Molti indizi fanno pensare che la diocesi dei Marsi, nel passato, non fosse del tutto compatta ed omogenea. In alcune fonti si accenna ad un periodo di tempo (forse intorno al Mille), in cui il Vescovo dei Marsi avrebbe avuto la propria residenza a Cese (oggi frazione di Avezzano). La notizia fu riferita nel 1962 da uno studioso locale, Giuseppe Marini, il quale testualmente affermava che «il Vescovo dei Marsi, anche dopo che aveva trasferito la sua sede da Cese a Pescina, trascorreva alcuni mesi a Cese». E — prosegue il Marini — quando, dopo il terremoto del 1775, la cattedrale di Cese non poté piú fungere da sede effettiva del governo della diocesi, il parroco del luogo continuó a rivestirsi della dignitá di «Abate Mitrato», che gli consentiva di «sostituire il Vescovo, per gli atti di governo ordinari della Diocesi, per le popolazioni dei Piani Palentini e della Piana del Cavaliere, e ció è avvenuto fino al 1905» (10).
Pur non potendo verificare (data l’impossibilitá di rintracciare le fonti) quanto affermato dal Marini, si puó pensare che la sua ipotesi (o affermazione) abbia un briciolo di veritá: infatti, in un fascicolo manoscritto, esistente nell’Archivio Diocesano di Avezzano e intitolato «Per le Collegiate della Diocesi», si puó leggere che l’Abate della Chiesa di Cese «è il Vescovo de’ Marsi pro tempore» (11). Ancora di un’altra localitá si parla come sede del Vescovo dei Marsi, piú o meno nella medesima epoca (sec.XI), quando un certo Azzo (o Azzone, o Attone), «contro i canoni dei SS.Padri» e per effetto delle discordie interne ed esterne presenti nella chiesa marsicana, venne nominato vescovo di S. Maria delle Celle (Carsoli), in contrapposizione (essendo stata la Marsica suddivisa in due diocesi) con il vescovo di S. Sabina.
Tale separazione sarebbe durata — almeno secondo alcune fonti citate dal Kehr e da altri — fino al 1057, allorquando il papa Vittore II, dopo aver indetto un Concilio Generale nella Basilica Costantiniana, ricondusse all’unitá la diocesi dei Marsi e trasferì il vescovo Attone nella cittá di Chieti. E la decisione di papa Vittore II sarebbe stata confermata, qualche mese dopo (9 dicembre 1057), da un «privilegio» di papa Stefano IX (di cui esiste copia nell’archivio diocesano di Avezzano), con il quale si dichiarava ufficialmente e definitivamente che l’unica chiesa episcopale della Marsica dovesse essere quella di S. Sabina (12).
I documenti citati offrono una verisimigliante immagine di quel che dovesse essere il territorio marsicano in quei lontani secoli e di quali questioni ecclesiastiche in esso si agitassero. Verso la fine del secolo XVI, per aggiungere ancora qualche particolare, il Clero di Albe aprì una lunga vertenza (durata quasi mezzo secolo) per rivendicare, in nome di un’antica dignitá episcopale, il primo posto nel Sinodo diocesano (13).
Ma questo, e gli esempi prima citati, ci suggeriscono tutta una serie di domande: quale fosse, cioé, la reale dimensione della diocesi marsicana, quali i suoi ambiti territoriali, quale e quanta l’effettiva autoritá del Vescovo, di qual natura i suoi diritti giurisdizionali. Tutte domande, queste, che non possono avere per ora una risposta ben definitiva, data l’assenza di fonti sicure al riguardo. Tutt’al piú, si puó accettare anche per la Marsica l’ipotesi, che Giacinto Marinangeli fa a proposito della diocesi di Ofena e di altre piccole diocesi della regione abruzzese: «La diocesi, in quei secoli», scrive il Marinangeli, «non era riservata a centri popolosi come accade nella legislazione odierna, ma essa sostituiva, in certo senso, la parrocchia dei nostri giomi. Ed era nella logica della costituzione della chiesa primitiva che così fosse » (14).
