Il teatro

Tratto da Alba Prope Fucinum Lacum
( Testi a cura della prof. Roberta Cairoli illustrazione del pittore Pietro Pernarella )

Questo edificio da spettacolo, ricavato nel substrato roccioso del colle Pettorino, si apre verso sud-ovest su di una vasta terrazza, secondo un modello di derivazione ellenistica. Quasi completamente espoliato già in antico, conserva poderose strutture di sostenimento della cavea (analemnata), i corridoi di ingresso (parodoi) e le sostruzioni della scena. La facciata, che raggiunge una lunghezza di m. 77, è realizzata in opera poligonale usata come paramento di un nucleo cementizio e coronata in alzato dall’opera reticolata, mentre le testate d’angolo sono concepite come ammorsature in opera quadrata.

Dall’analisi della tecnica edilizia e dai segni di giunture nella muratura, si può ritenere che gli analemnata siano stati oggetto di restauro: ad una prima fase ascrivibile alla fine del Il sec. a. C. deve essere succeduta una fase di ampliamento da collocarsi alla metà del I sec. a. C. e che vide l’adozione dell’opera reticolata per ampliare gli analemnata e la cavea. Il corridoio d’accesso settentrionale, è collegato tramite una scala di sette gradini ad un vicolo in pendenza che si riconnette ortogonalmente a via dei Pilastri (all’altezza della vasca-fontana). La cavea conserva ancora le gradinate, realizzate nella roccia stessa, tagliata e lisciata. Inserita al centro della cavea è l’orchestra (sede, nel teatro romano, dei sedili dei personaggi di riguardo dell’aristocrazia cittadina), del diametro di m. 10 circa e originariamente pavimentata con lastre rettangolari di pietra calcarea, conservate ora in numero esiguo; una scanalatura corre lungo il bordo e segna il limite dalla cavea.

Di fronte l’orchestra è il complesso della scaena (il palco), un edificio di forma rettangolare di mt. 12×42.50, ripartito nella sua lunghezza in due settori: il proscaenium, aperto verso il pubblico, dove recitavano gli attori, e il pulpitum, diviso in sette ambienti da tramezzi in opera reticolata per alloggiarvi la frons scaenae, ovvero l’apparato scenografico, evidentemente realizzato con pannelli mobili probabilmente in legno in modo da potere essere montati e smontati in obbedienza alle esigenze sceniche. Fra la scena e l’orchestra, a livello pavimentale, erano ricavati dei pozzetti (cm. 36×40) posti a distanze regolari, coperti da lastre di pietra forate, che raggiungevano una profondità di m. 2.66; essi dovevano sicuramente servire ad alloggiare e sostenere i macchinari per la manovra dell’aulaeum (sipario), che nell’antichità veniva sollevato dal basso verso l’alto.

Dal punto di vista tipologicó quello di Alba segna un momento di transizione fra il teatro di più diretta influenza ellenistica ed il teatro più prettamente di tipo romano, momento che si colloca fra la fine della repubblica e gli inizi dell’epoca imperiale; il nostro presenta ancora i parodoi a separazione dell’orchestra dal complesso scenico e non la frons scaenae collegata alla cavea attraverso passaggi voltati e sormontati da gradini. Il più diretto confronto, semmai, lo troviamo con il teatro di Pergamo e con il teatro di Pompeo, raffiguratoci nella Forma Urbis Romae. Anche il fatto di erigersi su di una terrazza posta a m. 6.60 di altezza rispetto alla via dei Pilastri sembra rispondere a canoni estetici prossimi all’ideologia carica di contenuti scenografici propria dell’architettura ellenistica.

Si tratta di una piazza di forma rettangolare di m. 100×35 di lunghezza, delimitata verso settentrione da un stradina in salita che permetteva l’accesso alla cavea del teatro, sostenuta da muri in opera poligonale identici per fattura agli analemnata, e connessa a via dei Pilastri tramite una scalinata di m. 2.60 di larghezza. Il lato corto meridionale sembra concludersi con un’esedra semicircolare di m. 26 di diametro. Sui lati lunghi dellapiazza erano una serie di ambienti che possiamo presumere di destinazione commerciale. L’orientamento generale della piazza è di circa 40′ più verso ovest rispetto al tessuto urbanistico, adattandosi meglio alla situazione orografica condizionata dalle pendici del Pettorino.

La statua raffigurata nella tavola è la cosiddetta Venere di Alba, rinvenuta in una delle tabemae di via dei Pilastri, ora al Museo Nazionale di Chieti. L’opera, di età augustea, raggiunge un’altezza di soli cm. 80 ed è una raffinata riproduzione scultorea di una famosissima opera dei pittore Apelle, autore di un quadro che rappresentava Afrodite Anadiomene, ovvero Venere nuda, nata dal mare, rappresentata nell’atto di raccogliersi i capelli. La riproduzione marmorea è realizzata in due blocchi uniti da un perno in ferro collocato al centro del corpo; la statua, che raffigura la dea cinta ai fianchi da un ampio panneggio che scende sino ai calzari, è purtroppo mancante della testa, del braccio destro, della mano sinistra e del nodo che legava il panneggio.

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