ITINERARI IDEALI NELLA MARSICA (Itinerario 6)

Avezzano
Capistrello
Canistro
Civitella Roveto
Civita D’Antino
Morino
San Vincenzo Valle Roveto
Balsorano

L’ITINERARIO IN BREVE

Da Avezzano si può giungere a Capistrello per due strade: quella che passa, in alto, attraverso il valico del Salviano e quella che dal Fucino, per mezzo di una breve galleria, consente di arrivarvi in pochi minuti.

CAPISTRELLO è un paese di antichissima origine, sia perché da sempre legato all’economia e alla storia del Fucino, sia perché punto strategico fondamentale sull’unica via di accesso al meridione d’Italia, sia soprattutto perché luogo obbligato per lo scarico delle acque del lago non solo al tempo di Torlonia, ma anche all’epoca in cui il prosciugamento era stato tentato dall’imperatore Claudio. Testimonianze di questa antica funzione svolta da Capistrello sono i resti di un acquedotto romano e lo sbocco dell’antico emissario claudiano; mentre i segni più evidenti della consistenza del nucleo abitato in periodo medievale sono costituiti dalla stessa tipologia della parte meridionale del paese, tutta a saliscendi e quasi integra nella sua struttura originaria (un vero e proprio presepe naturale).

In una trasmissione radiofonica della RAI, nel 1978, Capistrello veniva definito “un bottone nella Marsica”, e probabilmente si voleva sottolineare proprio questo ruolo di cerniera tra l’Abruzzo montano e la Ciociaria, che Capistrello aveva svolto nei secoli. Ma, forse, “bottone” potrebbe significare anche qualcosa di più. Se si guarda, infatti, alle bellezze del territorio, al fascino che scaturisce dalla posizione del paese (al termine della lunga piana dei Campi Palentini e all’imbocco della rigogliosa e movimentata Valle Roveto); se si pensa al carattere dei suoi abitanti e all’atmosfera di gentile e profonda ospitalità che fa quasi tutt’uno con la bontà dell’aria e le bellezze del luogo, Capistrello più che un “bottone” potrebbe essere definita la “perla” della Marsica.

Ma se si pone l’attenzione su altri aspetti (l’emigrazione, le morti sul lavoro, la silicosi, la crisi economica, la disoccupazione giovanile, il disagio morale e psicologico, la carenza di iniziative culturali), Capistrello si è spesso trovato in una condizione di isolamento e di emarginazione forse superiore a quella di molti altri centri della Marsica.

Tuttavia, non è con queste considerazioni altamente malinconiche che può proseguire il nostro itinerario. E, allora, è ancora Capistrello a offrirci un’atmosfera più lieta e serena, in occasione della festa del “patrono” del paese (S.Antonio di Padova), e anche con manifestazioni di carattere turistico-promozionale, come la “sagra” sui piani della Renga.

Capistrello ha due frazioni: Pescocanale (di cui è da ricordare la chiesa di S.Michele Arcangelo o S.Angelo) e Corcumello (sulla strada per Tagliacozzo). Quest’ultima frazione è uno dei pochi paesi salvatisi dal terremoto del 1915, e si presenta quindi estremamente interessante sotto vari aspetti. Di Corcumello, infatti, è da sottolineare l’impianto urbanistico (per nulla modificato rispetto all’assetto originario); e degni di rilievo sono i suoi “monumenti”, come il palazzo Vetoli (quattrocentesco, pur con successivi ampliamenti) e le cinquecentesche chiese di S.Antonio Abate e di S.Nicola (quest’ultima con un magnifico ambone del 1267, opera di Stefano da Mosciano, trasportatovi dalla diruta chiesa di S.Pietro).

Riprendiamo, da Capistrello, la Statale 82 (strada del Liri) e giungiamo a CANISTRO. Il paese è formato da due nuclei abitati: quello moderno, chiamato Santa Croce, e quello più antico, tuttora compatto e quasi in verticale sulla valle. Tra le chiese di Canistro, è da citare quella di S.Sebastiano, costruita in belle forme romaniche, anche se appesantita da aggiunte e rimaneggiamenti del ‘600. Ma merita una visita anche la chiesetta rurale di S.Maria in Fonticella, ornata da un bell’affresco e recentemente restaurata. Secondo alcune testimonianze orali, a Canistro Alto sarebbe stato ancora in uso, almeno fino a qualche anno fa, il “carriaggio” (o corteo della sposa e dei suoi parenti, con esposizione del corredo): la ragazza che si fosse rifiutata di farlo, non avrebbe potuto sposarsi in paese.

