IL FUCINO (preistoria recente)

Per quanto riguarda il primo neolitico, quello a ceramica impressa (V millennio a.C.), la maggior parte degli insediamenti noti, sei su otto, sono collocati intorno all’attuale paese di Ortucchio, nella conoide formata dal torrente Rio Tana (Ortucchio Strada 28, Colle Santo Stefano, Sant’Orante, Misola, Rio Tana, Venere Restina); anche le grotte (Radmilli 1998) utilizzate in questa fase sono collocate sui margini occidentali di questa vallata (La Punta, Maritza, San Nicola, Continenza). Al di fuori di questa ristretta area vi sono tre insediamenti e una cavità utilizzate dall’uomo sulla riva nord del lago (Paterno e Paludi a Celano), nella Vallelonga (Trasaulo) e nella valle del Liri.

La medesima situazione insediamentale sembra protrarsi anche nelle fasi più recenti (Catignano, Ripoli e Paterno) del Neolitico (IV millennio a.C.), quando i siti (Ortucchio Strada 28, Misola, Colle Santo Stefano, Madonnella 2) e le grotte (Maritza, San Nicola, La Punta, Continenza, La Cava, Tronci) continuano ad addensarsi nell’angolo sud-orientale del lago intorno alla piana di Ortucchio.

L’unico insediamento, collocato quasi all’opposto angolo nord-occidentale del lago, che continua ad essere utilizzato, anche in questa fase, e quello di Paterno a Celano. Dal sito di Paterno prende nome una facies archeologica che sembra caratterizzare, in Abruzzo, il passaggio fra Neolitico ed Eneolitico. Anche nel terzo millennio a.C. (Eneolitico o età del Rame) il panorama archeologico sembra rimanere immutato con un addensarsi di insediamenti e di grotte nel solito ”triangolo” compreso fra Trasacco ad ovest, Ortucchio e Lecce dei Marsi al centro, e San Benedetto dei Marsi ad est.

E in quest’area, infatti, che conosciamo gli insediamenti di Ortucchio Strada 28, di Madonnella 2, di Misola e di Le Coste di Pescina, oltre alle grotte di Ortucchio, Maritza, La Cava, La Punta (RADI 1989, p. 370). Ed e proprio il villaggio di Strada 28 ad Ortucchio, un sito utilizzato per quattromila anni, a dare il nome all’aspetto archeologico (cultura) che, più di tutti, identifica l’eneolitico abruzzese. Alcune sepolture, sconvolte, riferibili all’eneolitico, sono state scavate, nel 1985, da Vincenzo d’Ercole, a San Rufino di Trasacco (IRTI 1988, p. 36) mentre una tomba eneolitica fu scavata nell’Ottocento in località Camerata di Tagliacozzo; infine, un sito specializzato per la pesca e stato individuato da Umberto Irti presso Il Mulino di Trasacco (IRTI 1991, p. 76). Al di fuori di quest’area si hanno testimonianze archeologiche eneolitiche nei due villaggi noti nel territorio comunale di Celano, a Paterno e alle Paludi; in quest’ultimo sito sono stati rinvenuti, nella campagna di scavo condotta nel 1998, dei frammenti di ceramica a squame che testimoniano almeno una frequentazione dell’area (cfr. Cosentino, d’Ercole, Mieli infra) ’.

Tracce di utilizzo durante il terzo millennio si presuppongono anche per la Grotta di Ciccio Felice ad Avezzano per la presenza di un frammento di ceramica a squame (RADMILLI 1956, p. 31). La localizzazione dei siti archeologici dal Neolitico all’Eneolitico (V-III millennio a.C.) ci permette di effettuare alcune considerazioni sul modo di vivere degli antichi abitatori del lago del Fucino durante questi tremila anni di storia. Infatti passando da un sistema di vita basato sulla caccia, sulla pesca e sulla raccolta dei frutti spontanei della terra, come era quello in uso fra il Paleolitico ed il Mesolitico, ad uno basato sull’agricoltura esclusivamente cerealicola (orzo, farro e grano) come quello introdotto nel Neolitico, divengono fondamentali le terre pianeggianti utilizzabili a tale scopo.

La tecnologia neolitica non disponeva di aratri a trazione animale pertanto il terreno veniva dissodato, a mano, dall’uomo con vanga e zappa; erano quindi necessarie delle terre ”leggere” facilmente dissodabili, collocate in maniera tale che si potessero, senza troppa difficoltà, far defluire le acque meteoriche eccessive e, d’altra parte, vicine a fonti d’acqua perenni onde poterle irrigare nei periodi di siccità. Tali esigenze generali sono state affrontate e risolte nel territorio fucense utilizzando le piccole valli fluviali, che confluivano nell’alveo del lago e costituivano gli unici spazi adatti alla coltivazione dei cereali. In particolare la valle più fertile e maggiormente utilizzata nelle varie fasi del Neolitico sembra essere stata quella oggi racchiusa fra i paesi di Lecce dei Marsi, Gioia dei Marsi e Ortucchio, per un’estensione compresa intorno i venti chilometri quadrati e ad una quota sul livello del mare circoscrivibile fra i 650-700 mt. Proprio per questo motivo la maggior parte dei siti neolitici del comprensorio fucense potrebbero essersi affollati intorno a tale vallata.

Alla fine del quarto millennio il sistema di produzione agricola a bassa tecnologia entro in crisi in tutta la regione: tutti i terreni coltivabili erano in produzione o a riposo per tornare naturalmente fertili, la popolazione era venuta via via aumentando, le risorse energetiche non risultarono più sufficienti. La risposta a tale crisi economica fu l’investimento nell’allevamento transumante: l’Abruzzo era in questo particolarmente favorito in quanto ogni cellula territoriale poteva contare, entro brevi distanze, sia sui pascoli estivi in montagna che sui pascoli invernali nelle pianure costiere o nelle conche intramontane. In questo quadro il territorio fucense, con la sua particolare morfologia costituita da un bacino lacustre, strette vallate fluviali, che mettono in diretta comunicazione con i rilievi montuosi, ben si prestava ad un’economia integrata fra agricoltura di fondovalle e allevamento con la tecnica dell’alpeggio (BARKER 1990, p. 39).

Caratteristica naturale del Fucino sembra essere stata l’attenzione posta verso la pesca (trota) testimoniata archeologicamente dai pesi o galleggianti fittili da rete rinvenuti sia intorno ad alcune sepolture in grotta (Maritza, La Punta), che in alcuni siti come il Molino di Trasacco apparentemente specializzati in tale attività . A partire dell’età del Rame l’introduzione dell’aratro a trazione animale permise di mettere a coltura anche terreni più pesanti e, tramite la tecnica dei terrazzamenti, fu possibile, quindi, coltivare, nell’età del Bronzo, i fianchi delle colline con le colture arboree quali vite, ulivo ed alberi da frutta.

Testi di Roberta Cairoli e Vincenzo D’Ercole

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