Tratto dal libro “Storia di Villavallelonga”
(Testi del prof. Leucio Palozzi)
La parte sud-orientale della Vallelonga, occupata dal Comune di Villavallelonga, si insinua, a guisa di cuneo, nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo. In tale territorio si trovano numerosi itinerari naturalistici non contaminati da insediamenti artificiali, ne disturbati dal transito veicolare (13). L’esistenza del Parco è oggi una realtà che merita di essere conosciuta nei suoi presupposti storici, in modo da porre in luce il ruolo della popolazione locale che ha vissuto in un naturale isolamento, favorito dalla condizione feudale fino aI 1806, dalla barriera lacustre del Fucino fino al 1875 e dalla chiostra dei monti che si susseguono a corona lungo le due convergenti catene della Vallelonga.
Quest’area, qualificatasi negli ultimi tempi per il preminente valore naturalistico, consente di verificare la peculiare evoluzione dei criteri di riferimento dell’uomo col suo ambiente ed il cambiamento delle condizioni di vita e di lavoro, degli usi e costumi tradizionali, che conseguono alle esperienze protezioniste condotte nel secolo scorso e in quello attuale. Fuori dal sistema feudale la Marsica e stata interessata dal prosciugamento del Lago di Fucino e dalla costruzione delle strade obbligatorie che hanno facilitato la conoscenza di questo territorio. Un bel documento epigrafico del 1856 costituisce la pietra miliare che riconosce il valore naturalistico del territorio di Villavallelonga.
La piccola pietra, trovata nel centro storico, e ancora collocata sopra il portale n. 32 di Via Colle Quaresima e dice così: « AD HUNC COLLIS QUABRIGESIMALIS BALSAMINUM Aer ReSPIRANDUM ACCeSSI M.G.B. A.D. 1856 ». Il messaggio esprime il seguente significato: Sono venuto a respiare quest’aria balsamica di Colle Quaresima (v. fig. 27, p. 181) (14). Il primo personaggio illustre che in epoca moderna ha valorizzato le montagne del Parco e Vittorio Emanuele II, ultimo Re di Sardegna e primo Re d’Italia, denominato Re galantuomo e padre della patria. Da buon cacciatore il Sovrano era attento alla descrizione delle risorse dell’alta Marsica ed in particolare degli estesissimi e secolari boschi che nascondevano una copiosa selvaggina, peraltro poco insidiata dai cacciatori locali, a causa delle armi ancora assai rudimentali da questi possedute. La ricchezza della fauna si esprime in molti toponimi della Vallelonga: agli orsi rimanda il. Coppo dell’Orso, ai cervi conduce la Valle Cervara, ai gattopardi (o lince da pardus) fa pensare il rotondeggiante Colle Pardo (15-16). Inoltre il torrente Carnello, oggi fossato di Rosa, doveva essere così chiamato perché traeva alimento dalle acque displuviali e sorgenti che segnalavano zone ricche di selvaggina.
Nel 1872 il sovrano d’Italia aveva finalmente deciso di cacciare l’orso nelle montagne marsicane e i consigli comunali (Castellafiume, Balsorano, Collelongo, Villavallelonga, Lecce, Gioia, Pescasseroli, Opi) si affrettarono a deliberare, nella sessione di ottobre, di riservare la caccia grossa al re galantuomo e così fu istituita la Riserva di Caccia a Vittorio Emanuele II. I programmi di caccia prevedevano anche feste e musiche e l’itinerario più suggestivo veniva indicato nella traversata in mulattiera da Balsorano a Collelongo e da Villavallelonga a Pescasseroli. Dopo il 1878, il successivo re Umberto I non si mostro interessato al mantenimento della riserva e la soppresse; ma, nel 1900, Vittorio Emanuele III, nuovo sovrano d’Italia, ripristino la Riserva Reale e, nell’autunno del 1907, fu invitato a cacciare l’orso nel territorio di Villavallelonga.
