IL FUCINO (l’età del ferro)

Il passaggio all’età del Ferro, nel primo millennio a.C., appare significativo nel Fucino, soprattutto per la comparsa degli abitati di altura, naturalmente ed artificialmente, fortificati. Infatti seguendo un trend generalizzato per la gran parte dell’Italia centrale appenninica ed adriatica (AA.Vv. in corso di stampa), vengono abbandonati in larga maggioranza gli insediamenti posti in posizione pianeggiante e indifesa, creandone di nuovi collocati in posizione dominante, sulle cime dei rilievi montuosi.

Si tratta di un chiaro sintomo di un alto livello di conflittualità interna e costante, che sembra contraddistinguere gran parte della protostoria italiana, e derivare da un moltiplicarsi di piccole realtà sociopolitiche non aderenti o confluenti in un potere centrale più ampio e vincolante. Tale fenomeno e stato già chiaramente letto in altri contesti storico-geografici, quali la costa medio-tirrenica e quella medio-adriatica (AA.Vv. in corso di stampa B) relativamente alle fasi avanzate della media età del Bronzo (XV-XIV sec. a.C.). Nel comprensorio fucense questo fenomeno sembra avvenire in epoca relativamente più recente, nel corso cioé dell’ultima fase dell’età del Bronzo Finale (XI sec. a.C.), a giudicare soprattutto dall’abbandono dei due villaggi meglio noti dell’area, quello di Celano Paludi, e quello di Ortucchio Strada 28. Strumento utile per la comprensione delle dinamiche insediamentali del territorio in esame, anche in questo caso, risulta la carta di distribuzione elaborata con il metodo dei poligoni di Thiessen relativa all’età del Ferro (primo millennio a.C.); essa e stata tratta da uno dei lavori più recenti di Giuseppe Grossi (GROSSI 1991, p. 199) ed e frutto, in gran parte, di ricerche di superficie, di archivio o di segnalazioni, purtroppo, sovente, senza il riscontro derivante da scavi sistematici.

Pertanto essa può essere considerata come un utile strumento per la conoscenza del territorio, ma il suo utilizzo e fortemente condizionato soprattutto dall’assenza di dati stratigrafici e cronologici puntuali; convenzionalmente possiamo attribuire agli oltre cento siti posizionati su tale carta un intervallo di tempo abbastanza ampio, compreso fra la prima età del Ferro e l’età Arcaica (X-VI sec. a.C.). Appare subito evidente come vi siano due modi differenti di occupazione e di utilizzazione del territorio che gravita intorno all’alveo del lago Fucino: il primo si colloca nell’angolo nord-occidentale del bacino lacustre dove non si hanno più tracce di insediamenti posti sulla riva del lago, ma sembra svilupparsi un articolato sistema intorno ad un central place individuabile nel sito di Alba Fucens; il secondo riguarda il restante e più cospicuo territorio fucense, dove si notano alcuni sistemi insediamentali gravitanti attorno a differenti, plausibili, central places, che appaiono in diretta interazione con il lago stesso.

Per quanto riguarda il primo dei sistemi di occupazione e controllo del territorio, intorno alle colline di Alba Fucens (sito n. 9) si nota un doppio anello di necropoli, uno interno al territorio specifico di Alba (siti n. 8-10-106), un altro esterno (siti n. 3-411-12-13-16), ricadente nei comparti territoriali degli insediamenti che fanno corona alla citta, facendo emergere, quindi, un poligono centrale con assi principali oscillanti fra i quattro-cinque km di lunghezza (un’ora di cammino a piedi) e quindici centri satelliti per un areale complessivo di più di cento kmq. Il passaggio storico, che, relativamente alla dinamica insediamentale, nell’età del Ferro si caratterizza con l’abbandono degli abitati di fondovalle in favore di quelli d’altura, e in questo caso comprovato dall’abbandono dei villaggi perilacustri dell’età del Bronzo, precedentemente in uso fra Avezzano, San Pelino, Paterno e Paludi Celano ( siti 1-8), a vantaggio del sito stesso di Alba Fucens, preesistente (sito 47), e di nuovi insediamenti d’altura, quali quelli posizionati sulle cime di Monte Cimarani (siti 104 e 105) e di Monte San Felice (n. 107), ad ovest, e sui rilievi della catena montuosa Monte Uomo Monte Corvaro I Tre Monti Monte Mallevona (siti nn. 14/22), a nord.

