LA MARSICA DURANTE IL FASCISMO E LE GUERRE MONDIALI

Una delle cose che ha inciso maggiormente nella mia memoria di ragazzo sono le formazioni simmetriche di aerei Alleati che passavano sopra la mia testa, provenienti dall’est e dirette a nord ovest verso la lontana Germania Ne ero affascinato: gli aerei, giganteschi e luccicanti al sole. erano belli a vedersi. Le formazioni erano composte ciascuna da undici aerei disposti a ventaglio nel numero di quattro, tre, tre e l’ultimo in coda a chiudere la formazione.

Erano passati alcuni giorni dal fatidico 8 Settembre 1943, il giorno dell’armistizio. ed io, studente, mi ritrovai ad Avezzano. dalle parti del mercato, ad osservare le numerose formazioni di aerei che sorvolavano la città. Avevano bombardato Sulmona un paio di giorni prima e francamente temevo che da quegli aerei cominciassero a piovere le bombe. Ilo pregato in cuor mio che passassero alla svelta e così fu. ma, lo confesso. in quegli istanti ho avuto paura di morire. E ricordo di aver avuto Lui gesto di stizza quando, dalle parti di Pietraquaria, le mitragliatrici della contraerea hanno timidamente sparato alcuni colpi in direzione degli aerei, troppo alti per essere raggiunti, perché quei colpi sparati inutilmente avrebbero potuto, pensavo. provocare una qualsiasi reazione, ma, per fortuna. almeno per quella volta, gli aerei passarono e Avezzano fu salva.

Ma il rombo assordante degli aerei, quella mattina, si confondeva con un altro rumore, non meno assordante. proveniente da via XX Settembre dove centinaia, forse migliaia di automezzi passavano in continuazione a velocità sostenuta e sui cassoni scoperti migliaia di soldati tedeschi. in pieno assetto di guerra, urlavano parole minacciose alle persone assiepate al lati della strada. E ci rimasi male nel vedere la gente, le donne in particolare, che si ostinavano a battere le mani, ricevendo in cambio sputi e grida incomprensibili. Non riuscivo, non riuscivamo a capire: erano pur sempre quegli stessi soldati coi quali avevamo combattuto fianco a fianco fino al giorno avanti e all’improvviso erano diventati nemici da combattere, i “Tedeschi” insomma, che è tutto dire.

In verità qualcuno l’8 Settembre del ’43), ci aveva messo in guardia dal facili entusiasmi Vi furono momenti di paura e d’incertezza e di comprensibile disorientamento e molti di noi erano incerti sul cosa fare in quel difficile momento in cui gli eventi si sovrapponevano l’un l’altro in una dimensione che è poco definire immane e tragica allo stesso tempo.

Il primo reparto della Wermacht fece la sua comparsa a Cerchio nel primi giorni di ottobre. Erano le nove dei mattino quando alcuni ufficiali, impeccabili nella loro divisa tirata a lucido. salirono le scale del Municipio per le dovute presentazioni al Sindaco del paese (credo fosse Domenico Ciofani, se ben ricordo). Nello stesso giorno vennero requisite alcune abitazioni, ovviamente quelle che offrivano il maggiore comfort; alcune di esse furono requisite a metà, insomma una vera coabitazione coi i legittimi proprietari. che dovettero dividere con i Tedeschi anche l’uso di cucina. li comando generale si installò nel “villino” della marchesa a ridosso della Via Tiburtina.

Bisogna pur dire che all’inizio la popolazione accolse i Tedeschi senza alcun entusiasmo e rimase piuttosto tranquilla: era convinzione comune, ormai, che presto. molto presto gli Alleati sarebbero giunti a liberarci. Ad onor del vero. almeno all’inizio, essi furono abbastanza corretti con la gente comune. E’ sintomatico il contributo umanitario usato verso la popolazione di Cerchio alle prese con quella terribile epidemia che fu il tifo. Non dimenticherò mai quella coppia di ufficiali, un maggiore e un tenente, ambedue medici, che facevano il giro del paese visitando gli ammalati e somministrando gratis quei pochi medicinali che erano ormai introvabili nelle farmacie. Oppure quel soldati che si offrirono di portare a casa di una anziana donna alcuni sacchi di farina appena ritirati dal mugnaio Felice Santilli.