Anche l’asta dei santi nelle feste religiose ha resistito, per lungo tempo, alle probizioni dell’autorità ecclesiastica. Oggi, comunque, Canistro è nota soprattutto per la presenza di un modernissimo centro terapeutico per la cura delle malattie biliari e renali (con l’ausilio della leggerissima acqua del Cotardo: la famosa “acqua Santa Croce”. Accanto alla strada corrono, in alto, la superstrada del Liri e, in basso, la linea ferroviaria Avezzano-Sora. Qui il “trenino della Val Roveto”, “con la sua corsa ad andirivieni e con quel suo apparire e sparire tra le viscere della montagna, continua a svolgere la sua vitale funzione di quotidiano collegamento tra Marsica e sud della penisola, simile a un gigantesco luna-park, che la mano di un sapiente Creatore ha voluto donare alle montagne della Marsica”.

A circa 18 km da Avezzano si incontra CIVITELLA ROVETO, il cui nome nelle carte antiche (prima dell’XI secolo) era quello di Petrarolo. Divenuta nel ‘600 Civitella della Valle, fu prescelta dai duchi di Tagliacozzo come sede della corte baronale (abitata dal governatore). Importante centro amministrativo per quasi tutto l’Ottocento, comincia a entrare in crisi verso la fine del secolo. Soggetta, quindi, all’emigrazione transoceanica o al trasferimento (per motivi di lavoro) di molti suoi abitanti nelle grandi città della penisola e in particolare a Roma, Civitella ha visto diminuire sensibilmente la sua popolazione fino a tutti gli anni Settanta. Solo in questi ultimi tempi si è avuta un’inversione di tendenza, dovuta quasi sicuramente al miglioramento dell’economia locale e al discreto sviluppo del turismo in gran parte dei centri della Valle Roveto.

Il centro abitato anche qui è diviso in due nuclei: quello moderno, a valle, più vivace ma meno interessante; quello antico, arroccato in lunghezza su un’altura ai piedi del Viglio e alla destra del fiume Liri, la cui magnifica disposizione su un crinale roccioso era stata sicuramente imposta da finalità difensive e che presenta abitazioni cinquecentesche e seicentesche spesso sovrapposte a preesistenti costruzioni medievali. A Civitella Roveto, la manifestazione religiosa e popolare più caratteristica è la festa di S.Giovanni Battista (24 giugno), quando i devoti si immergono, alle prime luci dell’alba, nelle acque del Liri, rinnovando il rito del battesimo nel fiume Giordano.

Ad ogni modo, non è questa l’unica costumanza locale di Civitella e delle sue frazioni: si pensi, ad esempio, alla festa della Madonna delle Grazie, quando la popolazione è risvegliata da pifferi e zampogne di suonatori provenienti dalla Ciociaria; o al pellegrinaggio verso il piccolo santuario della Madonna del Caùto (1^ domenica di agosto). O, ancora, al pellegrinaggio verso la croce di Monte Bello (luglio), quando la popolazione di Civitella si incontra (e persino si scontra) con pellegrini provenienti da Luco e Trasacco; e, infine, all’ormai obsoleta usanza del “carriaggio” (corredo nuziale della sposa), ancora viva fino a qualche anno fa nella piccola frazione di Meta.

La strada prosegue nel suo continuo alternarsi di pendii fioriti e di sorgenti inesauribili. Dalla piccola frazione di PERO DEI SANTI (sorta solo dopo la prima guerra mondiale attorno alla chiesa di S.Lidano) si sale, tra curve e scenari incantevoli, a CIVITA D’ANTINO.

Civita d’Antino è l’antica città marsa di Antinum, sede dei rudi Antinates, fedeli alleati di Roma. Certamente, l’importanza di Antinum non è paragonabile a quella di Alba Fucens; ma anche Antinum ebbe il suo momento di gloria tra il IV e il III sec.a.C. (fase delle guerre sannitiche), quando uno dei teatri delle operazioni fu appunto la valle del Liri, per il controllo della quale erano state rinforzate Antinum da una parte, all’imbocco, e Sora dall’altra. Per le epoche successive, una volta stabilizzato il dominio di Roma su tutto il territorio, Antinum perse gradualmente le sue funzioni, fino a scomparire del tutto. Ad ogni modo, la zona conserva un grande interesse archeologico.

Infatti Antinum fu uno dei pochi “oppida” (cioè centri fortificati d’altura) conservati nella fase di romanizzazione della penisola, dal momento che fu scelto come sede di un “municipium”, preferendosi il centro precedente arroccato sulla cima del colle, piuttosto che la creazione di un nuovo centro amministrativo in pianura o nel fondo della valle. Di questa sua funzione antica, l’attuale Civita d’Antino conserva alcuni segni nei ruderi della cinta muraria e, all’interno di questa, in alcuni avanzi di edifici pubblici, fra i quali, in primo luogo, le Terme. Nel medioevo, il centro abitato aveva conservato il carattere di fortificazione d’altura, ancora evidente all’inizio del ‘900, grazie anche alla robusta mole di una torre di guardia, che ne dominava il paesaggio e di cui, adesso, rimane solo qualche labile indizio.