Nell’ambito dello stesso quadro territoriale, la medesima situazione la si riscontra nell’incastellamento che dal sito dell’età del Bronzo (IRTI-COLUCCI 1984, p.349) dei Piani Palentini a Scurcola Marsicana (sito 45) porta al soprastante insediamento fortificato d’altura di Monte San Nicola ( sito 2). Ora, il sistema cosi caratterizzato, sembra controllare la fascia pedemontana del gruppo Velino-Magnola, verso nord, mentre a sud, tramite il controllo di Monte Salviano e di Monte San Nicola, includere il territorio pianeggiante, che da Alba Fucens raggiunge la riva nordoccidentale del lago, compreso fra la valle del Salto e la piana di Avezzano. L’individuazione di questo complesso territoriale, cosi ben identificabile ed enucleato nell’ambito dell’intero comprensorio fucense, diviene significativo elemento di supporto per la teoria (LETTA 1994, p. 153) che vede l’ethnos degli Aequi, come attestato dalle fonti a partire dalla fine del VI sec a.C., già strutturato e differenziato, almeno come specifica cellula insediamentale (le Siedlungsmkammern nella protostoria germanica), già dalla prima meta del primo millennio a.C.

Questa specifica lettura della carta elaborata con i poligoni di Thiessen per l’età del Ferro sembra trovare riscontro e sostegno nell’ambito dei rituali funerari.
Infatti, in quest’epoca, in Abruzzo si manifesta un interessante fenomeno, che vede l’impiantarsi di grandi ed estese necropoli nelle pianure sia montane che costiere: e questo il caso di Campovalano di Campli nel teramano, di Capestrano, di Fossa e di Bazzano nell’aquilano, di Scurcola Marsicana nel Fucino. Si tratta di necropoli, come attestato a Campovalano (XI-II sec. a.C.), a Fossa (X-I sec. a.C.) e a Bazzano (VIII-I sec. a.C.), a lunga ed ininterrotta continuità d’uso, con fasi iniziali (X-VII sec a.C.) caratterizzate dall’utilizzo di sepolture a tumulo, che sottraggono, per quasi un millennio, le pianure nelle quali si impiantano ad ogni uso agricolo-produttivo di tipo cerealicolo. Purtroppo lo stato delle conoscenze sui rituali funerari dell’età del Ferro del territorio fucense e quanto mai carente: infatti, si conosce, attraverso scavi scientifici, solo la necropoli dei Piani Palentini presso Scurcola Marsicana (D’ERCOLE 1990, p. 215).

La necropoli (sito n. 3), posta lungo i margini del corso attuale del fiume Imele-Salto, individuata nel 1984 e oggetto di indagini da parte di Vincenzo d’Ercole della Soprintendenza Archeologica dell’Abruzzo fino al 1987 (D’ERCOLE 1991, p. 253), e situata nella pianura sottostante l’abitato di Monte San Nicola (sito n. 2), e consta, al momento, di trentadue sepolture. L’indagine ha interessato un’area di mq 1000 e sono stati portati alla luce undici tumuli di un diametro compreso fra mt. 3 e mt. 11; essi, delimitati da circoli di pietre, possono contenere da una a dieci sepolture. I due tumuli contenenti una sola sepoltura sono quelli di diametro minore (mt. 3) e pertinenti ad una deposizione femminile adulta, orientata ad est, con fuseruola inserita nel corredo. Per i bambini, invece, il rituale prevedeva sia delle tombe a fossa esterne ai tumuli, che L’inserimento all’interno dei tumuli plurimi.