Il 1944 si preannunciò particolarmente freddo e proprio all’inizio di quell’anno una abbondante nevicata, mai ricordata a memoria d’uomo, paralizzò le vie di comunicazione della Marsica mettendo in serie difficoltà i servizi logistici dell’esercito tedesco. Purtroppo. in quella eccezionale nevicata notturna incapparono molti uomini di Cerchio che avevano preso la via della montagna la sera precedente. alla notizia che i Tedeschi avrebbero operato un rastrellamento, ma non per essere deportati in Germania, almeno per il momento, ma per spalare la neve che aveva ostruito le strade che portavano al fronte.

La maggior parte dei rifornimenti. infatti, passava sulla Statale Marsicana e questa conduceva direttamente ad Alfedena dove il fronte ristagnava da alcuni mesi. Un giorno comparve un manifesto dove veniva ordinato a tutti gli uomini validi, dai 16 ai 60 anni, di presentarsi in Piazza Municipio muniti di badile. A tutti venne promessa una ricompensa. Alcuni. a dire il vero, si presentarono, ma i più preferirono la via della montagna.

Si formarono allora i primi gruppi di resistenza antitedesca in risposta ai soprusi e alla particolare ferocia usata dai Tedeschi nei confronti della popolazione inerme. Cominciarono le requisizioni di derrate e, in particolare. quelle degli animali. Le requisizioni di mucche, cavalli, maiali e perfino degli animali domestici si protrassero fino al maggio ’44 ed è facile immaginare la reazione della gente comune: tutti cercarono di nascondere i propri animali nelle grotte della montagna o nei casolari sperduti della campagna. Ci fu persino chi murò i buoi in una stalla. lasciando aperto un piccolo foro appena sufficiente a farvi passare l’aria e lo strame!

Un serio tentativo di ribellione antitedesca si materializzò, a Cerchio. il 24 Marzo del ’44, quando i Tedeschi requisirono ben 46 mucche; fu una mazzata vera e propria per i poveri contadini e Dio solo sa quanto grave fosse la perdita di una sola mucca per l’economia di una famiglia di modeste condizioni. Il tentativo di ribellione mandò su tutte le furie il comandante tedesco che ordinò immediatamente una rappresaglia consistente nella deportazione in Germania di alcuni caporioni della rivolta. La mediazione e i buoni uffici di alcuni maggiorenti del paese riuscirono a calmare l’ira dell’ufficiale tedesco che, all’ultimo momento. annullò l’ordine di deportazione.

Le condizioni economiche, purtroppo, erano peggiorate ulteriormente: tutti quei generi di prima necessità che negli anni di guerra, bene o male, riuscivano ancora a trovarsi, scomparvero dei tutto e una categoria di persone, quella dei borsarineri- ci divenne famigliare. A dire il vero non sapevamo come catalogarli: accaparratori e quindi affamatori della povera gente o benefattori?

Nel giro di qualche mese gatti e cani si volatilizzarono, e tutti, anche se non lo dicevano apertamente, sapevano che venivano mangiati in tutte le salse. Le galline, le oche, i piccioni venivano allevati con cura tutta particolare. Per preservarli dai furti non si trovò di meglio che costruire un piccolo pollaio a fianco della propria abitazione; non a caso in quei tempi il numero dei ladri aumentò sensibilmente. Il denaro non aveva più alcun valore e quindi, come nei tempi antichissimi, tornò di moda il baratto: un paio di scarpe, una coppa di grano in cambio di un chilo di sale… Già, il sale, divenuto più prezioso dell’olio, della carne o di qualsiasi altro prodotto commestibile e indispensabile, anzitutto, alla conservazione della carne di maiale. Per il sale spesso si rischiava la vita.

Le saline pugliesi man mano che gli Alleati risalivano la penisola si allontanavano sempre più, chi aveva coraggio (e ce ne voleva, eccome!) e possedeva una bicicletta sgangherata affrontava un viaggio rischioso che durava anche una settimana. E non era uno scherzo raggiungere in bicicletta la zona di Vasto e.passare la linea del fronte sia all’ andata che al ritorno! Il passaggio delle linee avveniva nottetempo, e per una buona riuscita ci si affidava ai cosiddetti “spalloni” locali che conoscevano a menadito i varchi più sicuri e meno controllati dalle truppe di ambo le parti. Spesso ci si imbatteva nelle ronde notturne e qualcuno ci rimetteva la pelle. Già, ma allora la vita di un uomo non contava più di tanto e quindi non faceva più notizia se veniva barattata con qualche chilo di sale.

