gli scavi della villa di S. Potito di Ovindoli”, posta non molto lontano dalla sponda settentrionale del Fucino, lungo l’importante asse viario che collegava il bacino fucense con l’Altipiano delle Rocche. In questo caso le strutture della villa vengono abbandonate probabilmente tra la fine del II e l’inizio del III secolo d.C.. Successivamente, forse intorno al IX secolo, al di sopra dello strato di crollo della villa si installa un edificio di culto absidato, attorno al quale si sviluppa un’area funeraria.

I dati di scavo di cui si dispone non permettono di delineare alcuna relazione tra questa fase altomedievale e il precedente insediamento, se non la continuità topografica. D’altra parte, l’edificio presenta delle caratteristiche molto simili a quelle della struttura absidata presso il foro di Alba Fucens, confrontabile anche con altre rinvenute in contesti urbani di epoca tardo antica (Amiternum, Herdonia)’. L’assetto territoriale romano venne inoltre modificato dalla diffusione del cristianesimo, che per quanto riguarda l’Abruzzo sembra avvenuta piuttosto precocemente data la vicinanza con Roma, seguendo le più importanti arterie viarie ed incentrandosi sulle principali realtà urbane’. Nel bacino fucense le testimonianze relative ai primi secoli del cristianesimo sono assai scarse4, ma ad esso e legata l’unica attestazione nota per la regione marsicana di un culto martiriale, legato a reliquie vere o presunte: quello relativo al complesso di S. Cesidio di Trasacco. Le vicende del presbitero Cesidio, martire del III secolo, sono narrate da una passio, il cui nucleo più antico risale ai secoli compresi tra il IX e l’XI. In base ad essa Cesidio sarebbe giunto a Trasacco con il padre, Rufino, dall’Oriente ed entrambi sarebbero stati successivamente martirizzati, il primo a Trasacco stesso, il secondo ad Assisl’. La chiesa dedicata al martire sorge al centro dell’attuale paese di Trasacco, erede del vicus romano di Supinum, e si conserva sostanzialmente nella sua ricostruzione del XIII secolo, nonostante le modifiche apportatevi nel XVII secolo’ .

Le vistose anomalie del suo impianto si devono attribuire alla presenza di un precedente edificio di culto di cui non si conoscono ne la forma n6 il momento di realizzazione, ma che si andò a porre su di un’area funeraria preesistente, rimessa parzialmente in luce da alcuni lavori settecenteschi’. Da questi ultimi si evince la probabile esistenza di un oratorio, a cui era annesso uno spazio funerario ricavato in parte sul piano roccioso ed in parte ipogeo’ . Il primitivo edificio di culto esisteva sicuramente alla fine dell’XI secolo, quando il conte dei Marsi Berardo e sua madre Gemma donarono ud ecclesiam Sancti Cesidii que sita est in Castro quod dicitur Transaquue tutti i beni da loro posseduti nello stesso custrum e, se si vuol dare credito alla passio, la chiesa sarebbe stata distrutta e ricostruita già nel X secolo’ . Non del tutto chiare sono anche le prime fasi dell’organizzazione diocesana e l’originaria localizzazione della sede vescovile. Sembra priva di ogni fondamento la presunta ubicazione della sede vescovile marsicana a Celano sulla base della presenza di un vescovo Valerius episcopus ecclesiue Calenae, al sinodo del 499 .

La prima attestazione sicuramente riferibile ad un vescovo marsicano 6 invece quella di Iohannes episcopus Marsorum, presente al secondo Concilio Costantinopolitano contro i Tre Capitoli alla meta del VI secolo’. B assai probabile che la prima ed unica sede diocesana fino al 1580, quando fu trasferita nel vicino centro di Pescina, sia stata Marruvium, la Civitas Marsicana del medioevo (attuale S. Benedetto dei Marsi) . La cattedrale dedicata a S. Sabina, quasi totalmente distrutta dal terremoto del 1915, si conserva nella costruzione romanica, ma questa intitolazione e attestata fin dall’altomedioevo sebbene mai esplicitamente riferita alla chiesa ma al solo episcopio . La chiesa si colloco su uno degli assi viari della città romana, e attorno ad essa si concentro l’abitato medievale, abbandonando buona parte dell’antica area urbana. E questa l’immagine che si ricava dalla descrizione del vescovo Deodorico di Metz, che al seguito del re Ottone I giunse nella Marsica alla fine del X secolo per reperire le reliquie dei martiri, e che definisce la sede episcopale come sedes super lacum Fucinum sita quid olim fuerit, ruinae urbis et plurimarum circa aecclesiarum ac monasteriorum frequentia attestatur.