La monumentalizzazione dei tumuli plurimi era enfatizzata dalla presenza di stele disposte in serie all’esterno dei circoli, conficcate a terra verticalmente ed orientate verso occidente (foto 67). Tale elemento appare particolarmente significativo in quanto, l’orientamento delle stele, consente di proporre analogie e confronti con le necropoli di Celano e di Fossa; sembra quindi che tale costumanza funeraria, tipica dell’Abruzzo interno, iniziata a Celano nell’XI sec. a.C., sviluppatasi appieno a Fossa tra X e VIII sec. a C., perduri nella necropoli di Scurcola almeno fino all’età Orientalizzante (VIIIVII sec. a.C.). Allo stato attuale delle conoscenze, tale necropoli sembra, Foto 10 Disco-corazza in bronzo dalla individuale . Sembra rimanere comunque una predominanza sessuale a carattere maschile delle stele (Guardiagrele, Rapino, Monte Pallano, Capestrano) rispetto a quella femminile rappresentata, con certezza, solo dal torsetto di Capestrano. La necropoli di Scurcola Marsicana collocata all’interno di quel comprensorio, che le fonti storiche attribuiranno agli Equi, trova precise analogie con le necropoli indagate nel vicino Lazio, quali Corvaro di Borgorose (ALVINO 1991, p. 277), e ricadenti nello stesso ambito culturale ed etnico dove si riscontra la medesima e significativa ideologia funeraria, che prevedeva di non deporre vasellame fittile nei corredi funebri.

più difficile identificare una religiosità o costumanza propria degli Equi per quanto attiene i luoghi di culto: mancando, infatti, qualunque traccia di santuari costruiti all’aperto, si dispone soltanto di reperti votivi deposti nel Riparo di Monte La Difesa a Tagliacozzo e nella Grotta di Ciccio Felice ad Avezzano. Nel caso del Riparo posto presso la risorgenza dell’Imele nella parete rocciosa a strapiombo sotto Monte la Difesa a Tagliacozzo, furono raccolti, nel 1972, dei materiali del Neolitico antico e di varie fasi dell’età del Bronzo; nella parte superiore del deposito si sono rinvenuti un occhio apotropaico in argilla ed una moneta in bronzo di età Repubblicana (AGOSTINI-D’ERCOLE 1986, p. 209).

Di più antica acquisizione archeologica e la Grotta di Ciccio Felice che, indagata da Antonio Radmilli negli anni ’50, quindi, segnare la fine dell’utilizzo di questo genere di necropoli di Camerino a Lecce dei Marsi. ha restituito, dopo una frequentazione del Paleolitico menhir, che sembrano contenere una valenza religiosa di tipo naturalistico-astronomico (orientamento verso ponente) poi venuta meno, forse, perché seguita da una religiosità di tipo più trascendentale. Se nelle necropoli di Celano e Fossa l’associazione fra stele e deposizioni di maschi adulti risulta esclusiva, nei tumuli di Scurcola con più deposizioni, questo dato diventa non più verificabile. I tumuli sembrano scomparire nel corso dell’eth Arcaica, per lasciare il posto all’uso di semplici deposizioni in fosse terragne, apparentemente prive di ogni forma di monumentalizzazione e visibilità esterna. L’uso delle stele riprenderà, nell’Abruzzo interno e costiero, in età Arcaica assumendo, pero, una forma spiccatamente antropomorfa (Bellante, Penna Sant’Andrea, Loreto Aprutino, Manoppello, Guardiagrele, Rapino, Monte Pallano, Capestrano, Collelongo, ecc.) con una valenza assolutamente differente, ora più concettuale, cioé come espressione intrinseca della memoria superiore, materiali dell’età del Bronzo, ceramica a vernice nera ed ex votis di epoca ellenistica, quali frammenti di piedi e organi genitali, testine votive, rappresentazioni di animali, ecc. (TERROSI-ZANCO 1966, p. 268).

Caratterizzano la grotta alcuni tratti murari in opera poligonale e dei tagli nel substrato roccioso a modo di mensae per riti di incubazione o altari votivi; il ritrovamento di materiale ceramico databile, secondo gli scavatori, al VII sec. a.C., ha fatto ritenere che la grotta, già in questa fase, fosse destinata a riti cultuali. Ambedue le cavità in esame sono dei lunghi ripari nei pressi dei quali, o, forse all’interno, come nel caso di Ciccio Felice, scorreva, abbondantemente, l’acqua. La situazione della frequentazione delle grotte che, partendo dalla Preistoria, generalmente si conclude nelle ultime fasi dell’età del Bronzo per poi riprendere in modo archeologicamente tangibile solo in età ellenistica (IV sec. a.C.), pone un quesito di carattere generale valido per tutta la regione è effettivamente esistito uno hiatus che occupa i secoli dall’XI al V sec. a.C. durate il quale le grotte non sono state utilizzate, oppure il record archeologico e tale per cui non sono stati sinora identificati materiali diagnostici di queste fasi? Le uniche testimonianze di una continuità d’uso a scopo cultuale delle grotte abruzzesi, anche nella prima meta del primo millennio a.C., sono rappresentate, in maniera evidente, dai materiali della Grotta del Colle di Rapino (vasi e torques in bronzo, fibule in ferro, vasellame fittile M.Vv. 1997, p. 91) e, forse, dalle strutture e dai reperti provenienti dalla Grotta di Ciccio Felice.