Fra i monumenti medievali, c’è da ricordare l’abbazia di S.Stefano, sicuramente anteriore al 1183, anche se la chiesa attualmente esistente ben poco conserva della sua lontana origine (le linee sono di stampo neoclassico, con elementi barocchi). Sono da ricordare anche: la chiesetta rurale di S.Maria del Monte (dove ogni anno si reca la processione in onore della Madonna della Ritornata e che conserva una pittura datata 1421, ma sicuramente più antica); i resti del convento di S.Francesco; il palazzo Ferrante; la casa Cerroni, con l’annessa Porta Flora (casa che, sul finire dell’Ottocento, è stata centro di incontro di numerosi pittori danesi, i quali vi hanno lasciato molte e originali testimonianze).
Scesi di nuovo a Pero dei Santi, ci si muove in direzione di Sora. La valle continua a offrire immagini varie, l’una più seducente dell’altra, che si susseguono in una vera e propria sinfonia di colori e di suoni. La voce cristallina dell’acqua, in un crescendo che sa di sapiente regìa orchestrale, si trasforma nel sovrumano fragore della Cascata dello Schioppo.

Ecco il paese di MORINO. Purtroppo, dell’antico abitato non si conservano se non pietre e muri diroccati: “Sono muri ora dimessi, ora imponenti, fra i quali spiccano quelli della chiesa madre, dalle severe ma non spoglie forme tardo-rinascimentali, del campanile sì molto sconnesso ma ancora in piedi con la sua guglia aguzza (l’unica che si riesca a vedere dal fondo della valle), di alcune abitazioni signorili e qua e là, tutt’intorno, per lo più nascoste dalla vegetazione, tracce di mura più antiche, le sole che ancora possano dirci della lontana origine della città quale centro fortificato d’altura” (ERNESTO POMILIO).
Tra le frazioni, sono da ricordare GRANCIA e RENDINARA, quest’ultima, nel passato, rifugio di monaci benedettini e di umili eremiti. Nella frazione di Rendinara si venera S.Ermete, il cui corpo è conservato in un’urna della chiesa parrocchiale. Tra le manifestazioni religiose di Morino c’è da ricordare quella del 25 aprile, festa della Madonna del Buon Consiglio, il cui quadro fu portato anticamente a Morino dalla località di Genazzano (Roma), il che ancor oggi costituisce motivo sufficiente per un pellegrinaggio fino a Genazzano il giorno di Pentecoste.

Più avanti, si raggiunge il paese di S.VINCENZO VALLE ROVETO, la cui parte antica, sita in posizione collinare e chiamata S.Vincenzo Superiore, è circondata da un paesaggio stupendo. Il centro abitato si presenta con una certa veste d’eleganza, con le sue stradine pavimentate quasi a mosaico e tutto l’impianto urbanistico in leggero pendio.

Un po’ a nord, rispetto a S.Vincenzo, si trova l’interessante frazione di MORREA, con il suo castello rinascimentale (dei Piccolomini) e le stradine a saliscendi, con alcune abitazioni attorno ad una costruzione signorile probabilmente tardo-gotica (di cui si conservano le mura) e le porte d’accesso del borgo (di cui una a sesto acuto).

Ed eccoci a ROCCAVIVI, altra frazione di S.Vincenzo, alle falde del Pizzo d’Eta: quasi sentinella avanzata della Marsica e punto strategicamente importante nel medioevo, il famoso e temibile “vado di Rocca de’ vivi”. Una torre cilindrica, posta in alto, in zona scoscesa e nascosta, è sfuggita anche agli studiosi, nonostante l’interesse storico-architettonico che ne potrebbe scaturire.
L’ultimo paese di questo nostro denso itinerario è BALSORANO, l’antica “vallis sorana” delle carte medievali.

Anche qui la parte più interessante è quella in alto, assai pittoresca pur se distrutta dal terremoto del 1915, dominata dalla possente mole del castello dei Piccolomini, fortunatamente (anche se non eccellentemente) restaurato in epoca recente. Molto suggestiva è la sua massa grigia, in perfetta armonia col proprio ambiente, ancora praticamente intatto. La severità di questo castello, con il ricordo dei suoi feudatari (signori di Celano), sta ancor oggi a segnare il confine, non solo geografico e politico, ma anche spirituale e culturale, tra la regione dei Marsi e le più estreme regioni del sud.

Tra gli altri elementi degni di attenzione, dobbiamo ricordare, qui a Balsorano, la cinquecentesca chiesa di S.Francesco (anch’essa ricostruita dopo il terremoto del ’15); le due torri sul fondo valle (una delle quali trasformata nella graziosa chiesuola di S.Maria delle Grazie); e la grotta-santuario di S.Angelo (o S.Michele Arcangelo), dove ogni anno si riuniscono in un tradizionale ritiro spirituale gli uomini del paese, sull’esempio di quanto fanno gli uomini di Trasacco a Candelecchia. Per tornare ad Avezzano ripercorriamo a ritroso la valle, questa volta attraverso la superstrada: lo spettacolo è sempre bello e non c’è rischio di stanchezza o di assuefazione.

Testi a cura del prof Angelo Melchiorre

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