Per quanto riguarda l’assetto politico e territoriale nei secoli dell’altomedioevo (VII-XI secolo) le notizie di cui si dispone sono essenzialmente legate alla documentazione scritta, che e però pervenuta con una certa consistenza solo a partire dalla seconda meta dell’VIII secolo. Tale stato delle fonti non permette pertanto di avere una visione esauriente delle modalità di inserimento e dell’organizzazione del potere da parte dei Longobardi, che nella seconda meta del VI secolo si insediarono nella regione, costituendo la prima e consistente forma di potere che si sostituì a quello dell’impero ormai venuto meno . Unica fonte contemporanea agli avvenimenti e quella di Paolo Diacono, che nel descrivere lo stato amministrativo ed i principali centri della provincia Valeria, in cui era compresa la Marsica, alla fine del regno longobardo, menziona come elemento distintivo proprio il lago Fucino La Marsica fu probabilmente, all’indomani della conquista longobarda (seconda meta VI secolo), un gastaldato dipendente dal ducato di Spoleto, di cui costituì l’estremo limite meridionale confinante con il ducato di Benevento.

Sebbene non si conosca con esattezza il sito della residenza gastaldale, anche in questo periodo il bacino fucense doveva svolgere un’importante ruolo di attrazione nei confronti delle principali cariche del gastaldato, non e forse un caso infatti che l’unica attestazione relativa all’abitazione di un funzionario longobardo riguarda lo sculdahis Garibaldo, che nella seconda meta del IX secolo risiede in una casa all’interno della Civitas Marsicana presso le mura Le stesse fonti attestano una nutrita classe di proprietari terrieri, la cui onomastica permette di identificare come Longobardi, che avevano i loro beni fondiari prevalentemente attorno al lago.

Con l’avvento dei Carolingi (fine VIII secolo), la situazione non vario sostanzialmente. Per quest’epoca e noto il centro fiscale, localizzato grazie ad un documento dell’835, presso la Civitas Marsicana . Accanto ad esso avevano assunto un ruolo non solo religioso i numerosissimi monasteri e gli insediamenti ad essi legati, che sono ampiamente attestati dalle fonti scritte a partire dall’VIII secolo, e che i franchi utilizzarono per un controllo capillare del territorio . L’assetto territoriale di quegli anni doveva essere caratterizzato dalla presenza delle numerose dipendenze dei potenti monasteri di Farfa, Montecassino, S. Vincenzo al Volturno, Subiaco e più tardi S. Clemente a Casuaria. Il bacino fucense costituiva infatti un’area privilegiata per l’insediamento di questi centri che alle funzioni religiose affiancavano un’importante attività economica: la presenza del lago e l’estesa piana rivierasca servita da una capillare viabilità garantivano ottime possibilità di sfruttamento sia delle risorse agricole che di quelle legate alla pesca.

Tra l’VIII ed il X secolo l’assetto insediativo attorno al lago, sulla base della documentazione scritta, e caratterizzato pertanto da tre principali forme insediative : una urbana o quasi urbana che comprende gli insediamenti definiti civitas (città con funzione amministrativa), villa (insediamento poco accentrato o sparso), castrum (insediamento fortificato). Il secondo e rappresentato dagli insediamenti legati allo sfruttamento agricolo della campagna nelle forme della curtis (azienda agricola organizzata), del casale e della casa. Il terzo e quello ecclesiastico in cui, come si e detto, appaiono strettamente connesse sia le funzioni pastorali, che quelle economiche dello sfruttamento delle campagne, attraverso le strutture definite monasterium (monastero), celk (piccolo insediamento monastico all’interno di un podere), ecclesia (chiesa), oratorium (oratorio privato).

Tra i monasteri più importanti dell’area fucense vanno ricordati quello di S. Maria di Luco , dipendente da Montecassino, che possedeva molte terre ad ovest e a sud del lago e quello di S. Maria in Apinianici, a sud est dell’attuale centro di Pescina, dipendente dall’abbazia di S. Vincenzo al Volturno. Altri insediamenti monastici erano S. Adriano in Placidisci, S. Benedetto e S. Maria in Auretino, tutti sulla sponda settentrionale del lago, tra Paterno e Celano, e S. Euticio in Arestina presso l’odierna Venere. Attualmente non si hanno però testimonianze archeologiche di questi insediamenti per l’altomedioevo in quanto nessuno di essi e stato oggetto di indagini sistematiche, e nei casi più fortunati esiste ancora il solo edificio di culto, nella sua ristrutturazione di età romanica, come nel caso di S. Maria di Luco.

Delle Fasi più antiche si conservano alcuni elementi dell’arredo liturgico (lastre di ciborio, transenna della recinzione presbiteriale, capitelli), ad attestare la ricchezza di questi edifici e a fornire un prezioso campionario delle capacita artistiche ed artigianali delle botteghe che li hanno prodotti’. Nel X secolo con l’inserimento dei conti dei Marsi come nuovi protagonisti della scena politica della regione, si avvia però un radicale cambiamento della geografia politica e di potere nel territorio, che comporto delle trasformazioni anche nell’assetto insediativo. Questa famiglia giunta in Italia al seguito del re Ugo di Provenza si inserì nelle vicende politiche locali e, attraverso un’oculata strategia di acquisizione di terre, alla fine del X secolo si presento come la nuova potenza egemone della regione. Nell’ultimo quarto del X secolo i discendenti di Berardo I, il primo conte noto dalle fonti, posero definitivamente sotto il loro controllo L’area fucense con i principali assi viari di collegamento, terminando il processo di acquisizione territoriale iniziato dallo stesso Berardo.