Rimane quindi il problema di identificare, in Abruzzo, i luoghi di aggregazione culturale all’aperto tra la fine dell’età del Bronzo e l’ellenismo; allo stato attuale si conosce solo il santuario d’altura di Monte Giove, a Piana S. Andrea, nel teramano. Riprendendo L’esame dell’area dal punto insediamentale con l’ausilio della carta elaborata con il metodo dei poligoni di Thiessen, era già stato individuato un secondo differente sistema di uso e di controllo del territorio, che riguardava la maggior parte del comprensorio fucense ad eccezione del settore nordoccidentale.

Pur rimanendo valide le norme generali quali L’incastellamento degli insediamenti, appare evidente come i possibili siti egemoni si collochino sulle rive del lago, ma ora in posizione arroccata ed elevata e non più nella fascia pianeggiante perilacustre. ciò succede per il sito di Colle Sant’Orante ad Ortucchio ( sito 58), che, in questa fase, sostituisce il millenario sito di Strada 28 ( sito 22) e per il sito di Colle Penna a Luco dei Marsi ( sito 96), che prende il posto del sottostante sito dell’età del Bronzo ( sito 40).

Tali abitati si configurano come principali e inseriti in un sistema di insediamenti, ma non si presentano come central places canonici (con una corona di siti satelliti posti loro intorno), ma sembrano più proiettati ed in interazione con il lago stesso. Una situazione diversa e più conforme ai canoni tradizionali potrebbe essere il sistema identificabile intorno agli abitati di Rotale, Castelluccio 1 e Castelluccio 2 ( siti 44-48-49), che si configura come un piccolo central place, con una dislocazione dei siti circostanti disposti ad ”alveare”, posto a controllo della valle del Giovenco e della pianura perilacustre intorno all’attuale comune di San Benedetto dei Marsi .

Caratterizzante dell’area in esame, appare la dislocazione degli insediamenti d’altura posti a distanze pressoché regolari lungo la valle del Giovenco ad est Tali insediamenti sembrano perpetrare il territorio assolvendo alla funzione di roccaforti poste sulle alture delle linee di cresta, a controllo dei confini naturali scanditi dalle valli fluviali del Liri e del Giovenco. Tra i pochi dati che si possono cogliere per questo comprensorio, durante la prima metà del primo millennio a.C., e che le porzioni di territorio pianeggiante sono alquanto limitate e costituìte, in buona sostanza, proprio dalle tre valli fluviali del Giovenco, del Rio Tana e del Fossato di Rosa e dalle piane create dalla loro immissione nell’alveo del lago. Anche in questo caso, come nel resto della regione, tali aree non sembrano essere state sfruttate a fini agricoli, ma per l’impianto di necropoli e ciò e evidentissimo nella Vallelonga (necropoli nn. 83-84-85-86-9192-93-95), nella piccola valle di Amplero (nn. 77-79), ai bordi della valle di Ortucchio (nn. 53-59-60-68), ma soprattutto nella piana fra il Giovenco e il torrente La Foce (nn. 24-27-28-31-32-33-36-37-41).

Purtroppo malgrado il cospicuo numero di necropoli segnalate, pochissimi sono in realtà i contesti archeologici indagati relativamente alla prima età del Ferro e alle fasi Orientalizzante ed Arcaica (X-VI sec. a.C.). Si conoscono, infatti, solo tre corredi, provenienti uno dalle Pergole di Pescina e due da Camerino di Lecce dei Marsi ( sito 68; AGOSTINI D’ERCOLE 1994, p. 124); si trattava, nel primo caso, di un corredo maschile riferibile all’VIII sec. a.C., andato disperso in occasione del terremoto del 1915, comprendente una punta di lancia con sauroter in bronzo, una spada in ferro con fodero in lamina di bronzo, anellini, una fibula e due bacili in bronzo. Delle due sepolture ad inumazione in fossa con copertura in pietre, di età Orientalizzante (VIII-VII sec. a.C.) messe in luce da Vincenzo d’Ercole presso Lecce dei Marsi nel 1990, una conteneva un pugnale ad antenne, una lancia in ferro ed un vaso di bronzo, L’altra un disco-corazza in bronzo (foto 10), un anello in bronzo ed un utensile di cui si conservava il manico in ferro con agemina in bronzo associato a delle piccole sfere di ferro (AGOSTINI-D ERCOLE 1994, p. 125).