La popolazione aveva preparato grandi accoglienze e i cacciatori del luogo con le guardie regie avevano predisposto un dettagliato programma di caccia. La zona della battuta era stata individuata nel Vallone Martino, dove il Re si apposto dopo aver lasciato alla fonte Tricaglie la propria vettura a motore (la prima giunta in paese) e dopo essersi inoltrato nella boscaglia con cavalli e guide (17) La battuta per lo scaccio all’orso non tardo a convogliare un bellissimo esemplare nell’area di osservazione del Re, ma il Sovrano rinuncio a colpirlo ed impedì che altri potessero farlo (18) La visita di Vittorio Emanuele III non manco di soddisfare alcune richieste della popolazione locale, come il risarcimento dei danni causati al bestiame e l’interessamento perché il postale giungesse fino a Villavallelonga. Però, con il passare degli anni, le spese per i danni crebbero copiosamente e, nel 1912, la Casa Reale rinuncio alla riserva, limitando, con un decreto dell’anno successivo, la sola caccia al camoscio.
La soppressione della Riserva di Caccia non poteva che comportare, in mancanza del rimborso dei danni, la necessita per i naturali del luogo di ridurre il numero degli animali ritenuti responsabili del danneggiamento, con l’ovvia conseguenza di un assottigliarsi inevitabile di tutta la fauna locale. Dalla statistica degli esemplari uccisi o catturati nel secolo che precede l’istituzione dell’Ente Parco e possibile cogliere il verificarsi di questo fenomeno (19). Dal 1921, con la costituzione dell’Associazione Pro A1ontibus e, successivamente, con l’istituzione dell’Ente Autonomo del Parco Nazionale d’Abruzzo e del Consorzio per la Condotta Forestale marsicana, fu possibile avviare un diverso protezionismo e si ebbe << una novella prova delle buone disposizioni delle popolazioni del parco, le quali, con assoluta fiducia, hanno rimesso, in tal modo, la tutela dei loro maggiori interessi nelle mani dei dirigenti dell’ente autonomo » del P.N.A. (20).
I cittadini di Villavallelonga avevano molta fiducia che il Parco potesse concorrere a promuovere le iniziative turistiche e lo sviluppo economico del luogo; risulta, infatti, che il Sindaco, nel 1925, aveva comunicato all’Ente P.arco il desiderio di alcuni cittadini di investire i propri diritti, in forma di contributo, per la costruzione di un albergo, impiegando nell’opera lire 300.000, ma la disponibilità manifestata non determino il fattivo impegno dell’Ente (21). Negli anni successivi i naturali del luogo sono stati più volte rimproverati per l’eccessivo commercio della legna, che tuttavia era colpito dalla tassa comunale di esportazione, e così anche per la cattiva abitudine di tagliare gli alberi a m. 1,50 dal suolo che comportava la perdita di molto materiale. I Villavallelonghesi negli anni venti esportavano ogni anno circa 2500 metri cubi di legname ed altrettanti costituivano il consumo locale, per cui, se da un calcolo approssimativo il bosco non poteva fornire più di 5000 metri cubi (circa 40.000 quintali) senza intaccare il suo capitale boschivo, senza cioè tagliare più di quanto il bosco era in grado di produrre, non pare che allora si siano verificati eccessivi abusi (22).
