LA MARSICA ALLA FINE DEL XVIII° SECOLO (i dispacci ufficiali)

Durante l’invasione francese dell’Italia settentrionale, Ferdinando IV, re delle Due Sicilie, aveva sollecitato l’arruolamento di un buon numero di volontari per la formazione dell’esercito borbonico. I primi dispacci ufficiali, tra quelli da noi esaminati, riguardano pertanto proprio l’istituzione di compagnie di volontari, giustificata con argomentazioni di carattere morale, patriottico e religioso.
Così si legge in un dispaccio del 27 agosto 1796: “A tale oggetto rivolgendoci Noi a coloro a cui abbiamo affidata la cura dei Nostri fedeli Sudditi, e specialmente ai Prelati, Magistrati Urbani, Presidi e Ministri provinciali, gl’incarichiamo ed esortiamo a manifestare questi Nostri Paterni Sentimenti a tutt’i Nostri fedelissimi Sudditi ed a mettere in opera incessantemente il loro fervido zelo, per far sì che la robusta e coraggiosa Gioventù di cui abbondano i Reali Dominj, per tutto il venturo mese di Settembre accorra di buon grado in copioso numero a militare nell’Esercito ai confini del Regno, dove Noi con vero piacere vedremo riuniti presso la Nostra Real Persona questi prodi difensori della Religione, e dello Stato”.

I dispacci e gli accorati appelli del Sovrano, rivolti a sollecitare il patriottismo e il sacro zelo in difesa del Trono e dell’Altare, sono numerosi in tutto il periodo tra il 1796 e il 1798, interrotti solo, per brevissimo tempo, dalla stipulazione di un effimero “Trattato di Pace”. Con tale Trattato di Pace, stipulato tra Ferdinando IV e la Repubblica Francese in data 10 ottobre 1796, Sua Maestà il Re delle Due Sicilie si impegna ad osservare quanto segue: “1. La più esatta neutralità verso tutte le Potenze belligeranti”; 2. Impedire indistintamente l’accesso nei suoi porti a tutti i vascelli armati in guerra appartenenti a dette Potenze” In realtà il Re di Napoli non pensa mai sinceramente alla pace e alla concordia con la Francia. Perfino i dispacci di carattere esclusivamente amministrativo rivelano, tra le righe, quello che è il vero desiderio del re: creare dappertutto, cioè, a Napoli e nelle province, un clima di concordia interna e di patriottismo filo-borbonico, che consenta di affrontare in modo deciso il pericolo straniero.

Già il 18 maggio 1796, Ferdinando IV aveva indirizzato una lettera ai sudditi, incitandoli a difendere la loro religione e il loro sovrano, ed un’altra al clero, esortando vescovi e prelati a convincere i fedeli della necessità di difendere il Regno e la Religione con le preghiere e con le opere. L’effetto di tali inviti del sovrano si sente immediatamente anche nella periferica diocesi dei Marsi, dove il 19 maggio (quindi, appena un giorno dopo) il Vicario Capitolare di Pescina, don Gianfranco Cambise, si premura di trasmettere “il real ordine”, a lui inviato dal Principe di Castel Cicala. Questo “real ordine” impone di raccogliere la colletta “a tempora belli”, inculcando in tutti il necessario zelo per “accorrere con tutto il loro potere alla difesa della Religione, della Patria, della vita propria, di quella delle mogli, de’ figli, e delle proprie sostanze”.

Contemporaneamente, vengono presi provvedimenti di vario genere, che vanno dall’ordine pubblico alla raccolta di oggetti preziosi, dal comportamento dei religiosi alla consegna di coperte o “mante” per il reale esercito. (cfr. Dispacci del 27 marzo 1798 e del 28 marzo 1798) Il documento più interessante, in proposito, è peraltro quello trasmesso nella Marsica dal Commissario Regio A.Mastroddi il 13 ottobre 1798, riguardante “il servizio da prestarsi da’ Cacciatori di Frontiera”.