Tra il materiale della collezione Torlonia vi sono alcune spade con elsa a croce in ferro riferibili al VI sec. a.C., della punte di lancia in ferro, un elmo tipo piceno del VI sec. a.C., un elmo di tipo Negau del V sec. a.C., del materiale in bronzo quale un vaso, dei bracciali e delle fibule con staffa a balestra del IV sec. a.C.; anche in questo caso si ripropone, come per i manufatti del secondo millennio a.C., l’interrogativo se siano riferibili ad una necropoli che dell’età del Bronzo Finale prosegua sino ad epoca ellenistica oppure ad una offerta al santuario. Pur nella scoraggiante limitatezza dei dati disponibili, si possono comunque trarre alcuni elementi di carattere generale.

La presenza di armi nei corredi ci riconduce ad un rituale funebre attestato in Abruzzo agli inizi dell’età del Ferro, come dimostrato dalle tombe più antiche (X-IX sec. a.C.) della necropoli di Fossa, mentre L’uso dei bacili in bronzo (attestato in tutto l’Abruzzo a partire dall’VIII sec. a.C.) in concomitanza con l’assenza del vasellame fittile, sembra assimilabile a quanto rilevato nella necropoli di Scurcola Marsicana, anche se da essa si discosta per l’assenza dei tumuli inscritti in circoli di pietre. E’ abbastanza evidente come, nell’ Italia centrale appenninica ed adriatica, esista una sorta di linea di demarcazione che sembra dividere le aree in cui sono utilizzate le tombe a tumulo con circolo di pietre, da aree in cui tale rito funerario non e presente. La linea di confine potrebbe passare tra il corso dell’Aniene, la riva settentrionale del Fucino e il corso del Pescara: solo a nord di tale linea, e cioé in Umbria, nelle Marche, in Sabina, nell’Abruzzo costiero settentrionale, nella piana dell’Aquila, nella Conca Subequana e nel Cicolano fino alla riva nord-ovest del Fucino, sono attestati i tumuli . In dettaglio tale tipo di sepoltura e presente in 4 necropoli marchigiane (Tolentino, Moie di Pollenza, Matelica, Ponte di Pitino), in 5 necropoli umbre (Spello, Gubbio, Gualdo Tadino, Monteleone di Spoleto e Terni), in 2 sabine (Borgorose e Tivoli) e in 17 abruzzesi.

La metallurgia fucense che tanto brillava nel corso dell’età del Bronzo sembra continuare a rifulgere anche . nella prima meta del primo millennio a.C. soprattutto nella produzione dei dischi-corazza (kardiophilax), le placche circolari di bronzo che proteggevano sul torace e sulla schiena la regione cardiaca dei capi guerrieri (Papi 1990). Appare estremamente interessante la decorazione presente su tali manufatti che oltre ad essere letta in senso cronologico, dall’VIII al VI sec. a.C., potrebbe anche avere una logica di clan o di territorio, rappresentando cioe, attraverso i suoi simboli (geometrici, astronomici, mitologici, animaleschi) o gli animali totemici del popolo di appartenenza o il repertorio decorativo caratteristico di una singola discendenza. C’e da considerare che dei circa 150 esemplari di dischi-corazza abruzzesi noti, meno del 10% ha una provenienza da contesto di scavo certo, gli altri o recano indicazioni generiche o il ritrovamento e suffragato da informazioni orali a carattere incerto.