Questa presa di possesso si attuo tramite tre operazioni: l’acquisizione di terre, per mezzo di contratti a livello con i principali monasteri; la creazione di monasteri privati, come quello di S. Maria in Valle Porclaneta (foto 4), ed il controllo della sede episcopale. Tali operazioni si incentrarono, soprattutto nella fase iniziale della affermazione del potere comitale, attorno al bacino fucense. Dal punto di vista monumentale il potere dei nuovi signori si concretizzo in particolare con la costruzione di strutture fortificate, avviando anche nella regione marsicana il processo di incastellamento del territorio. Le attestazioni più antiche di questi impianti note dalle fonti sono tutte relative al bacino fucense, in linea con l’espansione del potere della famiglia comitale che ebbe come obiettivo prioritario il controllo dell’area attorno al lago. La torre di Trasacco, nota da una fonte del 999, costituisce la più antica struttura fortificata altomedievale annessa nella Marsica dai documenti e probabilmente rappresenta anche la prima residenza comitale nella regione. Anche gli antichi municipi romani di Luco, di Alba, e di Marruvium, la Civitus marsicana delle fonti medievali, furono totalmente o in parte fortificati in quest’epoca riutilizzando forse in parte le mura di epoca romana.

Come per i monasteri anche queste fortificazioni quando anche si sono conservate fino ad oggi non si presentano nelle loro forme originarie, ma sono il frutto di continue ristrutturazioni, se non addirittura di totali ricostruzioni successive all’altomedioevo. Per alcune di esse un’attenta lettura delle fasi costruttive permette di rintracciare qualche piccolo lacerto murario delle prime fasi edilizie, ma nella maggior parte dei casi solo una sistematica indagine archeologica potrebbe riportare alla luce le strutture più antiche. L’inserimento dei castelli nella maglia insediativa esistente avvenne tenendo conto essenzialmente della rete viaria e solo in minor misura dei centri esistenti o delle preesistenze.

La stretta relazione che emerge tra fortificazioni e viabilità permette in primo luogo di verificare ancora nel X e nell’XI secolo la piena efficienza della rete stradale romana. Ad essa si affianca una capillare rete di collegamenti a carattere locale, ma anche sovraregionale già attiva in epoca romana, ma molto probabilmente erede della fitta maglia insediativa protostorica. La fortificazione del territorio subi una netta accelerazione dopo la conquista normanna nella prima meta del XII secolo. La nuova organizzazione territoriale, minuziosamente delineata nel Catalogus Baronum, sanci la definitiva scomparsa della contea dei Marsi, e l’affermazione ancora una volta di una struttura territoriale incentrata sul bacino fucense. La regione marsicana fu divisa nelle due contee di Alba e Celano-, la prima comprendeva tutta la zona tra il Velino ed il Fucino, la sponda sud occidentale del lago e parte della valle Roveto, tra Civitella Roveto e Rendinara; la seconda interessava la sponda nord orientale del Fucino ed un nucleo di beni posti sul confine orientale, appartenenti alla limitrofa regione valvense Il nuovo ordinamento poté allora contare su una capillare rete di controllo del territorio organizzata attraverso i singoli castra, veri centri del potere militare e civile, e coordinata dai due centri delle contee, Alba e Celano, che divennero città egemoni dei rispettivi ambiti territoriali.

In quest’epoca il bacino fucense era ormai costellato di centri fortificati, collocati sui rilievi circonlacustri, e da essi ebbe inizio un processo insediativo che avrà un peso determinante nella formazione del paesaggio antropico che caratterizza la regione ancora oggi: quello della concentrazione dell’abitato intorno ai nuclei fortificati, con la creazione dei borghi che a loro volta furono muniti di cinte murarie ed apprestamenti difensivi (foto 5). Le fonti scritte ed i caratteri costruttivi permettono di attribuire questa fase insediativa al pieno medioevo (XIV-XV secolo). Si delineo così l’aspetto caratteristico della conca fucense con i suoi borghi fortificati attorno al lago, collegati da una rete di percorsi di mezzacosta, e con una rada maglia di insediamenti sparsi nelle parti pianeggianti. E questo il panorama che tanto colpi i viaggiatori dell’Ottocento da Lear a Craven e che si trova ancora rappresentato nelle ultime vedute realizzate prima del prosciugamento del lago.

Testi di Maria Carla Somma

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