Il compito di questi “Cacciatori di Frontiera” è il seguente: “Sarà costantemente quello della custodia del confine per non fare entrare senza legittimi passaporti ed impedire l’estraregnazione, i contrabandi, e la diserzione”. Nella stessa lettera si ricorda la necessità di contribuire alla formazione delle cosiddette “compagnie franche”, il cui organico, consistente in cento uomini ciascuna, deve essere portato a centoventiquattro: Tali compagnie devono raggiungere il numero di otto “per ogni ponte di frontiera sotto diverse denominazioni, come sono le nostre sotto la denominazione degli antichi valorosi Marsi”. Fuggito il re in Sicilia e instaurata la Repubblica Partenopea, si procede a una nuova ripartizione dell’ex-regno dapprima in “dipartimenti” (l’Abruzzo viene chiamato “dipartimento della Pescara”, con capoluogo Aquila) e successivamente in province (in Abruzzo sono tre: Aterno, Gran Sasso, Fucino) La provincia dell’Aquila e la Marsica, tuttavia, rimangono quasi sempre sotto il controllo delle “masse” borboniche , nonostante l’occupazione francese di Aquila e di Sulmona.

Pertanto, i dispacci dei primi mesi del 1799 sono quasi esclusivamente di parte borbonica, e provengono dai diversi fronti di guerra, compreso quello di Aquila.
In Aquila, il generale Giovanni Salomone (coadiuvato anche da compagnie marse) riesce a riconquistare la città e a stringere d’assedio il castello, dove si è rinchiusa la guarnigione francese. E’ proprio per assalire il castello che viene inviata una richiesta al vescovo dei Marsi per la creazione di una “cassa militare” e la costituzione di nuove “compagnie tra’ Marsi”, il cui regolamento è preceduto dalla seguente premessa: Lettera del 28 marzo 1799 “Per alcanzare l’incommodo di tante Masse armate, e per la migliore difesa della Città dell’Aquila, suo Castello, e Provincia dell’Abruzzo Ultra,si è risoluto dal Signor Generale Salomone, Magistrato, ed altri delegati di detta Città formare un Reggimento detto Sannio, quale rapidamente si avanza sotto la direzione del signor D.Tommaso Falconj incaricato.

Per rendere più rispettabile tale Reggimento, s’inviano gli bravi Marsi a formare una, due o più Compagnie de’ loro Cittadini, e così dimostrare attaccamento sempre maggiore alla Fede, al Sovrano, alla Patria, quali Compagnie avranno il nome di Marsiche”. Tra i dispacci e le lettere ufficiali annuncianti la vittoria degli eserciti coalizzati e la riconquista del Regno da parte di Ferdinando IV, di particolare interesse è la lettera pastorale del vescovo di Rieti mons.Saverio Marini, la cui diocesi in parte si trova sotto la provincia dell’Aquila e, quindi, entro i confini del regno borbonico.

Il vescovo -che pur aveva applaudito all’invasione francese – si proclama adesso fedele servitore “del gran Ferdinando IV”, le cui truppe, vittoriose su tutti i fronti, hanno finalmente liberato l’Abruzzo dalla perniciosa occupazione giacobina. Un atteggiamento, questo, certamente meno coerente di quello assunto dal vescovo dei Marsi mons.Giuseppe Bolognese, rimasto sempre fedele a Ferdinando IV, tanto da meritarsi una lettera di elogio dal generale Giovanni Acton, datata Palermo 17 ottobre 1799. Trascriviamo integralmente questa lettera:

Illustrissimo e Reverendissimo Sig.Padrone Colendissimo. Nella lettera di V.S.Illustrissima e Reverendissima ho io ravvisato un nuovo argomento della Sua fedeltà alla Real Corona; e nella supplica de’ suoi Diocesani le più care, e sicure marche di un attaccamento, che i passati mali hanno renduto più tenero e più vivo. Io dunque in risposta fo noto a Lei, perché Ella lo faccia ancor noto ai fedeli di Sua Diocesi, che il Re ha gradito a dismisura gli ottimi sentimenti del Pastore, e de’ Diocesani; e si compiace di aver Sudditi tanto affezionati e fedeli, la di cui felicità non lascerà mai di procurare, come sempre ha procurato colla Real presenza, e con altri mezzi. E qui protestando a V.S.Illustrissima e Reverendissima la mia singolare stima e costante osservanza, resto di V.S. Illustrissima devotissimo e obbligatissimo Giovanni Acton”.

Testi di Costanza Cellini, Roberta Ciuffetti, Katia Maceroni, Emilia Maurizi, Maria Monia Nanni
a cura del prof. Angelo Melchiorre

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