A maggio del ’44 avevamo preso l’abitudine di lasciare le abitazioni all’imbrunire per andare a dormire (per modo di dire) in aperta campagna. Ormai il cielo, giorno e notte, brulicava di aerei. Avevamo imparato a distinguere gli Spitfires inglesi dai Tempest americani: più lineari e guizzanti i primi, più goffi ma più micidiali i secondi. Si preparava l’ultima e decisiva offensiva alleata a Cassino e gli aerei da caccia si accanivano sugli automezzi tedeschi che dalle retrovie portavano rifornimenti al fronte. E Avezzano era ormai considerata retrovia di grande importanza strategica e per questo motivo i bombardamenti effettuati dai giganteschi B/29 si succedevano regolarmente, ogni giorno, a tutte le ore, spesso mattina e sera.

Che la Germania fosse ancora abbastanza forte era evidente ai nostri occhi quando, nel pomeriggio, al rientro degli aerei, ne contavamo quelli mancanti: spesso le formazioni tornavano decimate dalla contraerea e dalla caccia tedesca sui cieli della Germania! E quelli che tornavano a casa, nell’immenso aeroporto di Foggia, si portavano dietro quelli colpiti, ma che riuscivano lo stesso a tenersi in volo, pur avendo qualche motore in avaria. Questi arrancavano faticosamente dietro la formazione, che nel frattempo aveva ridotto la velocità di crociera, portandosi dietro una lunga scia di fumo nero.

Un giorno, un gigantesco e solitario B/29 con i motori in fiamme ci piombò addosso dopo aver espulso i sette piloti dell’equipaggio. Fortuna volle che si schiantasse con un gran boato alla estrema periferia di Cerchio, in contrada Santa Margherita.

Finalmente, il 9 giugno, i Tedeschi se ne andarono in fretta e furia. Partì quella sera anche un reparto di cavalleria che. proveniente dal fronte dei Sangro la settimana precedente, si stava rimettendo ìn sesto nascosto tra le piante e le fratte di Ripoli e della via di Maglíano. Cercò di farla franca approfittando delle ore notturne, ma i segnalatori luminosi dei caccia alleati la individuarono sulla Tiburtina, all’altezza di Quadranella. L’indomani, di buon’ora, alcuni compaesani raggiunsero il posto per procurarsi carne di cavallo e raccontarono di una strage orrenda: corpi di soldati tedeschi e di cavalli uniti e confusi come in un’orgia di sangue, in un unico carnaio… come quelle illustrazioni che raffigurano le battaglie campali del nostro Risorgimento.

E finalmente giunsero! Avevamo atteso troppo a lungo questo benedetto giorno per non sentirci al colmo della gioia. Qualcuno aveva sparso la voce che dopo Castel d”leri s’erano visti alcuni carri armati che risalivano i tornanti di Forca Caruso diretti verso la Marsica. Ci precipitammo, curiosi e felici, verso il ponte cavalcavia. Erano le 10 di mattina quando li vedemmo, finalmente! Lasciarono la Tíburtina e vennero sferragliando verso di noi: erano sei carri armati che brandivano un grosso cannone in posizione di sparo. Oltrepassarono il ponte e si fermarono. E noi corremmo ad abbracciarli, a baciarli, li credevamo americani ed erano neozelandesi, ma per noi era lo stesso, non v’era differenza: erano pur sempre gli Alleati, i nostri liberatori. Antonio d’Ignazio e Lucia Farina uscirono fuori recando dei vassoi con biscotti, nevole e tanti bicchieri di buon vino paesano. Loro, i neozelandesi, ricambiarono con stecche di cioccolata e sigarette; a me toccò una cioccolata, ma francamente avrei preferito un pacchetto di sigarette; v”era scritto sopra Navycut, sapete, quel tipo di sigarette che portava in effigíe il biondo marinaio inglese….

Testi di Adelmo Polla

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