LA MARSICA ALLA FINE DEL XVIII° SECOLO

Allo scoppio della Rivoluzione francese, verso la fine del Settecento, la Marsica si trova in una situazione molto precaria. Le riforme, proposte dagli illuministi napoletani e in parte attuate sotto Carlo III di Borbone e sotto lo stesso Ferdinando IV (per opera del ministro Tanucci), non hanno toccato per nulla le province più periferiche del Regno. Su queste, anzi, pesano imposte assai onerose, come quella sul sale, l’altra sui “fuochi del regno” e perfino quella cosiddetta “della Crociata”, concessa dal papa Pio IV al governo napoletano nel 1778. Nella Marsica le uniche attività economiche sono quelle della pesca nel Fucino, della pastorizia transumante e della modesta agricoltura di montagna.

La pesca rende assai poco, poiché i pescatori devono dare un terzo dei loro introiti o al feudatario (la famiglia Colonna per il feudo di Tagliacozzo e la famiglia Sforza-Bovadilla per quello di Celano) o alla badia di S.Maria della Vittoria di Scurcola. La pastorizia e l’agricoltura rendono ancora meno, dal momento che le “masserie” di pecore e i terreni più fertili appartengono a poche famiglie benestanti o ai monasteri o ai Capitoli delle principali chiese collegiate e alle Confraternite. Il quadro sociale non è dei più brillanti: la maggior parte della popolazione è formata da contadini e pescatori poveri, le famiglie borghesi sono in numero estremamente limitato. Nemmeno queste possono considerarsi ricche: ciò che dà loro potere è soprattutto il nome che portano.

Tuttavia, proprio queste famiglie si danno da fare per accelerare il cambiamento politico, mostrandosi favorevoli all’invasione francese e, nel 1799, alla neonata Repubblica Partenopea. La loro influenza è ancora minima, tanto che la Marsica rimane completamente al di fuori del sia pur fugace tentativo di rinnovamento amministrativo e sociale del governo repubblicano, senza poter realizzare le nuove amministrazioni comunali (le “municipalità”) neanche in centri come Pescina.

A Pescina, infatti, lo stesso vescovo mons. Giuseppe Bolognese si oppone con fermezza a tutte le proposte giacobine, impedendo perfino che s’innalzi in piazza il cosiddetto “albero della libertà”. Dal punto di vista demografico, l’andamento della popolazione può apparire una conferma di quanto abbiamo fin qui detto.
Gli abitanti del 1810 sono più o meno gli stessi del 1793 o del 1798, con una leggera diminuzione verificatasi proprio in occasione delle leve per l’arruolamento di “volontari”. Tale arruolamento è, in realtà, “forzoso”, dal momento che ogni paese è obbligato a contribuire con un soldato (un “soldiere”) ogni cento abitanti ed ogni ente (o laico o ecclesiastico) con un “volontario” ogni mille ducati di rendita, come risulta da un documento del 14 agosto 1798.
A tal proposito, assai significativa è la comunicazione del parroco di Poggio Cinolfo, un paese di soli 614 abitanti, il quale non annovera, nel calcolo che fa delle “anime” il 26 ottobre 1798, “i 12 Individui all’attuale servizio nelli Reali Eserciti, e 38 parimenti miei filiali ascritti alla Compagnia franca”.
Manca, dunque, qualsiasi sviluppo nella zona, dovuto anche alla particolare conformazione del territorio (una conca circondata da montagne, con pochissime vie di comunicazione e con terreni continuamente allagati dalle acque del Fucino.

E, per di più, è da considerare anche l’assenza di grandi agglomerati urbani, contandosi solo quattro centri con popolazione appena superiore a 2000 abitanti (Celano, Pescina, Avezzano e Tagliacozzo). G.BUCCELLA, Ortona dei Marsi in una cronaca inedita del XVIII secolo, Roma 1972. Particolarmente significativa è la relazione che il notaio Filippo Buccella, di Ortona dei Marsi, ci ha lasciato a proposito di quegli anni tormentati: “E’ purtroppo memorabile l’anno 1794 (…) per i pessimi raccolti e per la violenza dei temporali. Al 12 di aprile, sabato, metà del paese di Gioia dei Marsi venne distrutto da un incendio. I danni ammontarono a circa ventimila ducati.

Penuria di acqua in detto anno. Il lago del Fucino andò sempre più decrescendo, dopo le crescite, che preoccuparono i rivieraschi, degli anni 1789-90 e 1791.
Il lago crebbe eccessivamente, cosicché tutti i paesi in circonferenza vivevano in forti angosce”. Anno memorabile anche il 1796, un vero e proprio
“anno di calamità. Inizio dell’inverno con gran freddo e abbondanza di neve. Primavera piovosa, estate secca: da aprile a settembre non è caduta più pioggia. Raccolto del grano mediocre (…). Dicembre 1796: grandi malattie epidemiche, febbri putride in Ortona (…).Anche nella Terra di Gioia si sono verificati epidemici malori. I signori medici fisici che hanno curato le rispettive popolazioni hanno sofferto anche loro gravi e lunghe infermità, ed alcuni sono morti”. La siccità colpisce, ogni due o tre anni, tutta la Marsica, con gravi conseguenze sui paesi più distanti dal lago, come ad esempio Collelongo, i cui abitanti si trovano spesso in conflitto con il vicino paese di Villavallelonga per l’uso della “fonte di S. Leucio”.

E, su tutto, grava il pericolo sempre incombente dei terremoti, come quello che il 24 gennaio 1778 aveva provocato ingentissimi danni nella città di Celano, lesionando la maggior parte delle abitazioni e facendo crollare uno dei merli del poderoso castello baronale. Dunque, una situazione davvero precaria, che coinvolge un po’ tutti, persino il clero, come quel povero parroco di Capistrello, don Pasquale Lusi, che dichiara di non poter contribuire alle spese della guerra, dal momento che la sua parrocchia gode di una rendita di appena 80 ducati annui (5 giugno 1798). E coinvolge perfino alcuni esponenti della media borghesia togata, come “il povero Regio Notar Giancroce Cerroni della Terra di Collelongo”, il quale non riesce più a trovare mezzi di sussistenza per sé e la sua famiglia:

una situazione di indigenza iniziata da quando il proprio figliolo Giuseppe era stato costretto ad arruolarsi come “volontario” nel reggimento “La Regina”, operante sul fronte settentrionale del Regno, e precisamente nella fortezza borbonica di Civitella del Tronto.

Testi di Maria Pia Bianchi, Rossella Di Marco, Angela Fina, Roberta Maiolini
a cura del prof. Angelo Melchiorre

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