Gli accusatori volevano tutelare le foreste « dall’ingordigia smodata delle popolazioni e tener fronte a tutte le deviazioni facili a sorgere nelle menti di gente ingenua ed abituata a considerare il bosco come suo » (23). L’obiettivo di tutela che si pretese di assumere da parte di tali accusatori non consegui molti apprezzabili risultati, giacche veniva formulato da posizione ingrata e ingenerosa nei riguardi dei naturali del luogo. E sufficiente il riferimento ai documenti feudali per rintracciare le plurisecolari privazioni di questa gente che tutto ha potuto dire men che qualcosa fosse stato suo o affermare il suo diritto agli usi civici, mentre ha dovuto condurre una quotidiana lotta per la sopravvivenza, che era dettata dalle necessita esistenziali e non dall’ingenuità delle menti. Piuttosto, e invece deprecabile il fenomeno più tardi osservato quando le ditte forestiere, queste si ingorde, hanno avviato quella che Loreto Grande chiamo la strage degli alberi innocenti. L’Ente Parco, dopo essere stato soppresso nel 1933, per il passaggio della gestione delle montagne all’azienda di Stato per le foreste demaniali, fu di nuovo istituito il 21 ottobre 1950. A differenza della prima istituzione, che mirava alla difesa della locale sottospecie endemica del Camoscio d’Abruzzo (Rupicapra ornata) e dell’Orso Marsicano (Ursus arctos marsicanus), nella legge che ricostituiva l’Ente Parco venivano indicate finalità non di solo tutela, ma anche di potenziamento della fauna e della flora e di conservazione delle speciali formazioni geologiche e delle bellezze paesaggistiche.
Dalle esperienze di caccia, condotte nel quadro della istituita Riserva Reale, si e pervenuti all’esigenza di proteggere la fauna e la flora della Marsica orientale con l’intervento di associazioni ed enti, realizzando il significativo passaggio da interessi feudali e venatori ad impostazioni e progetti naturalistici per interventi razionali e sistematici. Per la verità non sempre e stato possibile osservare la razionale programmazione ed il coordinamento degli interventi. Gli scandali urbanistici,in prossimità degli abitati di Pescasseroli, Civitella Alfedena e Villetta Barrea sono in contrasto con tale esigenza, mentre gli squilibri realizzati fra Comuni del Parco con Centri attrezzati e ricettivi rispetto alle notevoli carenze ed insufficienze dei Comuni più decentrati sono incompatibili con l’equa ripartizione dei servizi e delle iniziative (24). L’obiettivo di assicurare la fruizione collettiva della ricchezza biologica non può non esser coniugata con l’appoggio delle genti che in loco risiedono ed operano, in modo che l’imposizione dei vari vincoli comporti il risarcimento dei danni subiti e non risulti generica, rigida o fittizia nell’indicazione delle opportunità di lavoro, ma sviluppi forme cooperativistiche e modalità di gestione dei servizi che tutelino l’uomo nel suo ambiente e col suo ambiente, cioè l’uomo integrale nelle sue concrete condizioni ambientali (25).
In tema di presenze deve essere registrata la prima iniziativa, piuttosto discutibile, realizzata a Villavallelonga con il festival musicale ed ecologico patrocinato dall’Ente Parco con l’adesione del W.W.F. (Fondo mondiale per la natura), della Lega per l’energia alternativa, della Lega naturista, del Gruppo dimensione e natura e dell’Associazione Amici del Parco. La manifestazione, denominata l’orso nel sacco a pelo con la chitarra, si e svolta sui Prati di Angro dal 27 al 31 luglio del 197.7. Il programma prevedeva dibattiti politico-ecologici e musiche che hanno richiamato quasi diecimila giovani provenienti da tutta Italia e anche dall’estero. L’esplosione dei servizi, di fatto inesistenti, e la natura dell’iniziativa, autogestita, ma non dai locali, hanno evidenziato le carenze più notevoli ed hanno riproposto la necessita di pervenire alla individuazione delle finalità turistiche in relazione alle concrete possibilità ricettive dei servizi in funzione (26).
Al di la delle incongruenze riscontrate in tale circostanza, sembra acquisito e significativo il ruolo giocato dalle popolazioni del Parco nell’interpretare il passaggio dalla Riserva di Caccia alle esperienze naturalistiche del Parco Nazionale di Abruzzo. I criteri di riferimento per un corretto rapporto tra l’uomo ed il suo ambiente di vita sono andati via via evolvendosi; in questa area, qualificatasi per il preminente valore naturalistico, si deve ora verificare sia la rinascita dei territori montani, sia il progresso economico, sociale e culturale delle comunità locali.