II Marinangeli, è ovvio, parla dei secoli anteriori al Mille; ma, certamente, molte delle situazioni precedenti dovettero permanere, almeno come motivi di rivendicazione di diritti e privilegi, anche nei secoli immediatamente successivi. Si pensi a Celano, ad esempio, cui si era accennato in precedenza: ancora nel 1819, in un documento d’archivio, si parla della Collegiata di S.Giovanni Battista come di una chiesa che «esercitava giurisdizione episcopale sopra a varj circonvicini paesi» (15). D’altra parte, anche dopo la definitiva fissazione dei confini della diocesi dei Marsi (le cui linee fondamentali sono giá presenti nella Bolla di Stefano IX, ma che con maggior precisione saranno evidenziate nella Bolla di Pasquale II, anno 1115, e in quella di Clemente III, anno 1188), persisteranno situazioni di autonomia giurisdizionale o, almeno, di dipendenza da altre diocesi pur all’interno del territorio marsicano: si pensi alle chiese dipendenti daIl’Abate di Montecassino (Luco, Tagliacozzo, Carsoli, ecc.), dall’Abate di Farfa (S.Maria ad Nives di Magliano, S.Salvatore di Paterno, S.Maria delle Grazie di Rosciolo), da quello di Casamari (S.Nicola di Cappelle), o a quelle direttamente soggette al Capitolo Lateranense di Roma (nel 1570 dipendevano da esso alcune chiese dei seguenti paesi della Marsica: Aielli, Avezzano, Bisegna, Celano, Cerchio, Ortona, Pereto, Pescina, S.Jona, S.Sebastiano, Scurcola e Tagliacozzo); oltre, naturalmente, alla miriade di chiese «ricettizie» (soggette piú all’Universitá che all’autoritá del Vescovo), chiese «patronali» (dipendenti dai feudatari), chiese di patronato regio, e così via (16).
Nelle sue linee essenziali, tuttavia, i confini della diocesi erano ormai tracciati. Le Bolle, di cui sopra si é parlato, davano indicazioni assai precise, pur con qualche nome di localitá oggi indecifrabile, con alcuni errori e qualche lacuna. II Faraglia, circa un secolo fa, così riassunse le informazioni fornite dalle fonti precedenti: [La diocesi dei Marsi va] «dalla Torre Ferraia o Ferrata al capo di Carrito, alla via de Marso, alla Portella di Valle Putrida; seguivano poi la Serra de Feresca, l’Argatone, le Serre di Cammo e Formella, e discendevano al Mulino vecchio; di poi per le Serre de Vivo e Troia, per Pesco Canale, la Penna dell’Imperatore, la Serra Corvara, S.Britto, la Forca Auricola e l’Arco di S.Giorgio, riuscivano al fiume Risana. Infine per le Serre di Ofrano e delle Scalelle, per Tufo al fiume Renando, andavano a Volpe Morta, e di lá per la Bocca di Teba, pel campo di Pezza, pel rivo dei Gamberi, la Serra di Candida ed il Venetrino, tornavano alla Torre Ferrata […]. Quindi la diocesi si estendeva dalle fonti del Sangro ad Ovindoli e Rovere, da Carrito a Carsoli […]» (17).
Un’estensione di 50 miglia per 15 — come scrivevano i Vescovi fino a tutto il secolo XIX nelle loro «Relazioni ad limina» — che, piú o meno, è rimasta inalterata fino ai tempi nostri.
Ad ogni modo, nonostante lacerazioni piú o meno estese nel tempo e nello spazio, quella che tradizionalmente si suol chiamare diocesi dei Marsi comincia ad avere un suo consolidamento ed un suo assestamento solo dopo il Concilio di Trento, e precisamente quando, nel 1580, mons.Matteo Colli ottiene dal papa Gregorio XIII la Bolla che sancisce il trasferimento della cattedrale dall’antica chiesa di S.Sabina (nella diruta cittá di Valeria) a quella di S.Maria delle Grazie in Pescina (18). Giá qualche anno prima (1566-67) nella stessa cittá di Pescina era stato istituito il Seminario diocesano, cui (nel 1580) il Vescovo Matteo Colli volle aggregare la miriade di benefici rurali sparsi (circa cinquanta), residui di antiche chiese ormai abbandonate o completamente distrutte (19).
NOTE