Malgrado ciò appare comunque evidente come la coppia dei dischi delle stesse dimensioni, con animale fantastico, il cosiddetto quadrupede a collo di cigno (foto 11), sia diffusa nell’Abruzzo interno e costiero meridionale (Alfedena, Opi, Barrea, Paglieta, Villalfonsina, Vasto, Torricella Peligna, Guardiagrele, Pescosansonesco e Luco dei Marsi), a sud del Fucino e del fiume Pescara, cioe, nei territori che saranno poi attribuiti ai veri e propri Sanniti: Pentri, Frentani, Carricini e Marrucini. Nel comprensorio montano dei Vestini (foto 12 Capestrano, foto 13 Fossa, Bazzano) si rinvengono, invece, coppie di dischi-corazza, di cui quello posteriore leggermente più piccolo, privi di decorazione, di forma bilobata o a pelta, del tipo cosiddetto Mozzano (COLONNA 1991, p. 55). Nel territorio fucense i dischi corazza presentano, generalmente, una stella a cinque punte come decorazione centrale (fig. 14); andando però ad esaminare nel dettaglio e dando valore e peso diverso ai rinvenimenti più accertati, questo particolare emblema sembrerebbe più caratteristico della riva settentrionale del Fucino: Scurcola Marsicana, Corvaro di Borgorose, Alba Fucens, Massa d’Albe, Forme, Magliano dei Marsi, Cerchio, Collarmele.

Da notare come in alcuni casi sembra, che il disco portato sul retro sia molto più piccolo, circa la meta, di quello anteriore”. Esiste poi un’ampia gamma di variabilità all’interno della categoria che sembra ricondursi o a motivi circolari concentrici, senza uno specifico emblema centrale (Cerchio, Aielli, Magliano dei Marsi, Ortucchio, Casacanditella) o, in alcuni casi, il centro dei dischi e occupato da un elemento decorativo, una sorta di ruota dentata, che potrebbe essere letto, in via probabilistica, come il sole con i suoi raggi (fig. 5); a quest’ultima categoria si potrebbero attribuire degli esemplari da Gioia dei Marsi e da San Benedetto dei Marsl. Un sole pieno e sfavillante potrebbe essere quello rappresentato al centro dei dischi di Ortucchio e Sulmona. E solo a partire dalla fine del VI sec. a.C., che nella storiografia romana comincia ad essere menzionato il popolo degli Aequi contro il quale i Romani condurranno una guerra nel 408 a.C., che li portera a distruggere trentuno roccaforti eque tra cui un castellum ad lacum Fucinum (Livio IV, 57, 7); da tale testimonianza appare evidente che gli Equi dovevano occupare una postazione a valenza chiaramente strategica in prossimità del lago Fucino, che Cesare Letta ha identificato con la città di Alba Fucens, distrutta nel corso della seconda Guerra Sannitica ed in seguito recuperata con la costituzione di una colonia latina nel 303 a.C.. Risulta quindi evidente che il territorio degli Equi, nell’ambito del bacino fucense, era collocato a nord-ovest del lago Fucino.

A metà del IV sec. a.C., nel 343 a.C., in occasione delle Guerre Sannitiche, anche i Marsi compaiono nelle fonti storiche romane e sappiamo che essi dovevano occupare il restante territorio intorno al lago Fucino. E diBicile dire quali possano essere i prodromi archeologici di tali distinte etnie, degli Equi e dei Marsi, come le conosciamo attraverso le fonti storiche per la seconda meta del primo millennio a.C.. Gli unici elementi che ci sembrano possano avere una qualche rilevanza in tale senso sono alcune costumanze funerarie, quali l’uso del tumulo e delle stele nella zona nord-occidentale, i differenti schemi decorativi presenti nei dischi-corazza ed, infine, la diversa dinamica insediamentale che vede nell’angolo nord-occidentale un central place, ”classico”, su altura con un sistema anulare di siti satelliti, mentre nel restante territorio fucense i siti più importanti sono collocati in prossimità delle rive del lago, forte la tentazione di identificare nell’angolo nordoccidentale del Fucino una cultura che potremmo definire ”proto-equa”, mentre il resto del territorio sembra essere stato appannaggio di un civiltà ”proto-marsa”.

Dei possibili segni di confine fra tali ambiti culturali potrebbero essere letti nell’allineamento degli insediamenti disposti a formare una barriera individuati sui rilievi collocati sulla destra del Rio di Santa Iona ( siti 14-18-19-20-21-22) e nei luoghi di culto rappresentati dalla Grotta di Ciccio Felice e dalla città-santuario di Lucus Angitiae.

Testi di Roberta Cairoli e Vincenzo D’Ercole

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